Pierre Nora con la compagna Anne Sinclaire (Ansa)

“Jeunesse” di Pierre Nora, il racconto di una civiltà scomparsa

Marina Valensise

Memorie di una vita e di fantasmi: scrive il principe degli editori francesi
 

Attenzione: esemplare in via di estinzione. A novant’anni suonati, Pierre Nora, il principe degli editori francesi, l’anima delle Edizioni Gallimard, che nell’ultimo mezzo secolo ha creato un’opera pubblicando quella di centinaia di autori, scrive un  mémoire (Jeunesse, Gallimard, 240 pp., 19 euro) dove il romanzo di formazione e l’autoanalisi di un intellettuale privo di fiducia in se stesso diventano l’occasione per raccontare una civiltà scomparsa. Se avete qualche interesse per il mondo in cui vissero gli ultimi intellettuali d’Europa, per le tragedie che plasmarono le loro vite e le loro idee, leggete il ricordo degli anni dell’occupazione tedesca, vissuti in stato di semicoscienza da un bambino tra i nove e i tredici anni, che non aveva idea di cosa significasse essere ebreo e che da un giorno all’altro è costretto a nascondersi in provincia con la madre e i tre fratelli, mentre il padre, urologo di fama, eroe della Grande guerra, continua a operare a Parigi, protetto da un ex commilitone al quale aveva salvato la vita dal fango delle trincee, e che da collaborazionista gli restituisce il favore risparmiandogli la deportazione.
Pierre Nora scrive in stato di  ipnosi come forse ha vissuto.

 

Molto preoccupato di se stesso, ma non al punto da diventare il terminale esclusivo delle  proprie ossessioni, regala una testimonianza fantastica in cui suo malgrado, con una sorta di candore preterintenzionale, ricostruisce i passi falsi, le vie senza sbocco, gli snodi imprevedibili che hanno segnato una vita riuscita come la sua e condizionato quella dei suoi cari, come  Simon, il fratello grande, funzionario di stato brillantissimo, ma  mai ministro,  o Jacqueline, la sorella intelligentissima e pessimista, funestata da  lutti tremendi, e persino la vecchia tata brettone, che dopo sessant’anni di servizio finisce alcolizzata e depressa.

 

In questo teatro popolato di ombre si staglia il profilo di amici insostituibili come François Furet, lo storico della Rivoluzione che diventerà suo cognato e che a trent’anni  azzardava una lettura marxista di Tocqueville, salvo scoprire poi l’America proprio con Nora, borsista della Fondazione Singer, viaggiando in macchina da New York al Colorado. Niente panna montata però. Nora  conserva infatti il gusto da masochista impenitente per restituire  anche le battute feroci, l’ironia sapida e strafottente, l’arroganza di quel suo amico di una vita. E in attesa del prossimo libro sugli autori pubblicati in sessant’anni di editoria, la stessa sorte la riserva al suo mondo privato, guardandolo in modo impietoso, cogliendo il padre disperato, mentre propone alla figlia diciannovenne e incinta di farla abortire  lui stesso,  pur di scongiurare  le nozze riparatrici col nobilastro che aspira  solo a rinnegare le sue origini.  

 

 

Alla fine,  in questo mare di sincerità quasi scabrosa, in cui cerca di liberarsi dei propri fantasmi, anche a costo di farsi del male, Nora tocca il fondo incandescente dell’amore. Lui che è arrivato alla storia e all’editoria partendo dalla poesia, dai versi di René Char e dai romanzi di Marcel Proust, racconta come se fosse un sogno l’incontro, la passione, la malattia e il tormento per Marthe Cazal, la principessa malgascia che poteva essere sua madre  e invece era l’ex moglie  di André Breton e la madre di una bambina perduta, e l’egeria di Alessandria d’Egitto immortalata da Lawrence Durrell,  e finirà per diventare un peso morto per lui universitario ventenne al  primo amore, il quale, alla fine della sua vita, trova il coraggio di confessare l’abiezione diabolica con cui se ne era liberato,  senza però riuscire a salvarsi dal rimorso.

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