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Il libro "cancellato"

Editori, non tribunali

Einaudi pubblicherà la biografia di Roth che l'editore americano ha censurato

Maurizio Crippa

I libri si pubblicano per il loro valore, non per i comportamenti sbagliati (però al momento solo presunti, ma nella Cancel culture basta quello) degli autori. W. W. Norton ha mandato al macero il monumentale lavoro di Blake Bailey. Il direttore di Einaudi, Ernesto Franco, spiega perché non farà la stessa cosa

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Benedetti gli editori liberi, non solo di pubblicare libri ma anche di esercitare il proprio libero arbitrio: “Una casa editrice non è un tribunale”. E poveretti invece gli editori che si trasformano in tribunali, in ossequio a un clima sociale e culturale inquisitorio. L’editore libero, in questo caso, è italiano e si chiama Einaudi, e basterebbe il nome. E’ il suo direttore generale, Ernesto Franco, a dire al Foglio che “una casa editrice non è un tribunale”, confermando che la biografia di Philip Roth scritta da Blake Bailey di cui ha acquisito i diritti verrà regolarmente pubblicata, nell’autunno del 2022 (ci sono da tradurre 900 impegnative pagine) come previsto. Chiarisce subito, Franco: “Lo pubblicheremo perché è un libro bello, di fondamentale importanza, su un autore fondamentale a livello mondiale e di cui Einaudi pubblica in Italia tutte le opere”. Non ha importanza dunque che l’editore americano W. W. Norton Company abbia annunciato il ritiro del libro già pubblicato, che non verrà più stampato, in seguito ad accuse di comportamenti sessuali inappropriati, e in un caso di stupro, che sono state mosse a Bailey da alcune donne. La decisione di Norton non può interferire con i diritti acquisiti, dunque traduzioni e uscite dovrebbero procedere regolarmente anche negli altri paesi, ma la scelta spetta ai singoli editori. Per Einaudi, la linea  è chiara: “Una casa editrice è un’impresa privata. Ma per l’oggetto che tratta, che produce, ha anche un ruolo che è pubblico, contribuisce alla crescita culturale di un paese. Il nostro compito è quello di ‘dare la parola’, di permettere agli autori di esprimersi. E non quello di giudicare i loro comportamenti o le loro opinioni”.


Questo non significa ovviamente essere indifferenti, o addirittura conniventi, rispetto a comportamenti sbagliati, precisa Franco: è invece una questione di una consapevolezza che per “l’illuminismo” einaudiano è decisiva. Franco racconta uno dei cento aneddoti delle “riunioni del mercoledì” di Casa Einaudi: “Ci fu un grande dibattito sull’opportunità o meno di pubblicare le opere di Céline, per le sue note idee. A un certo punto Cesare Cases disse una frase di tono paradossale, ma anche di estrema chiarezza intellettuale: ‘Bisognerebbe al contempo pubblicarlo e ammazzarlo’. Mi sembra esattamente il punto di cosa sia l’autonomia del lavoro editoriale”.


Non va esattamente così, di questi tempi, soprattutto nel mondo anglosassone. Norton ha preso la decisione di “cancellare” Bailey non in base alla qualità del libro, ma in base a comportamenti che non c’entrano con il suo lavoro. Anzi, per la precisione, in base ad accuse che finora non sono state provate in nessuna sede. Un modus operandi che probabilmente varrà anche per altri casi in futuro. La presidente di Norton, Julia Reidhead, ha scritto: “In qualità di editore, Norton offre ai suoi autori una potente piattaforma nello spazio civico. Da questo potere deriva la responsabilità di valutare il nostro impegno nei confronti dei nostri autori, il nostro riconoscimento del nostro ruolo pubblico e la nostra conoscenza del fallimento storico della nostra nazione nell’ascoltare e rispettare adeguatamente le voci delle donne e dei diversi gruppi”. Dunque una scelta di carattere ideologico generale – gli editori non valutano solo i libri, ma si sentono responsabili di un ruolo pubblico  rispetto ad altre questioni, in questo caso la violenza di genere. Anche a prescindere dalla colpevolezza o innocenza di Bailey, che comunque c’è andato di mezzo. La presidente di Pen America, Suzanne Nossel, ha commentato: “Se dovessimo applicare questo criterio in generale, ci sarebbero migliaia di libri di persone bigotte, misogine e miscredenti che potrebbero essere rimossi dalla circolazione (…). Pubblicare un libro dovrebbe significare che un editore crede in quel volume”, e non “nella condotta personale dell’autore”.

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Ernesto Franco non nasconde che ci sia un problema più ampio, che coinvolge la responsabilità degli editori in quanto tali (il loro ruolo pubblico, appunto). Tra l’altro, la decisione di Norton sembrerebbe dettata non solo da scelta ideologica, ma dal fatto di essere stata a conoscenza delle accuse e di averle trascurate (secondo il New York Times una ex collega di Bailey, Valentina Rice, avrebbe denunciato in forma anonima già nel 2018 alla casa editrice uno stupro subìto, ma l’editore non avrebbe dato seguito alla denuncia). Franco però invita a distinguere: “Ci sono ovviamente delle sensibilità differenti in molti paesi. L’attenzione acuta che c’è oggi sulle questioni che riguardano i comportamenti sessuali nasce da un fatto: che ancora viviamo in società da questo punto di vista primitive. E’ terribilmente urgente occuparsene, e gli editori come tutti sono chiamati a farlo. Poi, ovviamente, è chiaro che possano esserci esagerazioni sbagliate sul lato opposto. Ma è qui che la libertà di giudizio si deve imporre. Noi ribadiamo che pubblicare libri o essere un tribunale sono cose diverse”.
 

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