Foto LaPresse

Sciascia e il Fatto, che non ha fatto

Valter Vecellio

Un articolo per (non) dargli del raccomandato rivela un metodo giornalistico

Lo ricorda Umberto Eco: “L’insinuazione efficace è quella che riferisce fatti di per sé privi di valore, ancorché non smentibili, perché veri”. La cosa la si potrebbe chiudere così, senza neppure quasi aprirla. Dare pratica attuazione al suggerimento di Alberto Savinio alle invettive di imbecilli e fanatici: “Cadranno ai piedi della mia gelida indifferenza”. No, invece. Consapevoli del fatto che replicando si fornisce una legittimazione che non si dovrebbe concedere, meglio fare tesoro di un vecchio detto: “Prima vieni chiacchierato; poi ti rimproverano di essere chiacchierato”. Tocca a tutti, e Leonardo Sciascia non poteva certo esserne risparmiato. Anzi.

 

L’ultimo schizzo di fango? Sul Fatto. Un lungo e più che vago articolo dal titolo in prima pagina: “Anche Sciascia ‘segnalato’ dall’onorevole”. E poi: “Lettera del ‘48 su Sciascia: ‘Sì, ha passato il concorso’”.

“Su” Sciascia, neppure “di” Sciascia. Una letterina scritta da un funzionario del Provveditorato di Agrigento a un deputato dell’Uomo Qualunque e poi missino. Un Carneade chiamato Pietro Sapienza. Non c’è traccia di altro nello “scavo” che si suppone meticoloso, di un ricercatore che ha avuto modo di studiare le carte del parlamentare. E infatti nella coda del lungo articolo si legge: “Nella lettera non c’è nessuna traccia di raccomandazione”. E come potrebbe esserci, visto che si riferisce semplicemente che Sciascia ha superato il concorso per maestro? Pur non essendoci nulla, non ci si esime dal sospetto, dall’insinuazione, facendosi scudo di una nota scritta dallo stesso Sciascia, per il settimanale l’Espresso: a partire dal carteggio di Manzoni, considerazioni sulla “raccomandazione”.

“Chissà cosa ne direbbe Sciascia”, si chiede l’autore dell’articolo. Probabilmente ne sorriderebbe. In vita (ma anche in morte), ha dovuto patire di peggio. Una sommaria antologia: “Codardo”, “Sprazzi di autentica balordaggine”, “Lancia avvertimenti mafiosi”, “Aspetto profondamente reazionario”, “Precipitato al livello di un terrorismo piccolo borghese”, “Amara e inutile vecchiaia”, “Tradito dagli anni e dall’autentico livore”, “Stregato dalla mafia”, “Gravissimi furono i suoi silenzi”, “Non ci serve più”, “Il suo credo: vendo, ergo sum”, “Disfattista”, “Arrogante”, “Si riduce a misere polemiche sulle Brigate Rosse e l’antimafia”, “Nei suoi romanzi qualunquismo e codardia civile”, “Iena dattilografa”, “Trotskista”, “Quaquaraquà”...

 

Proprio in un’intervista al Fatto Andrea Camilleri riprende l’invettiva scagliata (Sciascia morto) da Pino Arlacchi: “Il giorno della civetta” sarebbe nientemeno che il romanzo che la mafia avrebbe voluto fosse scritto, esaltazione non del diritto, ma del boss Mariano Arena. Tutto questo per le verità contenute nei suoi libri, per il suo impegno a fianco di Marco Pannella e Enzo Tortora.

L’articolo del Fatto arzigogola alla fine con una quantità di “se”:  se Sciascia non fosse diventato maestro, non avrebbe scritto le “Cronache scolastiche”, e non le avrebbe pubblicate prima su Nuovi Argomenti e poi da Laterza. Insomma non sarebbe (forse) diventato lo Sciascia che sappiamo. Conclusione: “Se anche il parlamentare avesse raccomandato Sciascia (e non lo ha fatto), sarebbe un benemerito”. Insomma, si costruisce un paginone e nell’ultima riga si dice: “E non lo ha fatto”. Intanto, l’insinuazione di cui parla Eco, la “chiacchiera”, il rimprovero di essere chiacchierato. Il Fatto, è un metodo.