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Kader Abdolah e il brivido della libertà

Chiara Clausi

L’eredità di Sherazade e delle “Mille e una notte”, spiegata dallo scrittore iraniano naturalizzato olandese

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Kader Abdolah scruta e sorride dietro ai suoi occhiali tondi. Ha grossi baffi bianchi che spiccano sulla giacca blu e la camicia azzurra e un’aria eccentrica. E’ nato in Iran, è rifugiato politico in Olanda dal 1988 e conosce bene l’Europa e l’Italia. Perseguitato prima dal regime dello scià e poi da quello di Khomeini, è stato finalista al Premio Lattes Grinzane 2021 con “Il sentiero delle babbucce gialle”, edito da Iperborea. Il racconto è ispirato alla vita di Said Sultanpur, poeta della rivoluzione iraniana, giustiziato nel 1981. Ma è anche un viaggio interiore alla ricerca di sé, delle proprie radici di uomo e di artista. Come la vita dell’uomo Kader.

Nella storia, realtà, autobiografia, mito e fiaba orientale si fondono. E’ rievocata l’antica Persia, i mutamenti che l’hanno travolta e la difficile modernizzazione dell’Iran. Una sintesi del rapporto travagliato dello scrittore con la sua patria. “Mio padre era sordomuto. Non parlava, né poteva ascoltare, né scrivere. E voleva che suo figlio fosse capace di tutto ciò. Da quando sono nato lo desiderava. Quando sono arrivato in Olanda era la voce di mio padre che mi appoggiava sempre”. Poi rammenta il suo rapporto attuale con l’Iran. “Al momento per me è una fiction, perché non ci posso tornare se non con l’immaginazione. Mia madre ha una demenza senile e accetta questo qualcuno, che sarei io, che la viene a trovare. Ridiamo, parliamo. Chissà se tornerò mai in futuro…”.

Nel frattempo Kader assapora il brivido della libertà in Olanda. “La libertà è dietro a ogni cosa. Ho scritto per la prima volta in olandese e solo dopo sono riuscito a esprimermi in questa lingua. E’ stata una magia. Come un astronauta che fluttua su, giù, a destra, a sinistra. E’ la libertà. I limiti, i freni culturali, politici sono scomparsi improvvisamente”. Ma perché si esprime con la scrittura? “E’ come chiedere a un melo perché dà mele. Io metto in fila le parole. Non si chiede a un melo perché produce mele…”. Certo, Kader ci spiega che la sua famiglia ha anche influito sul suo destino. “Nella mia famiglia sono tutti un po’ poeti. Ognuno ha un taccuino in tasca. Io sento questa vocazione nelle vene. La mia ambizione ora è portare l’attitudine poetica nella prosa”. Poi rammenta la tradizione secolare della Grande Persia: “Da ‘Le Mille e una notte’, a ‘I racconti di Sherazade’. I genitori ci sussurrano queste storie nelle orecchie da quando siamo bambini”. Ma la forza dell’Iran sono anche le sue donne. “Le iraniane sono le più forti e potenti al mondo. Sono di stampo afghano, ma il risultato è stato diverso. Le iraniane si oppongono, non ubbidiscono, usano la loro bellezza anche nella lotta contro gli Ayatollah”. Lo scrittore si sofferma sul potere del cambiamento che i migranti portano in ogni paese che li ospita. “Le grandi onde migratorie hanno bisogno di una nuova letteratura. Dio darà a loro la parola. La letteratura europea ha bisogno di nuove voci. E io sono una di quelle”. 

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Ma le due tradizioni quella occidentale e quella mediorientale sono molto distanti tra loro, come testimonia per esempio la credenza nei jinn, queste divinità a volte positive, altre volte diaboliche. “I jinn sono sempre con me, voglio inserirli nella letteratura attuale e portarli nelle vostre librerie”. Sorride, beffardo, come questi spiritelli a volte dispettosi. Ma come spiegare invece la realtà? “La realtà pura non può spiegare la realtà. La fiction sì, con uno sguardo esterno riusciamo a leggerla diversamente. La fiction serve anche per ricreare la realtà”. Ma, come Kader stesso ha scritto, “il dono più grande per il nostro futuro è un legame con il nostro passato”. E “Il sentiero delle babbucce gialle” è un viaggio catartico all’interno dell’anima persiana così enigmatica e irresistibile.

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