La regista Emma Dante al festival di Venezia 2020 (LaPresse) 

"Misericordia" in scena

Emma Dante torna a teatro per raccontare le sue donne

Stefano Pistolini

La regista siciliana inaugura la stagione teatrale romana all'Argentina: una parabola di degrado e femminicidio, vulnerabilità e maternità in un cupo basso cittadino del sud. Dove la misericordia si trova dentro, perché fuori s’è smesso di cercarla

Secco, veloce e prodigiosamente cinetico, inaugura la stagione teatrale romana all’Argentina “Misericordia” della regista siciliana Emma Dante, coproduzione del Piccolo di Milano e dell’Atto Unico/Compagnia Sud Costa Occidentale, già transitato con successo per il gran festival d’Avignone e poi tormentato e sospeso nelle presentazioni nazionali causa Covid.

 

Emozioni forti e muscoli vibranti si mescolano nella scheletrica storia di tre donne del sud, chiuse in un cupo basso cittadino dove sopravvivono arrangiandosi in ogni maniera lecita e illecita – cucendo e vendendo il loro corpo con la stessa fatale rassegnazione, nel secondo caso almeno col gusto di un grottesco sberleffo – non rinunciando alla risoluzione della loro femminilità, veicolandola dove possono, ovvero nell’intimo, turbolento rapporto reciproco e poi nell’affezione che riversano insieme per Arturo, un ragazzino disgraziato, d’età imprecisata, iperattivo e scollegato, figlio di un’altra di loro che non c’è più, cancellata dalla prepotenza di un uomo che fu suo cliente, amante, padre e carnefice.

 

La scena è nera, tagliata da fasci di luce e punteggiata dai colori primari dei giochetti da due soldi che Anna, Nuzza e Bettina (Leonarda Saffi, Manuela Lo Sicco e Italia Carroccio) usano per tener buono Arturo, in attesa che lo vengano a prendere per portarlo nella casa di cura, dove il suo gramo destino sarà segnato. Lo spettacolo racchiude in 55 minuti uno spaccato di quella relazione amara, dolorosa, rassegnata, in una povertà infernale e senza vie d’uscita, dove la misericordia si trova dentro, perché fuori s’è smesso di cercarla.

Il tugurio, le sediacce di legno, un carillon, le vestagliette: la poesia esplode tutta nella trasposizione di queste ordinarie tragedie in un’espressione completamente fisica, dove amore e antipatia, solidarietà e rabbia, miseria e violenza diventano espressione corporea estrema, sguaiata, gridata e rincorsa tra i tonfi sulle tavole di legno, nel tourbillon in cui assurge la maestria di Simone Zambelli, il ballerino-attore che interpreta Arturo con una parossistica condizione di tensione nervosa, in un ciclico raccogliersi-contrarsi-esplodere delle sue sembianze asciutte, che lo deformano, lo tirano, lo spalmano, richiamando alla mente le performance al confine dell’estremo sacrificio che furono di un Ryszard Cieslak ai tempi del grotoskiano “Principe Costante”.

La parabola di degrado e femminicidio, vulnerabilità e maternità scritta dalla Dante riecheggia suoi temi già visti sul grande schermo nelle “Sorelle Macaluso”. E d’altronde anche “Misericordia” l’anno prossimo è destinato a diventare un film, dove sarà essenziale che la trasposizione mantenga questa sospesa nettezza, il distacco dal reale rimanendo nella verità che la messinscena contiene prodigiosamente. Presto riconosciuta dal pubblico, che partecipa con trasporto, com’è giusto che sia di fronte alla rappresentazione pubblica di un dramma i cui ingredienti tutti già conosciamo, eppure il vederli descritti con tale forza induce, oltre a percepire la misericordia, a invocare la pietà. 

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