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L'Ucraina in America

Il bortsch al posto della pizza e fu subito Little Ukraine nel cuore di New York

Mariarosa Mancuso

La celebrazione sulla Yesteryear Issue del New York Magazine, numero speciale dedicato ai tempi andati. Un viaggio nel tempo tra storia, giornalismo e insegne curiose

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Little Odessa sta in fondo a Brooklyn. Si chiamava Brighton Beach, prima che arrivassero in massa gli emigrati dall’Unione sovietica. Sta vicino a Coney Island, dove gira la Ruota della Fortuna che dà il titolo a un film di Woody Allen. Il sottobosco criminale era invece nel film di James Gray intitolato “Little Odessa”: guerra tra mafie “etniche” per una volta senza italiani di mezzo. Molto prima della Little Odessa c’era a Manhattan (e un po’ c’è ancora) una Little Ukraine. Viene celebrata in questo giorni sulla “Yesteryear Issue” del New York Magazine, numero speciale dedicato ai tempi andati. Negli anni 30 uno scrittore curioso poteva avventurarsi nel Lower East Side per vedere lo spettacolo di un commediografo ucraino-americano, William Chopinsky, seduto in sala con 2.000 persone. Dopo lo spettacolo poteva fare un giro nel quartiere scoprendo spettacoli folkloristici, associazioni di mutuo soccorso, bambini istruiti sul significato della bandiera giallo-blu, la sede di un giornale ucraino. Per non buttar via niente, lo scrittore curioso ne ricavò un articolo intitolato “Ukrainia on the Bowery”.

Nel 1955 gli ucraini erano 60 mila, arrivati come rifugiati dopo la Seconda guerra mondiale. Perlopiù in pessime condizioni, uniti l’odio per lo stalinismo e le sue politiche agricole. Aprirono negozi, ristoranti, macellerie e comprarono qualche altra chiesa dai tedeschi, oltre alla gigantesca St. George Ukrainian Catholic Church in Taras Shevchenko Place, settima strada. Quanto alle sinagoghe, ce n’era una quasi a ogni isolato, gli americani che nel quartiere si avventuravano erano considerati forestieri. 

 

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I locali che nell’insegna avevano SEAFOOD PIZZA cominciarono a servire il bortsch, senza darsi la pena di cambiarla. In un altro articolo, “A Journey Down the Bortsch River”, Jason Diamond – per parte di madre discendente da ucraini fuggiti all’epoca dello zar e per parte di padre discendente da ucraini sfuggiti ai nazisti – racconta le sue peregrinazioni alla ricerca della migliore zuppa di barbabietole. Tra l’Ukrainian East Village Restaurant e il Veselka, altre specialità “Pierogi” e “Ukrainian Meatballs”: aperto dalle otto alle undici di sera, affollato dai vecchi clienti e dai nuovi che oggi vogliono contribuire alla raccolta fondi. Erano posti a buon mercato, frequentati anche da Allen Ginsberg che alle “Kiev’s Wood Tables” dedica una poesia. Nel ’68, la Seconda Avenue era stata ribattezzata “Pirogi Belt” – gli onnipresenti ravioli. 

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East Village è la parola che conta, nella storia di Little Ukraine. Il Lower East Side (quartiere di primo sbarco per gli immigrati, come Brick Lane a Londra) finisce del mirino della speculazione immobiliare: verso l’East River vorrebbero un quartiere “gemello” del Greenwich Village. Gli affitti salgono in maniera esagerata, quel che costava mille dollari ora ne costa cinquemila. I nuovi immigrati vanno direttamente a Brighton Beach, dove la case sono nuove e meno care. Da sessantamila che erano, gli ucraini sono rimasti in 1.700.

 

Per un po’ hanno dovuto condividere il territorio con la controcultura di St Mark’s Place e gli sbandati di Tompkins Square. Un altro articolo racconta “The Underground Rock History of the Ukrainian National Home”. Partecipazione speciale dei Gogol Bordello, che abbiamo conosciuto grazie al film di Liev Schreiber “Ogni cosa è illuminata”, suonavano sui titoli di coda. Il frontman ucraino Eugene Hütz (fuggito dall’Unione Sovietica con i genitori dopo Chernobyl) recitava la parte del traduttore che parla un inglese fantasioso, sbagliando i contrari e le frasi fatte. Dal romanzo di Jonathan Safran Foer, nipote di nonno ucraino.
 

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