PUBBLICITÁ

il foglio del weekend

“I cattivi allievi di Nietzsche sono all’origine della decostruzione dell’occidente”

Giulio Meotti

 Intervista a Pierre-André Taguieff, autore di un nuovo libro sul filosofo tedesco

PUBBLICITÁ

Sotto il nome di Friedrich Nietzsche troviamo tutto e il contrario di tutto. Per più di un secolo il filosofo tedesco non ha smesso di essere reinventato, ricostruito, ristudiato, reinterpretato. Ha attratto reazionari e rivoluzionari, antiborghesi e filocapitalisti, moralisti e immoralisti, antimoderni e ipermoderni. Nel suo ultimo libro, Dans Les nietzschéens et leurs ennemis (Cerf), il celebre storico delle idee Pierre-André Taguieff li passa in rassegna, da Paul Valéry a Peter Sloterdijk, da Thomas Mann ad Albert Camus, da Stefan Zweig a Michel Foucault, da Gorki ad Althusser. Taguieff non è “contro” o “con” Nietzsche, ma “contro e con” lui. La tesi nuova di Taguieff è che Nietzsche, o meglio i suoi epigoni, è il padre dell’attuale ondata di decostruzione che martella oggi in occidente. “L’ideologia della decostruzione è stata formata dalle letture francesi di Nietzsche e in particolare di Heidegger durante gli anni Sessanta e Settanta”, dice Taguieff al Foglio. “La parola ‘decostruzione’ è stata coniata da Gérard Granel per tradurre il termine polisemico usato da Heidegger: ‘abbau’. Fu subito rilevata da Jacques Derrida, che ne fece una bandiera. Fu durante il famoso Congresso di Baltimora tenutosi dal 18 al 21 ottobre 1966, inaugurato con un tributo all’eredità nicciana, che nacque il poststrutturalismo, che doveva essere incarnato da Derrida”.

 

Una nuova interpretazione dei testi filosofici: “Non cercare di comprenderli attraverso i commenti, ma di scoprire cosa sarebbe nascosto dietro gli imponenti edifici concettuali. Nelle loro pubblicazioni degli anni Sessanta, Jacques Derrida e Michel Foucault legittimarono e banalizzarono la pratica della decostruzione, accompagnati da Gilles Deleuze e Jean-François Lyotard. Con il suo ‘Nietzsche and Philosophy’, pubblicato nel 1962, Deleuze riaccende l’interesse per il pensiero nicciano, definito una macchina da guerra contro la dialettica socratica, il pensiero cristiano e la filosofia hegeliana della storia. La decostruzione delle ‘grandi narrazioni’, che deve molto a Nietzsche, è all’origine del pensiero postmoderno, fondamentalmente relativistico. Ma, a partire dagli anni Ottanta, nei campus americani abbiamo assistito all’ampliamento del campo della decostruzione: i decostruttori hanno attaccato la civiltà europea o occidentale, ridotte a una produzione della presunta ‘razza bianca’ patriarcale, etero, imperialista e razzista. Dopo la decostruzione del ‘logocentrismo’ da parte dei seguaci di Heidegger e di un Nietzsche heideggerianizzato, seguita da quella del ‘fallocentrismo’ sotto la pressione delle femministe radicali, attraverso quella del ‘fallogocentrismo’ (Derrida), i decostruttori sono venuti da lì. Per attaccare il ‘leucocentrismo’ (da leukós, bianco), denunciano il ‘privilegio bianco’. Siamo qui molto lontani da Nietzsche, ma dobbiamo comunque riconoscere nelle illusioni ideologiche decoloniali le tracce di un’eredità falsificata dell’ultima filosofia di Nietzsche, quando quest’ultima invitava i suoi lettori a fare filosofia ‘a colpi di martello’. Ma né il ‘rovesciamento del platonismo’ né il suo desiderio di porre fine all’eredità cristiana implicavano per Nietzsche la distruzione del ‘pensiero bianco’. Troviamo nel niccianesimo politico di estrema sinistra degli anni Sessanta e Settanta un grande tema decostruzionista: far sparire, mettere a morte, non solo il soggetto o la coscienza, ma anche il reale e la verità. C’è tra i teorici della decostruzione, postmoderni o poststrutturalisti, un ‘nuovo fascino per il sovversivo’ come ha sottolineato Karl-Otto Apel, così come un giubilo per ‘l’autodistruzione della ragione’ nell’eredità del pensiero nicciano. E’ questo gusto per il ‘radicalismo’ nella critica della razionalità e della verità che i decostruzionisti contemporanei credevano di trovare in un Nietzsche che denuncia la verità come somma di errori utili o illusioni dannose”. 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

La decostruzione si trasforma. “Diventa così un rito ossessivo, senza altra finalità se non la sua indefinita ripetizione ed estensione. I pensatori postmoderni più radicali, trascinati dallo spirito di provocazione, hanno così intrapreso una crociata irrazionalista, conseguenza insoddisfatta del relativismo cognitivo, culturale e morale presupposto dalle loro analisi e dalle loro posizioni. Anche se si sono dati il compito di privare la militanza delle sue basi ‘metafisiche’ – le ‘grandi narrazioni’ della liberazione – rimangono attivisti, ma la loro causa si riduce al progetto di decostruire, cioè di distruggere tutto. Le eredità del pensiero europeo, a partire dalla ricerca della verità attraverso la conoscenza razionale”. 

 

Esiste un legame tra decostruzione e valutazione positiva della decadenza. “Decostruire è distruggere e spingere per distruggere. E’ incoraggiare e radicalizzare la distruzione di tutte le tradizioni e sistemi. In ‘Così parlò Zarathustra’, Nietzsche è molto esplicito: ‘Fratelli miei, forse sono crudele? Ma io dico: a ciò che sta cadendo si deve dare anche una spinta! Tutto quanto è dell’oggi – cade, decade: e chi può aver voglia di trattenerlo! Ma io – io ‘voglio’ anche dargli una spinta!’. Questo è un nuovo modo di pensare alla decadenza come a un processo globale che si fonde con la storia della civiltà occidentale. Da questa prospettiva decostruzionista e ‘sovversiva’, se giudichiamo che c’è decadenza, dobbiamo accelerarne il movimento. Ma questo tema non è affatto fissato nell’estrema sinistra intellettuale. Pensatori di tutti gli orientamenti politici che affermano di essere Nietzsche rientrano nel vecchio ritornello: ‘Viva la decadenza!’. La sensazione di assistere alla decadenza finale e di sperimentare il collasso di un mondo non porta necessariamente alla disperazione. La visione morale della decadenza viene abbandonata, a favore di una visione estetica e vitalista. L’estetizzazione del declino o della decadenza porta regolarmente alla contemplazione di una ‘gioiosa apocalisse’, il prodotto di una festosa trasfigurazione del taedium vitae. Va ricordato come lo stesso Nietzsche celebrò nel 1884, con lirismo, la contemplazione estetica dell’agonia europea: ‘Un mondo che crolla è un piacere non solo per chi guarda, ma anche per il distruttore. L’Europa è un mondo che crolla’. Accentuare e accelerare il movimento di decadenza, e goderne: questo è uno dei temi nietzscheani che si ritrovano negli autori più disparati. Questo programma consiste nel passare, in termini nicciani, dal ‘nichilismo passivo’ al ‘nichilismo attivo’. La svalutazione di tutti i valori non è sufficiente, dobbiamo trattarli come chimere dannose e sradicarle. In altre parole, la morte di Dio, quella del Dio  cristiano, non è sufficiente.

Dobbiamo eliminare ogni traccia di credenze monoteiste, distruggere tutte le nozioni che ne derivano per effetto della secolarizzazione. In un testo pubblicato nel 1976, ‘Piccola messa in prospettiva della decadenza e di alcune lotte minoritarie da condurre’, in cui delinea una politica ‘nietzscheana’, Lyotard chiede una radicalizzazione della decadenza: ‘Ecco una linea politica:  aggravare e accelerare la decadenza. Assumi la prospettiva del nichilismo attivo, non fermarti alla semplice osservazione della distruzione dei valori: metti  mano alla distruzione, lotta contro la restaurazione dei valori. Camminiamo veloci e lontani in questa direzione, siate intraprendenti nella decadenza, accettiamo di distruggere la fede nella verità in tutte le sue forme’. Questo per attaccare direttamente i fondamenti della tradizione razionalista occidentale, ma anche, più in generale, per chiedere la distruzione di tutti i valori (il vero, il buono, il giusto, ecc), assumendo così il nichilismo, trasformato in un tipo di politica estetizzata. Questo neo-niccianesimo consiste nel prendere atto del nichilismo e radicalizzarlo, credendo che l’autotrascendenza del nichilismo sia possibile e che costituisca un nuovo metodo di salvezza. Ma questa convinzione mostra che i decostruzionisti rimangono dialettici senza saperlo”. 

In che modo Nietzsche ha influenzato l’attuale relativismo occidentale? “Dobbiamo partire dalla ‘prospettiva’ di Nietzsche, che è un pluralismo radicale o un relativismo generalizzato, attinente alla conoscenza oltre che ai valori. La tesi fondamentale di Nietzsche è che ‘non ci sono fatti, solo interpretazioni’. Da qui la moltiplicazione dei ‘punti di vista’ e delle interpretazioni, che si riducono a diverse espressioni della volontà di potenza. Questa teoria pluralista della conoscenza implica una visione pluralista dell’interpretazione dei fenomeni. Ne consegue che il mondo è un caos, un insieme di forze antagoniste prive di significato e finalità globali, un ‘caosmo’ che solo il pensiero tragico può comprendere. Da qui la chiamata a creare nuovi valori e a dare un significato  a ciò che non ha senso in sé. Questo per erigere il soggetto onnipotente che valuta e dà significato come sostituto del dio creatore. Il dichiarato antimoderno che è Nietzsche non sfugge al soggettivismo, nel quale rimane intrappolato nel cerchio delle evidenze fondamentali della modernità. In ‘Così parlò Zarathustra’, il filosofo pone il problema dei valori riducendolo a quello del soggetto che valuta. Il soggetto inseparabilmente valutatore e creatore non è solo presupposto dall’esistenza di valori, ma è il più prezioso. L’atto di valutare incarna il valore supremo. Questa è l’evidenza con cui si può riassumere il soggettivismo dei moderni. Non basta rifiutare con rabbia il mondo moderno per sfuggire ai presupposti della modernità. Negli anni Sessanta, Nietzsche fu integrato nella celebre triade dei grandi ‘maestri del sospetto’, come testimonia il titolo stesso della conferenza di Michel Foucault a Royaumont nel luglio 1964: ‘Nietzsche, Freud, Marx’. Il pensatore ‘maledetto’ divenne  un pensatore alla moda, a costo di una deplorevole confusione: non c’è davvero niente in comune tra il teorico del comunismo  e il nemico assoluto di tutto il socialismo che era Nietzsche. Inoltre Foucault, il filosofo che diceva di ‘fare la storia’ e non più la filosofia, divenuto famoso nel 1966 con ‘Le parole e le cose’, mise le cose in chiaro in un’intervista pubblicata nel giugno 1967: ‘La mia archeologia deve più alla genealogia nicciana che allo strutturalismo vero e proprio’. Nietzsche aveva cercato di pensare al nichilismo interrogandosi sui mezzi per superarlo. Nei pensatori postmoderni, in particolare Jean Baudrillard, c’è un tentativo di trasfigurare il nichilismo, per renderlo non solo accettabile, ma desiderabile. Se il mondo è un caos incomprensibile, non dobbiamo cercare di trovarvi un ordine intelligibile: ‘La regola assoluta del pensiero è rendere il mondo come ci è stato dato – inintelligibile – e se possibile un po’ più inintelligibile. Un po ‘più enigmatico’”. 

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

C’è stato dunque un tradimento del pensiero nicciano. “Nietzsche ha cercato e creduto di trovare una via d’uscita dal nichilismo, dopo averlo vissuto e attraversato. E’ per rispondere al tragico senza sprofondare nelle illusioni offerte dalla dialettica (socratica o hegeliana) che Nietzsche propone di ricorrere all’arte, che afferma e magnifica la vita. In un frammento postumo del maggio-giugno 1888, Nietzsche espone perfettamente la sua ultima concezione dell’arte, come rimedio potente e unico contro il nichilismo in tutte le sue forme: ‘Arte, e nient’altro che arte! E’ lei sola che rende possibile la vita’. Ne ‘La nascita della tragedia’ (1872), Nietzsche postula che ‘il mondo può essere giustificato solo come fenomeno estetico’. Ecco perché Nietzsche, in un frammento postumo del maggio-giugno 1888, non nasconde il suo ‘istinto religioso’, segnando così le distanze dagli atei ‘liberi pensatori’ del suo tempo: ‘E quanti nuovi dei sono ancora possibili!’”. E anche qui, a giudicare dall’Europa post-crollo, potrebbe aver visto giusto.  

PUBBLICITÁ