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Minority report

Il cortocircuito occidentale che rende complicato parlare di linguaggio

Giovanni Maddalena

Nominalismo o realismo: sarebbe ora di decidersi, ma la nostra intellighenzia continua ad incappare in un errore logico di antiche origini

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In un editoriale della Stampa di domenica 28 febbraio Michela Murgia presenta il suo ultimo libro Stai zitta toccando il tema importante del linguaggio, che l’autrice considera battaglia primaria per sconfiggere la discriminazione nei confronti delle donne. Che il tema del linguaggio sia fondamentale è difficile da mettere in dubbio per gli esseri umani che da esso, oltre che dalla dimensione religiosa e da quella artigianale, hanno cominciato il loro cammino distintivo rispetto agli altri animali. Solo che la concezione del linguaggio che emerge dall’articolo è un po’ concettualmente incerta, anche se esposta a chiare lettere, e permette così qualche considerazione generale sulle difficoltà che attanagliano l’occidente quando si parla di linguaggio.

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In un editoriale della Stampa di domenica 28 febbraio Michela Murgia presenta il suo ultimo libro Stai zitta toccando il tema importante del linguaggio, che l’autrice considera battaglia primaria per sconfiggere la discriminazione nei confronti delle donne. Che il tema del linguaggio sia fondamentale è difficile da mettere in dubbio per gli esseri umani che da esso, oltre che dalla dimensione religiosa e da quella artigianale, hanno cominciato il loro cammino distintivo rispetto agli altri animali. Solo che la concezione del linguaggio che emerge dall’articolo è un po’ concettualmente incerta, anche se esposta a chiare lettere, e permette così qualche considerazione generale sulle difficoltà che attanagliano l’occidente quando si parla di linguaggio.

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Nell’articolo tratto dal suo libro, infatti, Murgia dice che le tragedie semantiche innescano quelle etiche e sociali. In altre parole, da come chiamiamo le cose deriva il modo in cui le trattiamo. Per questo, “sottovalutare i nomi delle cose è l’errore peggiore di questo nostro tempo”. Ohibò, sembra di essere nel mezzo del contestatissimo medioevo metafisico. Si dice qui che ci sono “i nomi delle cose”, che i nomi derivano dalle cose (nomina sunt consequentia rerum) e, dunque, che il comportamento linguistico è anche comportamento etico. E’ la versione antichissima della filosofia: c’è una corrispondenza stretta tra l’essere, le parole con i loro significati e il comportamento.

 

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Passa qualche riga e l’articolo vira sostenendo che “essere etici significa soprattutto scegliere di trattare le cose nominate così come le abbiamo nominate”. Qui entriamo improvvisamente in un orizzonte diverso. In questo secondo caso, infatti, non c’è connessione tra nomi e cose, ma ci sono soltanto guerre politiche per come chiamare le cose. Non è più una questione metafisica ma di “politica linguistica”, di come decidiamo di nominare le cose. Ne segue anche, però, che il comportamento derivato dalle parole non è più valutabile in base al fatto che sia “giusto” o “sbagliato” oggettivamente, per chiunque, ma solo rispettoso di una parte politica, quella che ha vinto la battaglia dei nomi. In fondo, le due affermazioni riportano alla luce una delle antiche questioni della filosofia: realismo o nominalismo? I nomi derivano dalla realtà o sono un’invenzione arbitraria che plasma la realtà?

 

Certo ci sono tante posizioni intermedie, ma alla fine bisogna decidere se stare in un campo o nell’altro. Invece, l’errore logico di gran parte del mondo intellettuale occidentale nasce proprio dal cortocircuito che li vorrebbe entrambi, senza decidere. Da un lato, si vorrebbe che tutti rispettassero un codice linguistico che è “oggettivamente” più giusto perché corrisponde a considerazioni e fatti che tutti dovrebbero ammettere. Dall’altro, non si vorrebbe che ciò implicasse una realtà oggettiva, metafisica, forte da cui nomi ed etica discendono.

 

Peccato che le due cose insieme non riescano a stare. Se le parole non c’entrano con le cose, hanno ragione coloro che sostengono che la questione linguistica sia irrilevante o secondaria rispetto ad altri drammi politici. Se invece le parole c’entrano con le cose, occorrerà accettare poi che ci sia uno scontro su che cosa sia vero, reale, buono e giusto ma soprattutto che ci sia la verità, la realtà, la bontà e la giustizia, tutte cose rifiutate nella seconda metà del Novecento per paura che portino anche alla metafisica, a Dio e ad altri concetti pericolosi. Come la sintetizzava Nietzsche, che si sarebbe schierato per il nominalismo, non ci siamo ancora liberati di Dio perché continuiamo a credere nella grammatica. Nietzsche però, almeno, non avrebbe avuto problemi a decidere.

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