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Review del Foglio

Di vino o di virtù: come vi pare, ma ubriacatevi. Intervista a Cass Sunstein

Paola Peduzzi

Il paternalista libertario appassionato di debolezze umane studia gli inciampi che ci fanno essere spesso così poco razionali. Il rumore che facciamo vivendo e scegliendo, le bugie buone e le spintarelle che ci servono per sbagliare ancora, e meglio

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Questo articolo è stato pubblicato sul terzo numero del Foglio Review, il mensile diretto da Annalena Benini che trovate in edicola oppure in digitale qui.


 

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Cass Sunstein è uno degli intellettuali più prolifici del pianeta, scrive moltissimo, lavora a intermittenza nel governo americano, insegna ad Harvard, è un costituzionalista, un economista e un sociologo – studia come l’umanità prende le proprie decisioni, le ragioni per cui spesso facciamo deviazioni inattese rispetto al nostro e al suo unico interesse: vivere tutti meglio. Quindi lei cerca di capire perché facciamo scelte idiote?, avrei voluto chiedergli. Ma non la metterebbe mai così, Sunstein: per lui non esiste nemmeno l’irrazionalità. Esistono le perturbazioni, il chiasso, le bugie, i pregiudizi, le manipolazioni – esistono gli ostacoli che ci fanno inciampare, e lui è qui per indicarli e per darci gli strumenti per scansarli.

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Il suo successo più grande è stato Nudge, il saggio che scrisse con il premio Nobel Richard Thaler nel 2008 (in Italia è La spinta gentile, Feltrinelli) e che è diventato il termine più citato, a volte in modo impreciso, da molti leader politici – ci sono o ci sono state Nudge Unit in tanti governi: studiavano come indurre nelle persone comportamenti virtuosi, o più semplicemente servivano per fare “come Obama”. In questa sua indaffaratissima vita Sunstein è anche uno dei più cari amici di Barack Obama, ha lavorato nella sua Amministrazione (ora lavora in quella di Joe Biden) e seguendone la campagna elettorale ha incontrato la futura moglie, Samantha Power, “l’idealista” contro i genocidi, anche lei collaboratrice degli ultimi governi democratici americani. Anche per questo la sua teoria del “nudge”, la spintarella di cui abbiamo bisogno per fare cose utili a noi stessi e alla società, è amata e odiata, a seconda dell’orientamento politico, come tutti i prodotti obamiani. A un certo punto, alcuni conservatori dissero: Sunstein è l’uomo più pericoloso del mondo, vuole definire ciò che è giusto, ciò per cui vale la pena vivere, è un pifferaio magico. Sunstein dice che trovare al mondo qualcuno più liberale di lui è difficile, offre una delle sue tante definizioni di liberalismo ricorrendo a Baudelaire e a “Enivrez-vous” (“di vino, di poesia o di virtù: come vi pare, ma ubriacatevi”), e spiega perché di Nudge hanno scritto, lui e Thaler, una Final Edition pubblicata da poco. Mentre parliamo di questa versione finale capisco perché sono affascinata dal pensiero di Cass Sunstein: la sua passione per le debolezze umane e l’instancabile ricerca della scelta perfetta sono irresistibili, e lo è anche la sua illusione di mettere la parola fine al ragionamento, gridando “final edition”, pur sapendo che non si accontenterà mai del finale che ha scritto oggi, e domani proverà a inventarne un altro.

 

Richard Thaler, che ha vinto il Nobel per l’Economia nel 2017 ed è uno dei massimi esperti dell’economia comportamentalista, dice che avete deciso di fare un’edizione finale per spingere voi stessi a non rivedere e rieditare mai più questo vostro saggio. Che temi affrontate?
Caspita, per rispondere davvero dovrei chiederle di pubblicare almeno metà del nuovo libro. In breve: avevamo alcune cose da dire sulla pandemia e sugli stimoli per creare un approccio solidale. C’è un capitolo sugli sludge, che letteralmente significano melma e hanno un’assonanza perfetta con i nudge e che di fatto sono i rallentamenti, tutto quello in cui finiamo impantanati, che siano faccende burocratiche, tempi di attesa lunghi o oneri amministrativi che possono peggiorare molto la vita delle persone. C’è un capitolo sui cambiamenti climatici, che è probabilmente il mio preferito. Al fondo di questo lavoro c’è l’analisi di ciò che definiamo “attenzione limitata” delle persone, che impatta sulle nostre decisioni e che opera in modi che, ho scoperto, possono essere anche divertenti.

Quando uscì Nudge, lei fu definito da alcuni conservatori l’uomo più pericoloso del mondo. Le rimproveravano di voler definire un nuovo sistema morale. Non c’è un’idea di onnipotenza nel dare spintarelle verso quel che lei considera “giusto”?
Thaler e io non pensiamo che tocchi allo stato definire “un sistema morale”. Detesto l’idea stessa di definire un sistema morale. Il criterio che abbiamo scelto per valutare i nudge è semplice: migliorano le condizioni di chi sceglie? E rispondiamo in base alle priorità individuali, non quelle di un governo o dello stato. Medici e ospedali cercano di spingerti ad assumere il farmaco che ti è stato prescritto. In alcuni paesi, acquistando un’auto vengono fornite moltissime informazioni, forse per spingere i compratori a considerare l’investimento in termini di maggiore sicurezza personale o del risparmio di carburante e quindi di denaro. In altri paesi, assieme all’estratto conto della carta di credito ti danno altre indicazioni, forse per spingerti a rispettare le scadenze dei pagamenti. Ma le spintarelle preservano e anzi custodiscono la libertà di scelta: si basano su un senso di umiltà, non certo sull’onnipotenza, chi dà il nudge sa benissimo di potersi sbagliare. Thaler e io sosteniamo che ognuno di noi può trarre beneficio dai dispositivi gps, dalle informazioni (sui prodotti che compriamo), dalle avvertenze (sugli allergeni negli alimenti), dai promemoria (su un appuntamento dal medico), da processi più semplici (ad esempio formulari più brevi da compilare senza perdere la pazienza).

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Amo molto nei suoi libri e nei suoi studi gli esempi di vita quotidiana che porta a sostegno delle sue tesi. In Liars, uno dei libri che ha pubblicato quest’anno e che dedica a “chi sa dire la verità nell’anno 2020 della pandemia”, fa una distinzione tra le bugie buone e quelle che distruggono il nostro sistema sociale e democratico. Dov’è il confine, se esiste, tra la libertà di espressione e la libertà di mentire?
Mi sono alzato molto presto oggi – alle 5 del mattino. E’ una bugia: mi sono alzato alle sei e mezzo. Ma questa bugia non dovrebbe essere un crimine. Per trovare un confine, abbiamo bisogno di un quadro di riferimento. Eccone una parte: potremmo chiederci se una bugia può causare gravi danni nell’immediato futuro. Se qualcuno vende un prodotto dicendo che previene il Covid-19 quando in realtà non lo fa, stiamo parlando di frode, non di libertà di parola. Ma se qualcuno dice che i Rolling Stones erano migliori dei Beatles, o che Shakespeare non ha scritto le opere di Shakespeare, questa è libertà di parola. E se qualcuno mente a un terrorista per prevenire un atto terroristico, ecco questa è una bugia moralmente giustificata.

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Ha mai detto una bugia e pensato: questo tipo di bugia dovrebbe essere un crimine?
Non mi è mai successo, e sono felice di poterlo dire.

Anche in Rumore (edito in Italia da Utet), un altro libro che ha pubblicato quest’anno assieme al premio Nobel Daniel Kahneman e a Oliver Sibony, procede allo stesso modo: distinguendo il rumore di sottofondo che può essere innocuo dalle interferenze che alterano i nostri processi decisionali. E’ pericoloso il chiasso per le nostre società?
Il termine noise, traducibile come perturbazione, interferenza, indica prima di tutto una fluttuazione casuale. Pensa a una bilancia che ti misura più pesante il lunedì e il martedì – come fa la mia bilancia – ma più leggero di quanto sei in realtà il mercoledì e il giovedì – purtroppo la mia bilancia non lo fa. Il giudizio umano è come questa bilancia quando viene a contatto con i pregiudizi, con il chiasso intorno, con le interferenze. Così un medico prende una decisione al mattino riguardo a un paziente e magari una molto diversa al pomeriggio su un paziente che presenta gli stessi sintomi. C’è stata una fluttuazione casuale, un noise. Così un delinquente può essere condannato a cinque anni di carcere da un giudice e un altro delinquente, avendo commesso lo stesso crimine, potrebbe ottenere la libertà vigilata da un altro giudice. Negli affari, nelle attività governative, nelle assunzioni, nell’istruzione, nelle relazioni con i clienti, nelle concessioni di asilo ai migranti: questo chiasso si trova ovunque. Ma quel che mi colpisce è che, pur essendo in bella vista, ci risulta spesso nascosto o indecifrabile.

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Lei cerca sempre di distinguere tra irrazionalità buona e perversa. Come si rende visibile e comprensibile questa distinzione?
Il termine che preferisco utilizzare è “razionalità condizionata” o “razionalità imperfetta”. Cerco di evitare la parola irrazionalità e non la uso quasi mai: anzi, spero di non utilizzarla proprio mai. Se le persone rifiutano di accettare certi rischi per la propria salute, ecco che parlo di razionalità condizionata. Lo stesso vale per chi non sa ragionare sul lungo termine: la sua è una razionalità imperfetta o vincolata.

Lei ha raccontato di essersi innamorato, da ragazzo e per poco tempo, dell’intellettuale libertaria Ayn ​​Rand. Poi cambiò idea perché Rand era “spietata nei confronti della fragilità umana”. Quali sono le fragilità umane che più la appassionano e quale fragilità impatta di più sulla tenuta del nostro modello democratico?
Mi interessano moltissime fragilità, anche se le intendo più nel senso di: pregiudizi umani. Il cosiddetto “ottimismo fuori dalla realtà” mi appassiona in modo particolare, non ultimo perché ha un’accezione positiva e negativa. Se sei ottimista in modo poco realistico, potresti fare meglio e potresti addirittura divertirti: penso al lavoro, allo sport o alle relazioni sentimentali, dove l’ottimismo fuori dalla realtà può addirittura portarti a successi insperati. Ma puoi anche finire nei guai: penso alla salute così al centro dei nostri pensieri in questi ultimi anni e a chi, ottimista in modo irrealistico, finisce per non considerare certi rischi, personali e collettivi. Anche il cosiddetto present bias – il presentismo, avere una prospettiva soltanto per il breve periodo – lo trovo molto interessante. E l’inerzia, che fenomeno affascinante: tendiamo a non gradire il cambiamento e così ci sembra che l’inerzia sembri conveniente, ma in realtà è spesso una trappola. Finiamo per evitare cambiamenti che renderebbero la nostra vita migliore. Ayn Rand era una pensatrice spietata non tanto per come considerava questo tipo di pregiudizi, ma perché scriveva con disprezzo delle debolezze umane: potevi quasi vederlo tra le righe, il suo ghigno. L’effetto sulla società e sui nostri sistemi democratici è molto ampio: credo che la cosiddetta “mentalità del soldato” sia il problema più grande dei nostri tempi. Tendiamo a credere a ciò che vogliamo credere e spesso allontaniamo o rifiutiamo le altre persone quando non sono d’accordo con noi. Sono da sempre convinto che è meglio imparare dagli altri, soprattutto se non la pensano come te, ed è una cosa essenziale per la salvaguardia di una democrazia.

 

 

Mi sembra che molto di quello che lei scrive e studia abbia lo scopo di preservare il nostro bene più prezioso: la fiducia. Fiducia nelle persone, fiducia nelle istituzioni, nei media, anche nel futuro. E’ così?
Gran parte della mia attenzione è sulla libertà: cosa significa e cosa non significa. Gran parte della mia attenzione è anche sulla scelta: perché scegliamo male, perché scegliamo bene, quando possiamo scegliere meglio. Sono profondamente interessato al benessere e a ciò che rende bella la vita. La fiducia è fondamentale, ma è uno strumento per comprendere la libertà e per riconoscere la capacità di vivere tutti meglio.

Si definisce un “paternalista libertario”, e questa definizione fa drizzare i capelli a molti libertari, che rifiutano l’idea stessa di paternalismo perché è sinonimo di big government, di una grande presenza dello stato nella vita dei cittadini. Lei è quindi un libertario invadente?
Per me è il contrario, il paternalismo libertario implica uno small government, non big. Le faccio un esempio: un dispositivo gps rappresenta una forma di paternalismo libertario, preserva la tua libertà di scelta, ma ti aiuta ad arrivare dove vuoi andare in tempi inferiori. Le avvertenze ad esempio nei foglietti delle medicine sono una forma di paternalismo libertario, come lo sono i promemoria. Il nudge è small government, è una spinta gentile verso comportanti virtuosi, e infatti spesso non è sufficiente e va combinata con altre regole o leggi.

E’ Natale. Le famiglie sono il luogo dove il chiasso, le bugie, le debolezze trovano la loro massima espressione. Ma è vero anche il contrario: in famiglia si trovano gli amori assoluti, la solidarietà assoluta, i patti per sempre. E’ vero secondo lei che scriviamo e pensiamo a tante questioni e problemi ma alla fine scriviamo sempre delle nostre famiglie?
Io adoro il Natale e quest’anno adoro ancora di più il nuovo albero che ci siamo comprati, ma non penso di parlare e scrivere molto della mia famiglia, di mia moglie, dei miei figli, o dei miei nudge personali. Cerco di rispondere a domande universali sulla salute, la sicurezza, l’ambiente, la povertà, la libertà, la democrazia e l’uguaglianza. Ho scritto della relazione con mio padre e con mio figlio nel mio piccolo saggio su Star Wars, ma è stata un’eccezione.

E’ vero, ha anche scritto di Star Wars. Ogni volta tutti chiedono: come fa Sunstein a essere così prolifico? Mi dica il suo segreto.
Non sto fuori la notte fino a tardi e non bevo molto. Quando non lavoro per il governo, cerco di scrivere ogni giorno, direi almeno per tre ore. Faccio moltissime revisioni ma so che qualunque cosa scrivo verrà rivista molte volte anche dagli altri, per questo mi piace cominciare, buttare giù le idee e poi vedere cosa emerge, dove vado a finire.

Lei ha anche la passione dello squash, anzi c’è chi dice che il suo rapporto con questo sport, quanto ci si dedica e a che livello, dica molto di lei e dell’andamento dei suoi pensieri. E’ vero?
Direi proprio di sì. Gioco a squash almeno due volte a settimana. Questo sport mi ha insegnato a pensare in termini di probabilità: sul campo non puoi essere sicuro di vincere, ma puoi lavorare per aumentare, e ahimè diminuire, le probabilità di vittoria. Quindi la morale è: se perdi, è ok, ma è una spintarella. Impegnati di più, la prossima volta.

 


Le illustrazioni usate nell'articolo sono di Vincino

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