“So honored to lead the best newsroom in the world!”: Alessandra Galloni nella foto con cui ha accompagnato il post di ieri sul suo profilo Twitter (Ansa)

Reuters a un'italiana sì e no

Giuseppe De Filippi

Alessandra Galloni è nata a Roma ma non è un cervello in fuga, perché si è formata  nel mondo della cultura politico-economica anglosassone e lì è rimasta. Da ieri dirige l’agenzia che ha inventato il giornalismo moderno

Alessandra Galloni è nata in Italia, a Roma, dove ha una casa, e dove vive il compagno, professore di Statistica alla Luiss, e dove hanno vissuto anche i loro due figli, e fa la giornalista, con molto successo. Ma non è propriamente una giornalista italiana. Perché ha schivato, in parte anche per sua fortuna, la materia prima del giornalismo italiano, quell’impasto di fatterelli politici e di costume nazionale con cui si fanno, pure troppo facilmente, i nostri giornali. Da ieri è direttrice dell’agenzia Reuters, cioè dell’impresa che segna l’inizio del giornalismo moderno e che poi ha saputo adeguarsi a tutti gli sviluppi e ora è anche fornitrice di audiovisivi e fortissima nella presenza sulle piattaforme internet e in tutti i settori editoriali. 

 

 

Reuters significa prima di tutto conoscenza dei mercati finanziari e dei mercati delle merci (idea poi copiata e rimodernata da Michael Bloomberg, con la sua piattaforma di informazioni per trading e agenzia di stampa da cui ha tratto una fortuna) e poi tutto il resto del giornalismo possibile, con peso e capacità di influenza senza pari sulla scena dell’informazione mondiale e l’inserimento in un gruppo editoriale del massimo rilievo possibile. Non è un cervello in fuga perché, semmai, è un cervello formato nel mondo della cultura politica ed economica tra Stati Uniti e Regno Unito e lì è rimasta.

 

Si è laureata a Harvard e poi ha frequentato, per un perfezionamento, la London School of Economics. Le sue esperienze giornalistiche italiane, prima all’Associated Press, poi durante alcuni dei suoi tredici anni al Wall Street Journal e alcuni degli otto anni alla Reuters, sono durate tanto, certo, ma sono state sempre relativizzate dall’inserimento delle notizie dall’Italia nel grande flusso di fatti interessanti per tutto il mondo e, semmai, con un po’ di attenzione in più per gli interessi del pubblico di lingua inglese. Forse in passato, anzi quasi certamente, ci furono tentativi di portarla in qualche grande giornale italiano. Ma, a ben vedere e con gli occhi di oggi a maggior ragione, non avrebbero avuto senso, né per lei né per i suoi aspiranti editori.

 

L’Italia raccontata per l’Ap o per il Wsj o più recentemente per Reuters non era fatta delle beghe di un potere avvoltolato e inconcludente, poco comprensibili a volte perfino per i loro protagonisti, ma, per cominciare, era fatta del ricco, o disastrato, e vario mondo delle aziende. Con diversi scoop anche in anni recenti, come, ad esempio, una copertura del crac Parmalat, per spiegare al mondo che diavolo stava succedendo in una società prima ritenuta pienamente affidabile e che invece era un castello di carte, che le valse vari e importanti premi internazionali. E poi l’Italia della creatività e dell’arte, delle informazioni utili a chi gira il mondo anche alla ricerca della bellezza, della criminalità dotata di connessioni internazionali. Ma, come ha detto in un’intervista, mostrando con poche parole la sua saldezza di opinioni e forza di carattere, la linea editoriale è decisa dai giornalisti dell’agenzia e i fatti da riportare sono quelli ritenuti importanti dai giornalisti, anche se, a prima vista, possono non incontrare il gusto del pubblico.

 

Fortissima l’attenzione per il Vaticano e per il Papa. Quando, all’improvviso, Papa Benedetto si ritirò dalla carica per trasformarsi nell’inedita figura di emerito, e non era proprio una cosetta, Galloni si è trovata improvvisamente ad avere a che fare non si sa se con uno di quei contorcimenti burocratico-commerciali tipicamente italiani o con una distrazione amministrativa tutta inglese e possibile in una organizzazione dotata di centinaia di uffici nel mondo. Insomma, si è trovata con internet e tutte le connessioni tagliate negli uffici romani del Wsj e a dover raccontare quell’episodio, in competizione con le altre grandi newsroom, ma con gli strumenti degli anni Sessanta. Tutto è filato, ma ancora si ricorda la sua freddezza e il senso di sicurezza che seppe dare allo staff in mezzo a quella baraonda di notizie passate a Londra dettando al telefono. 

 

Il lavoro di agenzia, anche della maggiore del mondo, è un lavoro di squadra. Chi ha lavorato con lei – uno lo sente quando va a caccia di racconti e informazioni – cerca le parole giuste e si impegna per trasmettere la massima sincerità e convinzione per dire quanto Galloni sia brava nel valorizzare le competenze e le capacità. Formule già sentite, ma che spesso suonano un po’ ripetitive. Nel suo caso è invece del tutto vero e non si progredisce, fino al vertice della carriera, in una struttura come Reuters senza saper lavorare in squadra. E’ questo certamente il suo punto forte e, azzardiamo, non c’è stato, come dire, un punteggio in più per farla affermare perché donna. A rafforzare questa osservazione si può dire che valgono le stesse considerazioni per la direttrice di Reuters Italia, Giselda Vagnoni, e per altre giornaliste in posizioni di spicco nel mondo della grande impresa editoriale inglese.

 

L’attività di Galloni per molti anni e la sua formazione giornalistica principale sono avvenute nella redazione del Wsj, il punto di riferimento del mondo pro business americano e in buona parte anche del mondo repubblicano (ma nulla a che fare con la Fox trumpiana), certamente il giornale più problematico e meno entusiasta nel sostegno alle iniziative di promozione delle carriere femminili attraverso meccanismi di quote, e anche il giornale meno incline a sostenere battaglia mondiali come il MeToo e a farne una bandiera o uno strumento per la lettura della società.

 

 

Si è formata e affermata in un mondo dove si riesce a dare un senso alla meritocrazia, parola altrimenti difficile da fondare.  Perché serve un campo di gioco e servono regole chiare. E questo succede nell’informazione centrata sull’economia, sul progresso tecnologico applicato, sulla conoscenza scientifica, sui grandi rapporti di potere internazionale. Con quelle cose lì non si può scherzare e chi è più bravo emerge. Come è successo – ancora congratulazioni – ad Alessandra Galloni, che non è una giornalista italiana, non è un cervello in fuga, ed è una donna ma non è una quota.