L'intervista

Daje Biascica. “Così 'Boris 4' manda in testacoda il pol. corr.”

Francesco Gottardi

Parla Paolo Calabresi, che interpreta il personaggio più in difficoltà del revival. “Non è facile scherzare nel 2022. Ma prendendo in giro la finta inclusività esaltiamo la schiettezza dei rapporti umani: brava Disney + a capirci”

L’entità che tutto decide. Se qualcuno avesse ancora dubbi sull’algoritmo, sentite questa: “Come sta andando il nuovo ‘Boris’? Un successo, ben oltre le aspettative”, dice Paolo Calabresi, tra i protagonisti della quarta stagione più attesa dagli italiani. “Ma non chiedetemi i numeri”. Intervengono gli addetti ai lavori di Disney +, la famigerata piattaforma: “Non li sappiamo neppure noi”. È tutto lì dentro, riprende l’attore, “nell’imperscrutabile scatola nera. E nel sollievo degli appassionati storici: questa serie ormai è di tutti, diverte e funziona ancora”. Dal 2010 al 2022. Dalla satira dell’etere a quella dello streaming. “Ormai chi sperava più nel revival: ci è voluto Topolino per riportarci sul set”. Dove Calabresi è sempre Biascica, il capo elettricista greve e bonaccione. “Che poveraccio, nel corso delle puntate va completamente in tilt: ha solo capito che c’è qualcosa che non torna”. Qualcosa che azzoppa vocali, rende ogni smorfia passibile di razzismo. E che con gli algoritmi di oggi va a braccetto.

  

La fortuna di ‘Boris’ è che il mondo continua a offrire assist irresistibili. A partire dal pol. corr., che non risparmia nemmeno la troupe di Renée Ferretti. Corsi accelerati, codici interni, vietato sgarrare. “E su tutti, come se la caverà Biascica, che faceva dell’affettuoso mobbing verso il sottoposto un caposaldo del suo modo di lavorare?”. Cioè farsi portare i caffè dallo schiavo, alias ammerda. Che ora diventa ammerdu – neutro, mica sardo-romanesco –, “o con una X alla fine, come ho notato nei sottotitoli delle altre lingue”, racconta Calabresi al Foglio. “Eppure, quando un giovane runner di produzione passa a prendermi a casa mi citofona con orgoglio: ciao, sono lo schiavo! La rivoluzione di ‘Boris’ è anche nell’aver dato dignità all’ultimo gradino della classe sociale”.

   

Sfatando tabù, un neologismo dopo l’altro: sul set finire incluso diventa sinonimo di prenderla in quel posto – “tranquilli, ‘na cosa nostra”, i personaggi dribblano l’inquisizione. “Ma dietro la battuta c’è l’intelligenza di un ragionamento profondo”. Chi guarda lo avverte e vi si ritrova. “Ogni giorno ci scontriamo con tematiche del genere, non solo sul lavoro. E questa ondata di presunto progressismo, priva di contenuti, è rischiosa proprio perché è il contrario dell’essenza stessa di inclusività. Che anzi valorizziamo stigmatizzando la versione di facciata di cui molti si riempiono la bocca”. ‘Boris’ ha incastonato il concetto perfino nella grande distribuzione on-demand, fucina di prodotti a prova di woke. Un capolavoro. “L’autoironia dimostrata dalla piattaforma mi ha meravigliato”, sottolinea Calabresi. “E la commistione fra i nostri referenti italiani e la controparte anglosassone ha ampliato i contenuti delle scorse stagioni: in questo mestiere è cambiato tutto. Ma siamo sempre esseri umani che si muovono in un grande acquario da cui è impossibile uscire”.

   

Stanis, Arianna, Lopez. “Forse il mio carattere non si avvicina del tutto a quello di Biascica”, sorride Paolo. “Ma la forza di ‘Boris’ è nella scelta di attori giusti per il ruolo. Talvolta cucito su misura: Pannofino è davvero Renée. Carletto De Ruggieri è lo schiavo. Alessandro Tiberi lo stagista che fa carriera”. Tutti personaggi verosimili? “Tranne quello di Corrado Guzzanti: mai incontrato un collega satanista con un debole per le armi”, e meno male. “Però io mi sono ispirato a un macchinista reale per fare Biascica: millantava strane conoscenze, vendeva dvd di contrabbando. Figure mitologiche di Cinecittà. Per quanto la piattaforma si sforzi di controllare, il set manterrà sempre le sue zone franche”.

 

Anche dietro le quinte. “Ritrovarsi? Dodici anni sono sembrati una settimana. Straordinaria normalità, non abbiamo mai smesso di stare insieme. Quando io e mia figlia Aurora”, che interpreta la nuova stagista Lalla, “ci siamo persi 19 giorni di riprese per colpa del Covid eravamo disperati. Perché Boris regala momenti unici, secondo un’anomala attenzione al lavoro che si scioglie nel divertimento”. Del tipo? “‘Compare, ma lo sai che…’: Ninni Bruschetta è campione mondiale di argomenti iniziati dopo il ciak”. Ce lo vediamo, l’imperturbabile Duccio. “Ed è così che si superano gli stilemi del pol. corr.: conservando i rapporti umani, tra sforzo critico e una degna morale. Senza paura di scherzare”. In qualunque veste. “Non sopporto riguardare i miei film. Ma con Boris è diverso. Ho scoperto che vale anche per gli altri attori: ridiamo di noi stessi, del nostro personaggio”. E noi con loro. Per l’algoritmo, è scacco matto.

Di più su questi argomenti: