Franco Cassano (foto Ansa)

Il sociologo dell'"Umiltà del male"

In morte di Franco Cassano, intellettuale gentile della primavera pugliese

Osservatore della sinistra, ex parlamentare del Pd. Demiurgo del civismo barese, era entrato in Parlamento nel 2013, nel momento dello shock grillino

Marianna Rizzini

Sulla sua regione rifletteva con precisione da entomologo: “La Puglia si sente più dinamica e ha cercato di leggere se stessa come protagonista anche in polemica con la tradizione delle grandi capitali meridionali, Palermo e soprattutto Napoli”

Roma. Succedeva a volte che un direttore proponesse di fare un pezzo sulla sinistra e il Sud o su qualche duello interno nella Puglia da un lato felix (primavere politiche, turistiche e cinematografiche) e dall’altro infelix (caso Ilva, xylella e trivelle). E succedeva che dall’agenda, puntualmente, si estraesse il nome magico del professor Franco Cassano, sociologo ed ex parlamentare pd, “l’Ingrao barese” che purtroppo oggi, a 78 anni, si è spento. “Scrivi un messaggio, lui risponde con calma ma risponde”, aveva consigliato la collega che lo conosceva da tempo come intellettuale gentile, oltreché come il sociologo che, con Biagio De Giovanni e Giuseppe Vacca, aveva animato, da eretico marxista, la cosiddetta “école barisienne”.

 

Demiurgo della stagione del civismo pugliese, Cassano nel 2003 aveva fondato l’associazione “Città Plurale”, quella che ha fatto da culla al successo di Michele Emiliano come sindaco di Bari e di Nichi Vendola come governatore della regione, e nel 2011 aveva rovesciato lo specchio in cui si guardano le élite nel saggio “L’umiltà del male”: dovete esserci, scriveva, ma confrontarvi con l’imperfezione della maggioranza per combattere nel “territorio incerto” dove il male si traveste di volta in volta sotto diverse spoglie. E oggi che il bene e il male politico hanno fatto un triplo salto carpiato nella cosiddetta “era Draghi”, viene in mente il Cassano che, riflettendo sulle conseguenze dell’epoca Monti, dava uno schiaffo al cuore della superiorità morale della sinistra: “E’ come se venisse percepita compagna non dei deboli ma delle ‘élite globali’ che non sanno ancora come rispondere in modo adeguato alle richieste che arrivano dal basso”, diceva a questo giornale.

 

Negli anni Novanta, con il “Pensiero meridiano”, il sociologo aveva ribaltato invece l’immagine di Sud “periferia degradata dell’Impero” in “nuovo centro di un’identità ricca e molteplice”. Seguitissimo su Avvenire e l’Unità, era entrato in Parlamento nel 2013, quando, ricordava, “si è scoperto che il centrosinistra non era stato in grado di intercettare del tutto tensione e malcontento sociale, e che Beppe Grillo aveva raggiunto il 25 per cento. Ci si domandava che cosa potesse aver determinato una simile risposta nell’elettorato. In parte si rispondeva: abbiamo pagato l’appoggio a Mario Monti. Ma la risposta non era esaustiva”. 

 

Su Renzi, che Cassano non aveva mai votato alle primarie, il sociologo ragionava con una punta di rammarico da occasione persa: “Fino alle Europee del 2014”, diceva, “la parola d’ordine ‘rottamazione’ ha funzionato. Poi è diventata inefficace, mostrando due limiti del renzismo: la preminenza assoluta del leader e la difficoltà di azione di un gruppo dirigente vissuto come arrogante. C’è poi un problema di percezione. Renzi è considerato come l’usurpatore, il barbaro contro cui insorgere per riflesso identitario. Ma questo livello di discussione interna, non di qualità, ha innescato una spirale negativa, con effetto finale di profezia che si autoadempie: più consideri il Pd partito di Renzi – e per questo ne esci – più il Pd diventa partito di Renzi”.

 

E una sera Cassano sbalordì la sua base anti-Rottamatore, ricorda il giornalista Michele De Feudis, con un discorso sul Renzi e la globalizzazione, sviluppato in senso non pregiudizialmente contrario né a Renzi né alla globalizzazione. Fatto sta che oggi è rimpianto sia nel Pd sia in Italia Viva, e ricordato con affetto da tutta la Puglia, dal sindaco di Bari Antonio Decaro fino ai baresi che se lo rivedono davanti mentre cammina sul lungomare, con il cane, leggendo “ma senza andare a sbattere”, come dice Alice Scolamacchia, collaboratrice che lo conosceva da una vita come persona “buona, generosa e umana, oltre a tutte le cose bellissime che era”. La faceva ridere con scherzi al telefono, lui che “aveva un cellulare vecchio stile, senza whatsapp, e andava sempre a piedi, chiacchierando”.

 

Una persona, Cassano, che guardava alla sua Puglia con l’occhio dell’entomologo (“la Puglia ha cercato di leggere se stessa come protagonista”, diceva, “anche in polemica con la tradizione delle grandi capitali meridionali, Palermo e soprattutto Napoli – che ha alle spalle una storia di conurbazione da metropoli europea. Da questo punto di vista la Puglia, più provinciale, si è sentita più libera di diventare la parte del Sud che ce la fa e si libera del passato”). Alla Bari sotto lockdown aveva dedicato una sorta di poesia parlata: “La situazione è grave, ma ce la faremo. Ricordiamoci che la storia siamo noi”.

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  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.