Il più grande museo d'arte ambientale al mondo è in un'antica fattoria

Francesco Palmieri

I 40 anni della Collezione Gori nel cuore della toscana che il mecenate ha messo, e mette, a disposizione di chiunque voglia visitarlo. Per smarrirsi (o ritrovarsi) fra alberi secolari, stagni e sentieri

C’è un locus di 45 ettari trasformato da quarant’anni in “magica enciclopedia”, ciò cui aspira secondo Walter Benjamin l’uomo collezionista: la creazione di un “mondo migliore”. Sembra remoto nel tempo e nello spazio ma è a due passi, nella Fattoria di Celle a Santomato di Pistoia, quaranta chilometri da Firenze. Il collezionista è Giuliano Gori, classe 1930, imprenditore e mecenate pratese che con un vocabolo di moda può definirsi “un visionario”, per avere realizzato il più grande e famoso museo d’arte ambientale al mondo. Un progetto che oggi compie quarant’anni e Gori ha messo, e mette, a disposizione di chiunque voglia visitarlo. Per smarrirsi (o ritrovarsi) fra alberi secolari, stagni e sentieri che circondano l’antica fattoria, dove i maggiori artisti contemporanei hanno realizzato le proprie opere inamovibili, perché non potrebbero vivere se non in questo posto: forgiate con un altro paesaggio, trasferite sotto altre latitudini, non sarebbero le stesse.


La massima che ha guidato Gori, e gli artisti ospiti della sua famiglia una o più volte a Celle in un connubio di amicizia e creazione, fu dettata da Carlo Belli nel 1935: “I diritti dell’arte incominciano dove finiscono quelli della natura”. Quella “magica enciclopedia” di Benjamin ha preso corpo così. Se fosse consistita di libri avrebbe aggiunto volume a volume nell’arco di quarant’anni esatti: il 12 giugno 1982, sotto una pioggia torrenziale, la Collezione Gori veniva aperta al pubblico con le prime installazioni disposte nel parco (di Alice Aycock, Dani Karavan, Fausto Melotti, Robert Morris, Dennis Oppenheim, Anne e Patrick Poirier, Ulrich Ruckriem, Richard Serra, Mauro Staccioli e George Trakas). Nella villa, all’ultimo piano, trovarono posto i lavori di Nicola De Maria, Luciano Fabro, Mimmo Paladino, Giuseppe Penone, Michelangelo Pistoletto, Gianni Ruffi, Aldo Spoldi e Gilberto Zorio. Quattro anni dopo, nell’86, Alberto Burri realizzò tra il cancello d’ingresso del Parco e la strada provinciale Montalese il “Grande Ferro Celle”, assurto a signum della Collezione, la simbolica porta d’accesso al suo mondo.


Oggi il numero delle opere è cresciuto a oltre ottanta e la nomenclatura degli autori restituisce un dizionario d’arte contemporanea: Gori e la moglie Pina ne hanno dettato la formazione inseguendo l’obiettivo in giro per il mondo, contagiando di entusiasmo Christo e Henry Moore, i propri figli e i musei giapponesi, i critici europei e il New York Times (che ha definito Celle “a Garden of sculpture as an up-to-date-Eden”).
Dal 2018 il mondo di Celle si è aperto anche alla letteratura, con l’opera ambientale “La Serra dei Poeti” progettata da Sandro Veronesi. Trenta cipressi disposti su quattro filari convergenti da Andrea Mati, in un percorso ispirato al mito ingegneristico del Novecento: il paraboloide iperbolico, che nel concetto della “resistenza per forma” esprime l’intento dell’arte poetica. E’ sortita dalla realizzazione della Serra l’idea del premio biennale “Celle Arte e Natura”, assegnato nella prima edizione ad Antonella Anedda e nella successiva a Giuseppe Conte. Come per gli scultori, anche per i poeti la formula radica l’opera al luogo, perché ospiti nel Parco della fattoria compongono i testi poi raccolti in un libro a tiratura limitata ispirato alla “creatività residenziale”, ossia al sogno-mondo di Giuliano e Pina Gori. Quello di un “laboratorio interdisciplinare”, come testimonia l’agenda degli eventi oggi in programma per la celebrazione del quarantennale nella fattoria: la performance itinerante “Omaggio a Dani Karavan” dell’artista israeliana Yael Karavan; una mostra fotografica dell’artista Luca Gilli; lo spettacolo teatrale su prenotazione “Brancusi contro gli Stati Uniti, un processo storico”, a cura di Giuliano Gori e Massimo Luconi con la partecipazione di Piero Nieri; l’inaugurazione di due opere firmate da Vittorio Corsini e Federico Gori. Completa il calendario la presentazione della silloge poetica di Giuseppe Conte “Non so aspettare il vento”, frutto del soggiorno a Celle.


Quarant’anni dopo, Gori ricorda ancora gli inizi “pionieristici”, “perché per primi abbiamo trasformato l’idea classica di scultura in opere di arte ambientale permanenti”, con l’impiego dello spazio come parte integrante. Una scelta che ha premiato il mecenate di Prato, “perché a distanza di quarant’anni siamo meta ambita delle visite di gruppi selezionati dai più importanti musei internazionali, guidati dai propri direttori”, ma anche di chiunque voglia sperimentare l’intersezione dei confini tra arte e natura.
Scrive Fleur Jaeggy, ne Le statue d’acqua, che i collezionisti “sono le persone più passionali che esistano al mondo”, e anche di Giuliano Gori potrebbe dire che “già dalla prima infanzia, dall’infanzia egli era collezionista, i musei erano in lui”. Lo raccontò lui stesso, spiegandosi così: “Fin dall’infanzia, ho raccolto di tutto: tappi coronati per bibite, figurine dedicate allo sport, collane intere di giornalini e, crescendo, ritagli di giornali, cartoline e biglietti d’entrata ai musei. E quest’ultima mania mi ha fatto conservare, con non poco orgoglio, l’ultimo biglietto emesso dallo storico Museo degli Impressionisti: la Galerie du Jeu de Paume di Parigi, meta di tante mie incursioni”.
Quel che però ha distinto Gori da molti grandi collezionisti è stato l’intento di condividere i frutti della sua passione con tutti, a cominciare da coloro che hanno dimorato a Celle per creare le installazioni e sceglierne la collocazione. Ed è questo raccogliere “momenti, incontri e scambi con gli artisti, in tutto l’arco della mia esistenza”, conclude, “ciò che rimane la mia collezione più preziosa”.

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