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Diversità e autonomia

L’arte del nulla

Ugo Nespolo

Di cosa parliamo quando parliamo di astrattismo. I precursori, i manifesti, l’impulso di “una grande inquietudine interiore”

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“The less there is to look at, the more important it is that we look at it closely and carefully” (Kirk Varnedoe)

 

All’inizio val la pena essere diretti. A che serve l’arte astratta? Di che utilità sarebbe per gli individui e la società tutta quell’infinita teoria di opere non oggettive, un profluvio di quadri, sculture, disegni, stampe che non temono di sapere e poter mostrare altro che sé stesse? Di quale interesse può essere per noi l’arbitraria, criptica e sovente nebulosa strada scelta dagli artisti che si ostinano a evitare la rappresentazione della realtà in un esile e illusorio tentativo di dar vita a emozioni e sentimenti fidandosi di complessi e astratti giochi di forme e colori?

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Le domande sembrano suonare ingenue, persino superficiali e sono le stesse che ci si è sentiti porre in epoche ormai parecchio datate e lontane, quando il falso tema di un presunto cruento conflitto tra astrazione e figurazione sapeva ancora infiammare addetti e appassionati e persino gente comune in vena di pseudo disquisizioni dal profumo vagamente culturale. Inutile davvero scomodare il sommo saggista inglese William Hazlitt quando nei primi anni dell’Ottocento, con l’irriverenza consueta, nello scrivere a proposito delle sin troppo celebrate opere del pittore inglese Joseph Mallord William Turner e dei suoi indistinti e vaporosi effetti atmosferici, si augurava potessero procurare indignazione nel riguardante, giudizio feroce che incarna quell’attitudine scettica, divenuta poi quasi pietra miliare della moderna reazione verso l’arte astratta.

 

Val meglio rileggere allora gli scritti di Kirk Varnedoe, uno dei maggiori e sagaci critici d’arte americani, professore a Princeton e alla New York University e autore – tra l’altro – nel 1990 al MoMA di quella High & Low: Modern Art and Popular Culture, mostra che saprà scrivere la parola definitiva sul rapporto tra arte moderna e postmodernità. Proprio Varnedoe nelle ben note Mellon Lectures alla National Gallery di Washington, a proposito d’arte astratta, usa provocatoriamente le posizioni di Hazlitt nel chiedersi Cos’è l’arte astratta e si dimostra convinto che l’ideologia, la nascita e la pratica di un’arte non oggettiva abbiano innanzitutto a che fare con il cataclisma della Prima guerra mondiale. Per lui gli artisti coinvolti avrebbero proposto le loro stranianti innovazioni fortemente connesse a una radicale rivoluzione sia nella società che nelle coscienze tormentate dalla ricerca di una nuova spiritualità capace di permeare il mondo e persino modificarne l’ordine.

 

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Il pulsante cuore teorico che si deve collocare alla base dell’originaria e simultanea esplosione dei movimenti delle avanguardie non figurative, fiorite copiose in tutta l’Europa all’inizio del secolo scorso, è senza dubbio rappresentato da uno dei libri di teoria dell’arte tra i più letti in tutto il Novecento: Astrazione e empatia. Un contributo alla psicologia dello stile, opera che Wilhelm Worringer pubblica a Monaco nel 1907 e che presto sarà adottato, quasi come manifesto, dagli artisti del Blaue Reiter e da non pochi autori della compagine espressionista. Sono gli anni 1911-12, quelli del libro teorico di Kandinskij Lo spirituale nell’arte e della pubblicazione del Blaue Reiter Almanach. Andrea Pinotti nella dotta prefazione al libro di Worringer ricorda come sia del luglio 1911 la lettera di August Macke a Franz Marc nella quale l’artista chiede: “Conosci il libro di Worringer Astrazione e empatia? L’ho letto e l’ho trovato in parte davvero sottile. Moltissime cose per noi”.

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Marc – a sua volta – scrive nel febbraio del 1912 a Kandinskij: “Sto leggendo Astrazione e empatia di Worringer, una testa fina, di cui possiamo avere molto bisogno. Un pensiero meravigliosamente esperto, conciso e freddo; anche molto freddo”. L’opera di Worringer, dopo il giudizio molto favorevole del saggista tedesco Paul Ernst pubblicato sulla rivista tedesca Kunst und Künstler, fu stampata in un’edizione commerciale di grande tiratura capace di raggiungere profondi strati del mondo intellettuale, “… dalle avanguardie espressioniste del Blaue Reiter e della Brücke al modernismo britannico, dalle filosofie della storia di Spengler & Ortega all’utopismo di Ernst Bloch, alla psicologia junghiana, fino ad arrivare… alla nomadologia di Deleuze e Guattari” (Pinotti).

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Il libro ha da fare con i fondamenti psicologici della raffigurazione e con il modo di provare a rappresentare il mondo tentando – come i testi di altri studiosi – d’indagare per scoprire le leggi alla base della mutazione degli stili. Con la constatazione che i modi espressivi mutati nel tempo non possono essere considerati un meccanismo casuale, per cui Worringer “… individua tale legalità nell’evoluzione di quello che lui chiama sentimento del mondo (Weltgefühl) di cui lo stile sarebbe appunto manifestazione figurale” (Pinotti). Non si parla qui di visione del mondo (Weltanschauung) ma piuttosto della ricerca del rapporto tra l’uomo e il proprio mondo. Per Worringer “ogni stile ha rappresentato il vertice della felicità per l’umanità che lo ha creato sulla base delle proprie esigenze psichiche” e il concetto di empatia altro non sarà che “… godimento estetico oggettivato di noi stessi”, una simpatia estetica di cui fa parte il sentimento che si prova dinnanzi a un’opera d’arte, una sorta di simpatia simbolica, quell’einfühlung come immedesimazione. “Mentre l’impulso di empatia è condizionato da un felice rapporto di panteistica fiducia tra l’uomo e i fenomeni del mondo esterno, l’impulso all’astrazione è conseguenza di una grande inquietudine interiore” (Worringer).

 

Il desiderio di astrazione lo si può forse immaginare come un rifugio sicuro lontano dai turbamenti e dal caos del mondo esterno. L’Arte astratta. Una storia globale è il sontuoso volume uscito da pochi giorni in edizione italiana da Einaudi, opera di Pepe Karmel, storico dell’arte statunitense, critico d’arte del New York Times e curatore del Museum of Modern Art di New York. La tesi di fondo del documentatissimo volume sposa e teorizza la convinzione che l’arte astratta non possa non “affondare le sue radici nell’esperienza del mondo reale” e che le sue qualità formali non sappiano far altro che rifrangere tale esperienza. Per Karmel la vera storia dell’arte astratta viene falsata se letta come la sequenza temporale delle sue variazioni formali e dal momento che non esistono forme pure l’astrattismo può offrire non poche risposte al cambiamento sociale, politico e culturale. L’illusione worringheriana che l’arte astratta viva come rifugio dalle angosce del mondo in uno spazio protetto, viene qui ribaltata dichiarando che essa può piuttosto servire a “… comunicare l’esperienza sociale e individuale: da un lato, la razionalità utopistica della tecnocrazia, l’euforia dell’indipendenza postcoloniale, il tumulto della globalizzazione e l’orrore delle dittature militari; dall’altro, l’elevazione spirituale prodotta dalla consapevolezza cosmica, la consolazione della sensazione ottica, il capovolgimento femminista del concetto di anatomia come destino e l’abbraccio liberatorio dell’abiezione corporea, la rivalutazione della decorazione e della dimensione domestica e infine l’estasi del linguaggio liberato dal significato”.

 

Karmel, sin dalla prefazione tende a mettere in evidenza come la storia dell’arte astratta sia stata sempre appannaggio di artisti bianchi europei e americani e che si sia messa in qualche modo in secondo piano l’opera delle donne e degli artisti di tutte le regioni del mondo, arrivando ad affermare che ci siano oggi più bravi astrattisti che in qualsiasi altro momento storico. La sua lunga e molto articolata introduzione porta un titolo curioso, Figure che scompaiono e riappaiono, quasi a indicare il gioco senza sosta di scomparsa di una figurazione per vederla improvvisamente riapparire trasformata e risorta, pronta a esibire una nuova riconoscibilità. L’autore si rende conto che l’arte astratta contemporanea continua a “mettere a dura prova” l’interpretazione critica e constata l’evidente e quasi totale assenza di movimenti significativi. “Evidentemente curatori ed editori condividono la visione postmoderna secondo cui la storia dell’astrattismo come evoluzione coerente è giunta al termine”.

 

Tutto ciò può significare che gli artisti sono costretti a lavorare in un vero isolamento giocando all’eterno gioco di composizione-ricomposizione di elementi di chiara derivazione dalle opere d’arte astratta del passato. Come pensava Kirk Varnedoe gli artisti hanno in tutti i modi tentato di evitare l’appiglio della somiglianza essendo certi che l’astrazione risulti tanto più autonoma ed efficace in assenza di associazioni e significati. Le retoriche e tradizionali letture delle opere astratte sono viste da Varnedoe come giochi puristi dedicati in realtà a forme di arte impura e il libro di Karmel radicalizza al massimo questa visione, asserendo sorprendentemente che “… gli artisti astratti partono sempre da un tema archetipo che combina le forme ai significati generati da associazioni del mondo reale”.

 

L’autore non intende accontentarsi del vecchio andante che pretende considerare lo sviluppo temporale dell’arte astratta come un semplice susseguirsi di innovazioni formali, poiché così non si terrebbe conto della complessità del processo creativo. Spesso la fonte d’ispirazione per gli artisti sono modelli figurativi e quand’anche l’origine sia collocabile in temi astratti le opere non riusciranno mai a essere integralmente astratte. È proprio questa astrattezza limitata dell’arte astratta a costituire l’elemento teorico nuovo in grado – secondo l’autore – di evidenziarne la diversità e l’autonomia. A proposito poi della possibilità di scrivere una storia cronologica dell’astrattismo basandosi sulla disamina e sulla scelta delle successive innovazioni formali, costruendo insomma qualcosa come un lungo elenco di artisti e movimenti, ci si accorge di non essere in grado di stilare altro che una sorta di enciclopedica cronaca fatta per lo più di informazioni illeggibili e quasi false.

 

Karmel si rende conto che, nel voler tentare un bilancio non scolastico dell’astrattismo internazionale tra gli anni Quaranta e Cinquanta, non si può evitare di portare in campo – come minimo – la storia dell’Espressionismo astratto, del movimento Neodada e di molte altre tendenze come l’Astrazione lirica negli Stati Uniti, l’Informale e il Nouveau Réalisme in Francia, il Costruttivismo britannico, l’Arte cinetica in Venezuela, in Argentina e in Francia, l’Arte concreta in Brasile, l’Astrazione gestuale e il Newdada in Giappone e Corea. Ecco allora che l’autore propone un approccio alternativo all’organizzazione dell’arte astratta immaginandola idealmente racchiusa e scomposta in cinque categorie tematiche: il corpo, il paesaggio, il cosmo, l’architettura e il repertorio artificiale dei segni e dei motivi. Il metodo operato da Pepe Karmel consiste in una selezione costruita induttivamente visionando il lavoro degli artisti e delle loro opere, tenendo conto che corpo e paesaggio sono generi tradizionali propri dell’arte europea, mentre cosmo e architettura sono ritenuti più vicini all’illustrazione e infine segni e motivi si pensano connessi agli esiti delle arti decorative.

 

Con una visione sorprendente e di certo affascinante, l’autore dota ogni capitolo di una sequenza di temi chiave dove ogni sezione tematica è suddivisa in episodi narrativi e “… il tema e il suo sviluppo sono situati in un preciso contesto storico”. Si ha l’idea che il metodo adottato ci offra non soltanto un rinnovamento di forme in grado di testimoniare e rispondere “… alle sfide di un mondo in costante rinnovamento” ma che – in qualche modo – si possa colmare lo iato tra la fase modernista dell’evoluzione formale e quella astorica tutta postmoderna con l’uso delle stesse forme per contesti e scopi nuovi. Non più quindi un giudizio di valore esclusivamente indirizzato ai consueti e molto noti inventori di stili, ma l’apertura internazionale a opere e artisti legati da approcci tematici e operanti in stretta connessione alle ragioni storiche e culturali le più disparate e diffuse. Si va dal tema del corpo umano nell’arte astratta con il cubofuturismo dal 1912 al 1925, poi le forme embrionali anni Venti e Trenta, le figure totemiche degli anni Quaranta, avanti sino al tema, curioso, degli organi e dei fluidi. Il paesaggio indaga l’evocazione del vento e della pioggia, dirupi, cascate, onde mentre l’architettura e i segni si legano ai temi della natura artificiale.

 

Pepe Karmel al termine di una lunga e dettagliata teorizzazione e razionalizzazione degli argomenti trattati, sfodera l’onestà della domanda principe: “Che cos’è l’astrazione?”. Si chiede cioè: se la premessa è che l’arte astratta nasconda in sé un contenuto, in cosa si distingue allora dalla figurazione? La risposta più diretta ed elementare parrebbe essere quella per cui sono le stesse caratteristiche formali dell’opera astratta a rispondere in modo autosufficiente. Ma non basta. La risposta vera e più convincente sta forse nella ribellione palese degli artisti astratti alla subordinazione dell’illusionismo spaziale, quella visione prospettica rinascimentale che ha iniziato a corrodersi con gli impressionisti, frantumarsi per moltiplicarsi col cubismo e per dissolversi infine cancellando la tirannica presenza del punto di fuga e per vivere gioiosamente l’anarchia della sua assenza. Non quindi la mancanza di somiglianza ma la negazione del punto di vista razionale e geometrico. Forse non è azzardato dire e credere che l’astrazione s’adopera a mettere in scena un gesto di totale libertà, un anelito al gioco infinito della visione e delle sue possibilità creative e interpretative. Ci piace crederlo.

 

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