FACCE DISPARI

Grazia Marchianò, viaggiatrice tra i mondi di Elémire

Francesco Palmieri

Il sodalizio con Zolla, il dialogo tra l'Occidente e l'Oriente, il provincialismo tenace della cultura italiana. E una risposta a Odifreddi

Una cassa, due, tre… fino a trecento. Proprio mentre si pubblica questa intervista, trecento casse di libri partono da Montepulciano, dove Elémire Zolla trascorse gli ultimi anni e dove vive la sua ultima moglie, Grazia Marchianò. Destinazione Villa Falconieri a Frascati. Qui biblioteca e archivio del grande studioso hanno trovato definitiva sistemazione. Grazia, orientalista e già ordinario di Estetica all’Università di Siena-Arezzo, non ha mai smesso di lavorare, dalla morte di Elémire, alla cura e alla pubblicazione delle sue opere, con maggiore intensità quanto più s’avvicina il ventennale della morte di Zolla, avvenuta il 29 maggio del 2002. Lei riceve la gratitudine di chi ama ancora un pensatore forse più considerato all’estero che in Italia, e ne difende la memoria dagli attacchi cui già fu avvezzo in vita, sin da quando pubblicò l’Eclissi dell’intellettuale. L’ultima sciabolata giorni fa: l’opinionista televisivo (e matematico) Piergiorgio Odifreddi ha definito Zolla “cialtrone” in un sulfureo obituary per Calasso composto a pentagramma rovesciato. “Troppo scurrile per una replica”, sbotta di primo acchito la Marchianò alla lettura dell’articolo. Poi una risposta gliela dà e si trova più sotto. È certo un fatto, che in vita come in morte, ogni destino “dispari” offra occasione di dispute non suscitate.

  

Qual è stata l’importanza e quale l’influenza di Zolla sulla cultura italiana?

Tra coloro che fanno opinione e assegnano punteggi, Zolla ha avuto e ha tuttora molti nemici. Le etichette di “maestro scomodo”, “intellettuale eterodosso”, “filosofo strano e inquietante”, “psicopompo”, “Zolla degli spiriti”, “chierico vagante e cercatore di aure”, “turista metafisico”, sono perfino le più benevole, ma non intaccano la reverenza silenziosa verso una mente temeraria che ha scrutato nel profondo la bellezza e la crudeltà del mondo della Vita, riversando nei suoi scritti una conoscenza non confinaria dispiegata nell’Opera omnia che da anni allestisco e commento nelle edizioni Marsilio, riconosciuta dall’Unesco bene immateriale dell’Umanità assieme ai 67 fascicoli della rivista ‘Conoscenza religiosa’ (1969-1983), ormai introvabili, che cercherò di rieditare.

 

Qual è la sua eredità spirituale a quasi vent’anni dalla morte?

È corretto parlare di un’eredità anche spirituale del lascito zolliano. Lui, laico, apparteneva alla schiera, oggi sempre più rara tra gli stessi religiosi, di individui chiamati in Grecia pneumatikoi (da pneuma spirito, ebraico ruah, sanscrito prana), votati al risveglio delle potenze interiori, dell’ispirazione creativa, della contemplazione lucida, della meditazione che apre all’illimitato sotto ogni cielo. Una bella metafora li descrive “raccoglitori di scintille”, capaci di suscitarle nel cuore, il loro e quello altrui. Nell’antologia di scritti di quattro stagioni che ho raccolto ne Il conoscitore di segreti (Marsilio 2012), ho intitolato epifanie testi nei quali Zolla lancia ponti sottili tra “ciò che ha vita e cade e ciò che dà vita e sale” – come aveva detto commentando un antico testo cabbalistico.

 

E il lascito materiale?

Quanto a questo, dopo anni di faticose ricerche, la biblioteca Zolla e l’archivio privato hanno trovato l’approdo giusto presso l’Accademia Vivarium Novum a Villa Falconieri, a Frascati, proprio nell’imminenza dell’avvio, per iniziativa del professor Luigi Miraglia e il sostegno interministeriale, di un Campus Mondiale dell’Umanesimo allestito nella rete di cinque ville storiche tuscolane. Il dialogo tra Oriente e Occidente è uno degli obiettivi focali delle iniziative del Campus in sinergia con l’Associazione Internazionale di Studi sul Mediterraneo e l’Oriente. Per valorizzare l’eredità intellettuale e spirituale zolliana non poteva esserci ambiente più adatto, invitando giovani ricercatori e borsisti a immergersi negli scritti, nel prezioso archivio e nella collezione di ‘Conoscenza religiosa’. “Alla radice dell’Occidente – Zolla scriveva molto tempo fa – c’è una tradizione spirituale celata, concepita dai fondatori originari delle nostre scienze, ma poi travisata e cancellata con cura, sicché ben pochi ne conoscono ormai i nomi stessi, salvo i rarissimi che abbiano in tasca la storia delle stelle e di poter andare in direzione del futuro solo guardando al passato…”. Al Vivarium Novum, questa tradizione tornerà a vivere in un tempo profondamente mutato.

   

Qual è la causa del feroce livore di alcuni, per ultimo Odifreddi, nei confronti di Zolla?

Mi rammarico per Piergiorgio Odifreddi di avere infarcito l’articolo in morte di Roberto Calasso di insulti riferiti al taglio “antiscientifico” di edizioni che hanno il merito di avere diffuso in Italia testi pregiatissimi di una galassia internazionale di fisici, biologi, neuroscienziati, matematici, oltre che orientalisti, massimi studiosi dell’esoterismo ebraico, filosofi e scrittori di enorme spessore di cinque continenti. Definire “ciarlatani” alcuni di essi come Pauli, Capra, Zolla, Zellini, Cacciari o lo stesso Calasso è uno sport ampiamente praticato da esponenti inviperiti della Repubblica di Cacania. Capita che gli insulti tornino indietro a chi li ha stolidamente proferiti.

 

Vent’anni senza Zolla per Grazia Marchianò. Una considerazione personale: di lui cosa le manca di più?

Sono allenata alla solitudine. Vivo alla maniera di Zolla, studiando, meditando, scrivendo, pensando. Pensare il pensiero è un’immersione a tempo pieno, ben altro che un pensare per riferire, annacquare, travisare, perseguitare, ingannare… Mi mancano quelle meravigliose conversazioni che zampillavano tra noi mentre si era in viaggio e dalle sue labbra sgorgavano parole definitive, a volte pesanti come pietre. Mi manca la sua arte di coniugare immedesimazione e distacco, ardore e freddezza, ignorando le pene di un corpo segnato dalla malattia.

 

A proposito: Zolla come avrebbe affrontato la pandemia? Quale lettura ne avrebbe dato?

Otto secoli orsono, l’autore fiorentino della Commedia definì la casa oggi chiamata Gaia “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Dante, Paradiso XXII, 151). In quelle dodici sillabe la saldatura tra l’amenità del luogo e la ferocia toglie il fiato. La ferocia è della “aiuola”, della malizia umana o di entrambe? Le pandemie sono un flagello ricorrente e posso immaginare che Zolla al riguardo avrebbe evocato due miti greci dalla pregnanza simbolica universale: l’orfico e il prometeico. Mentre il cantore-sciamano Orfeo mira a promuovere la mansueta alleanza, la spontanea, gioiosa naturalezza tra le creature, Prometeo le soggioga con l’astuzia pietrificandole, e tutti i mali racchiusi nel vaso di Pandora, alleata del Titano, si spargono agli estremi confini della terra, seminando sciagure, sottraendo agli inermi abitanti dell’”aiuola” il bene più prezioso: il respiro, com’è accaduto nel 2020.

  

Le anticipazioni ottimistiche di Zolla sull’intelligenza artificiale e la realtà virtuale si sono realizzate in questi vent’anni o sono state disattese?

Zolla previde con grande anticipo la deriva robotica e la concertazione algoritmica di un androide intelligente, capace dapprima di agevolare gli umani nell’espletamento di servizi essenziali con ogni genere di risorse potenziate dalla fisica quantistica. Un avvento descritto recentemente con gelido entusiasmo dallo storico israeliano Yuval Noah Harari, abile scenografo di un futuro prossimo in tre acclamati best seller. In Uscite dal mondo (1992, Omnia Marsilio 2012) e in svariate occasioni pubbliche Zolla, da par suo, si era divertito a immaginare i modi in cui sarebbe mutato lo stile di vita del cittadino planetario entro il 2030, la varietà di ‘maschere’ depersonalizzanti che avrebbe potuto indossare, delocalizzazioni e incursioni in altre dimensioni. Una previsione troppo acerba per non sconcertare, al tempo, molti soi-disant benpensanti.

 

Oriente e Occidente, in questo ventennio, si sono maggiormente distanziati oppure avvicinati?

Negli ultimi vent’anni la deriva tecnologica ha omologato le distanze estrinseche tra Occidente e Oriente: si lavora, si viaggia, ci si veste, ci si dispera, ci si ammala in modi quasi sovrapponibili, ma dietro l’apparenza si agitano sottili tsunami spirituali, si formano in sordina comunità solidali dedite alla tutela della Terra, alla salvaguardia del bene comune, a stili di vita frugali, a pratiche di risveglio alla consapevolezza, a ricerche sulla mente-cervello condivise da neuroscienziati, meditatori buddhisti e dzogchen, a incontri interdisciplinari in cui interviene regolarmente il XIV Dalai Lama, Tenzin Gyatso. Più che di un avvicinamento tra Oriente e Occidente, è appropriato parlare nei casi citati di ‘integrazione’: non sono pochi i fisici di mente aperta a immaginare una possibile ‘spiritualizzazione’ della scienza di base olistica, fortemente sostenuta da Fritjiof Capra, l’autore del memorabile Tao della fisica (1975) che l’esimio Odifreddi taccia tra i “ciarlatani” di Adelphi.

 

“Ogni vita”, scrisse Zolla, “comporta una invisibile interiorità, che ne è la sostanza”. A quanti riesce il “balzo controcorrente” verso questa “esoterica possibilità”?

Il balzo controcorrente, di cui i salmoni sono maestri nella parte ferocemente terminale della vita, si addice tra gli umani a pochi individui convintamente fondati su se stessi, sprezzanti del costo da pagare nel balzo dal sotto al di sopra, e del tutto indifferenti al giudizio altrui. “Esoterico”, in greco, significò “più interno” in un senso però tutto fisico. Ad esempio la parte del tempo ortodosso segnato dall’iconostasi, si definiva esoterikon. Se il salto controcorrente è una possibilità “esoterica”, lo è perché coinvolge la sfera più interna che Zolla amava definire “il lato indicibile della persona”.

  

Può rievocare il suo incontro con Elémire? Fu subito amore o maturò lentamente?

Ho incontrato Zolla per pura sete di conoscenza, la stessa che mi ha incamminato per le vie dell’India e dell’Asia orientale. Leggendo i suoi libri di taglio tanto singolare nella cultura italiana degli anni Sessanta e Settanta, ascoltando le sue lezioni e conferenze, constatando quanto frugale era il suo stile di vita e la fragilità della salute fisica, ho ‘sentito’ di stargli accanto, di attingere alla sua saggezza e di sostenerlo nella vita quotidiana.

 

Ma le riuscì facile?

Al tempo lui era un personaggio pubblico, corteggiato e detestato allo stesso tempo, e dopo la morte di Cristina Campo nel 1977, la mia presenza accanto a lui risultò sgradita a molti intellettuali che lo frequentavano, e lo è tuttora. Feci la mia carriera universitaria in varie sedi, mi trovai editori diversi dai suoi, e gli unici intrecci tangibili furono la collaborazione a svariati fascicoli della sua rivista ‘Conoscenza religiosa’ e i viaggi in quattro continenti finché le condizioni glielo consentirono. Ho vissuto la sua morte dolorosa e illuminata, e le circostanze di una vita non facile mi hanno rafforzato.

 

Lei ha una grande pratica esperienziale del sapere orientale ed è fra i rari studiosi italiani che hanno affiancato ai libri una conoscenza diretta.

Da giovane, dopo la laurea in filosofia, ho vissuto tre anni in India all’Università Tagore nel Bengala con una borsa di studio dell’IsMEO. Quel periodo e i viaggi nell’intero sub-continente sono stati decisivi. Ho ‘sentito’ di fare mio il progetto di tanti predecessori di favorire l’incontro tra la forma mentis europea, etnocentrica e dualista e i grandi giacimenti intellettuali e spirituali dell’India e dell’Asia orientale. Ho compreso che la ‘via’ buddhista fondata su un programma millenario di educazione integrale dell’individuo e risveglio delle sue potenzialità sottili è la più adatta ad accompagnare il mutamento antropologico in atto sul pianeta. L’ho compreso sui testi e vivendo di persona una esperienza trasformativa in un monastero della linea buddhista shingon a Koyasan, una sperduta località di montagna, una sorta di Athos giapponese. Ho cercato di equilibrare la ricerca teorica e la pratica di consapevolezza, l’insegnamento, la meditazione silenziosa e la scrittura. Il sodalizio con Elémire Zolla durato un quarto di secolo, l’esame puntuale dei suoi scritti e la custodia del suo patrimonio intellettuale sono stati l’altra vicenda determinante.

  

Come vede la cultura italiana? Rispetto agli anni scorsi è più vivace o più smorta?

La cultura italiana, che è stata cosmopolita dai tempi di Federico II di Svevia, di Dante e nel clima mai più raggiunto del Quattrocento fiorentino, risente dall’Ottocento in poi di un provincialismo tenace con ‘parrocchie’ ideologiche molto accorte nell’accoglienza o nel rifiuto di ‘persone non grate’, indipendentemente dal valore intrinseco, ritenuto del tutto secondario. Le testate di riviste di alta cultura, dove la critica e il commento di opere e autori erano un tempo esercitate da ‘lettori’ di professione, sono decedute. Sopravvivono ottime rubriche settimanali di cultura, decisamente tra le migliori nel panorama europeo, e la circolazione di opere in traduzione è apprezzabilmente abbondante. La qualità nel complesso è buona. Ma l’impronta insulare rimane.

   

Consiglierebbe oggi a un giovane un soggiorno in Oriente come fece lei? O il contesto è troppo cambiato?

I paesi asiatici, incluso il Tibet cinesizzato, conservano tracce della vita e dei costumi tradizionali tra le piccole comunità locali e nei villaggi, non più nelle megalopoli sovraffollate. Un giovane interessato agli studi di orientalistica e delle lingue classiche e moderne può documentarsi più agevolmente negli atenei e nelle grandi biblioteche europee, statunitensi, canadesi, australiane. Se però è determinato, non teme i disagi e si procura in anticipo i luoghi giusti di approdo, può seguire le orme dei tantissimi che lo hanno preceduto nel Novecento, vivendo di persona quel che resta delle vecchie atmosfere lontano dai centri turistici. Nel 1991, in un libro che avevo curato per i 65 anni di Zolla, a proposito dei viaggi condivisi in India e in Giappone, accennavo alle “aure di un tempo concluso”. Le spedizioni in Tibet e nello Swat di Giuseppe Tucci, il nostro massimo orientalista e archeologo, appartengono al passato, ma l’ardore che animò lui o il giovane Fosco Maraini tra gli Ainu dell’isola di Hokkaido sta a noi risvegliarlo. Senza mai dimenticare che la chiave di crescita nel mutamento è solo interiore.

Di più su questi argomenti: