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È morto La Capria, il Dudù più famoso delle patrie lettere

Michele Masneri

Odiava i festival letterari, ma ogni anno lo si vedeva sfilare al Premio Malaparte. Senza di lui il triangolo Napoli-Capri-Positano sarebbe stato molto più povero

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Prima di essere il barboncino di Berlusconi, che sgusciava da palazzo Grazioli, “Dudù” o “Duddù” era per tutti Raffaele La Capria, uno dei pochi scrittori che avesse inventato un mondo. La Sicilia non esisterebbe senza Tomasi di Lampedusa, il New Jersey senza Philip Roth, e il triangolo Napoli-Capri-Positano sarebbe molto più povero senza Dudù La Capria.

 

“C’è Dudù?” era la domanda che tutti più o meno si ponevano capitando a Capri o nel triangolo della zucchina fritta, in un misto vero-finto-verosimile da “Leoni al sole”, il magistrale film regia di Vittorio Caprioli che ritraeva un gruppo di vitelloni napoletani col male di vivere tra la Buca di Bacco e il non ancora “for profit” Sirenuse, Marina Piccola e Marina Grande. Però il mito era più forte a Capri. E lì, “Dudù” o “Duddù”, risuonava in presenza e in assenza: ogni anno lo si vedeva sfilare, lui che peraltro odiava i festival letterari, portato in affettuosa processione al Premio Malaparte, inventato da Graziella Lonardi Bontempo, al cui lato B dedicarono e inventarono “Luna caprese” e oggi continuato dalla nipote Gabriella, giù fino alla Certosa meravigliosa.

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C’è una foto in cui su un motoscafo d’altura Dudu insieme a Lina Wertmüller, Umberto Eco, Václav Havel, Furio Colombo e altri sfreccia verso Capri. Gli anni Ottanta. Negli ultimi tempi “Dudù” non stava bene, e lo si vedeva piuttosto trasportato col suo sediolino sul cassone di uno di quei “porter” very capresi, ma l’eleganza e la polo scura sotto la giacca chiara erano le stesse. Dudu c’era, presente o assente, mito di fascia altissima rispetto ad altre mitologie da pro-loco (alla Pupetto Sirignano, inventore della pasta alla Nerano, inquilino peraltro di palazzo Grazioli anche lui. Sposò Anna Grazioli negli anni Quaranta), mentre La Capria, che un po' fu infastidito dalla fama del suo omonimo canino nell'immaginario nazionale e di quartiere, abitava nel palazzo accanto, Doria Pamphilj. E  “Dudù” avrà la sua sepoltura all’acattolico di Capri, insieme alla sua Ilaria Occhini, sepoltura da lui disegnata e curata, mentre la Roma aristocratica-letteraria già è scossa in questi giorni dalle celebrazioni petizioni per trovare un posto a “Patrizia” (Cavalli) all’altro cimitero Acattolico più chic d’Italia, quello di Piramide.

 

Ma il mito di Dudù era persistente, una specie di simmetrico sudista del solito provinciale (Fellini il romagnolo, Flaiano l’abruzzese, Zavattini l’emiliano) che arriva a Roma e si scontra con furori e delusioni e naturalmente “grandi bellezze”, e crea un mondo, finendo dritto dritto nell’immaginario delle generazioni successive (e nel suo caso, del nostro regista più internazionale); il segreto era “non muoversi, mai”, cioè idealmente Dudù era sempre lì, anche stilisticamente, tra Capri e Positano, mai seguendo mode, letterarie e vestiarie, e se ha scritto oltre venti libri, per tutti Dudù è “Ferito a morte”, il suo romanzo Strega nel ’61, ed è quella cosa lì, palazzo franante Donn’anna,  il presepe di Positano, i motoscafi, i ragazzi che non vogliono crescere. I “Leoni al sole”, che uscì nel 1961 di grazia, “Dudù” l’aveva aiutato a scrivere, e contribuì a creare soprattutto il mito turistico di Positano: l’hotel le Sirenuse e la Buca di Bacco e il profumo di limoni intorno. Un gruppo di seduttori napoletani trascorrono l’estate a Positano aspettando ricche ereditiere da corteggiare e sfruttare. Alla fine della stagione, poi, ognuno torna alla propria vita, alle proprie pigrizie e alle speranze frustrate. Questi debosciati fuori tempo massimo non si rassegnano alla fine della giovinezza. Fu scambiato per un film balneare mentre è un film serissimo, sulla morte. I nomi: Giugiù, Mimì, Scisciò. Ma su tutti regnava, naturalmente, Duddù.

 

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