PUBBLICITÁ

Fiction reale

Il ministero del futuro

Siegmund Ginzberg

La transizione ecologica? È già in un romanzo americano di fantascienza. Non più guerre stellari ma occhio alla Terra

PUBBLICITÁ

 

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


 

PUBBLICITÁ

Il gelo dalla Siberia spazza l’Europa. Una morsa di neve e gelo avvince l’America sin giù in Texas. Saltano le infrastrutture, già fragilizzate dalla vetustà, milioni di persone restano senza elettricità. Un virus letale che ama il freddo si propaga fuori controllo. Si sciolgono i ghiacciai dell’Himalaya travolgendo in un’immane valanga di acqua, fango e detriti dighe e maestranze, a centinaia. Le inondazioni provocate dai monsoni mieteranno centinaia di migliaia di vittime. Un’ondata di calore anomala, con elevatissima umidità, in India provoca 20 milioni di morti: morti bolliti. L’India decide di far da sola: invia ondate su ondate di bombardieri strategici a saturare la stratosfera con sali di cloro, per bloccare i raggi solari. ù

 

Un nuovo organismo internazionale, creato per contrastare i danni all’ambiente, “fiduciato” da tutte le potenze, comprese quelle che fino al giorno prima erano inconciliabili rivali, sembravano destinate a farsi la guerra. La mission impossible è fermare la crescita di particelle inquinanti nell’atmosfera. L’incredibile è che ci riescono. Limitano i danni nel giro di appena un quarto di secolo. Risparmio al lettore il quiz su quale di queste notizie sia vera, e quale di fantasia. Le prime sono cronaca di questi giorni. Le ultime tre, compresa la più straordinaria di tutte, che di fronte all’emergenza tutti appoggiano, volentieri o obtorto collo che sia, un nuovo organo di governo mondiale, si trovano in un romanzo di fantascienza. Preoccupati per la salute del pianeta?

PUBBLICITÁ

 

Niente paura, ci pensa il Ministero mondiale per la transizione ecologica. È il succo dell’ultimo libro del più prestigioso scrittore americano di fantascienza vivente, Kim Stanley Robinson. Si intitola The Ministry for the Future. In America è uscito nel 2020. Se ne attende una traduzione italiana. C’era una volta la fantascienza che immaginava viaggi spaziali, altri mondi, altri pianeti. Ora va per la maggiore quella che ha i piedi ben piantati in terra, la nostra Terra. Per decenni abbiamo avuto i catastrofismi, o addirittura visioni apocalittiche, da fine del mondo. Anche la fantascienza ha un cambio di passo. Sembra venuto il momento di prestare maggiore attenzione al modo di rimediare, anzi prevenire, evitare le catastrofi. Per decenni abbiamo letto di distopie, futuri immaginati cupi, spaventosi. Ora tornano le utopie.

 

Non le vecchie utopie: nessuno crede più alle società perfette, ai soli dell’avvenire che si sono rivelati più cupi della notte. Le nuove utopie sono ingegnose, pratiche, realizzabili, riformiste. Non più guerre come continuazione della politica, ma politica per evitare le guerre. Non più rivoluzioni imposte con la canna del fucile, ma proposte che “non si possono rifiutare”, neanche da parte dei potenti, perché rifiutarle sarebbe darsi la zappa sui piedi. Non più conflitti, scontri che porterebbero alla rovina di tutti i contendenti, ma governance sostenibile. Protagonista del romanzo è un’agenzia sovranazionale, braccio delle Nazioni unite: il Ministero del futuro, appunto. Ha sede a Zurigo, che un tempo nei romanzi era descritta come l’antro degli gnomi della finanza, malefici per antonomasia, e qui è una città ridente, incastonata tra le magnifiche montagne e i ghiacciai della Svizzera. Robinson, che è sudcaliforniano, quindi di tutt’altri climi, la descrive con affetto.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Da far quasi venire al lettore voglia di andarci in vacanza. Il ministero è diretto da una donna, l’irlandese Mary Murphy. C’è chi ritiene che il personaggio sia ispirato da un misto di personalità femminili reali: Mary Robinson, che fu presidente dell’Irlanda e poi Alto commissario Onu per i rifugiati e per i diritti dell’uomo, e Christiana Figueres e Laurence Tubiana, le principali artefici degli accordi di Parigi sul clima. Altri potrebbero ravvisare nel personaggio una Greta Thunberg come potrebbe essere invecchiata. Mary gode di grandissimo prestigio internazionale.È una tosta. Tratta con i più coriacei banchieri, magnati dell’industria e governanti internazionali. E riesce a convincerli, con le buone o le cattive. Insomma una Draghi al femminile. Attorniata da uno staff eccezionale, di estrazione diversa, ciascuno esperto e abilissimo attivista nel suo campo di competenza, davvero una compagine dei “migliori”.

 

PUBBLICITÁ

Qualcuno dei suoi collaboratori sgarra, qualcuno esagera in zelo, qualcuno abusa della sua fiducia. Lei ha naturalmente anche dei nemici. Cercano di farla fuori, e quasi ci riescono. Ma il lettore ha certo ben chiaro che stiamo parlando di un romanzo, di utopia romanzata, fantascienza… Anche se si ha l’impressione che qualche tempo la cronaca degli avvenimenti reali abbia superato ogni immaginazione… Robinson, classe 1952, tra i suoi maestri annovera Philip K. Dick (il primo saggio era dedicato alla sua opera), la decana femminista e ambientalista della fantascienza Usa Ursula Le Guin, il padre della saga di Dune, Frank Herbert, che pure lui tratta temi di ecologia planetaria, sia pure in versione fantasy-avventura. Come i suoi maestri, Robinson scrive come un pazzo, sforna volumi su volumi, c’è chi lo ha definito scrittore “oceanico”. Negli anni Novanta era diventato famosissimo con la trilogia su Marte. Ha vinto ogni premio letterario immaginabile tra quelli riservati alla fantascienza.

 

“Il nostro più grande romanziere politico?” aveva titolato su di lui nel 2013 il NewYorker. Politico, perché in effetti Robinson è dichiaratamente di sinistra, anzi socialista, che per gli americani sarebbe come dire bolscevico. In realtà non c’è fantascienza che non sia anche politica, non affronti problemi del qui e ora, di un’epoca definita. Gratta gratta sta sempre coi piedi piantati da qualche parte in terra, anche se immagina cose distanti, sembra parlare di Marte o di altri mondi. Vale per Asimov come per Dick, per Stanislaw Lem come per la grande fantascienza sovietica, per i Godzilla giapponesi come per Liu Cixin e la più recente rigogliosa fioritura della fantascienza cinese. Valeva per la fantascienza ottocentesca di Jules Verne, così come per quella, ricchissima, degli anni Trenta.

 

La fantascienza americana non è più quella totalmente americano-centrica di una volta. Ci eravamo abituati che a salvare il mondo (o a minacciare di distruggerlo, il che è la stessa cosa) fossero eroi, scienza, risorse Usa, venisse da lì tutto il bene e tutto il male del pianeta. Pressappoco lo stesso succedeva per le altre fantascienze nazionali: al centro della scena c’erano, a seconda della nazionalità e della sensibilità dell’autore, i Russi, i Cinesi, e così via. Confesso una lacuna: non so se ci sia una fantascienza islamica, o turca, o iraniana. Americano-centrico, anzi California-centrico era anche il primo Robinson. Poi si è accorto che ci sono anche gli altri, l’Europa, la Cina, l’India, che ci si salva solo tutti insieme, se ci si salva. Sembrerà strano, ma il concetto l’ho sentito affermare per la prima volta, quand’ero corrispondente negli Stati Uniti, da un presidente americano, tutt’altro che di sinistra, che però aveva probabilmente letto molta fantascienza. “Immaginiamo di essere minacciati dai marziani. Noi ci uniremmo”, diceva rivolto a Gorbaciov. Credo che non fosse solo propaganda.

 

L’ultimo romanzo di Robinson va però oltre. Fantastica direttamente di politica, di lobby, di gruppi di pressione, di rapporti tra stati e governi, agenzie internazionali, banche, mercati, consigli di amministrazione, governance. Immagina un embrione di governo di unità mondiale. Le 563 pagine di The Ministry for the Future sono un fuoco d’artificio di trovate, idee, proposte, suggestioni per governare l’emergenza, in altri termini governare in modo diverso, più fantasioso di come si è governato sinora. Alcune suonano strane, anzi strampalate, altre sanno di vecchio, altre ancora sono, come dire, fantascientifiche. C’è di tutto e di più. Ci sono trovate tecnologiche che possono fare sorridere, tipo l’idea di scavare buche sino in fondo ai ghiacciai antartici per estrarre l’acqua su cui stanno scivolando in mare, oppure colorare di giallo gli oceani in modo da respingere i raggi del sole che lo stanno surriscaldando. O l’idea che, a seguito di una serie di attentati eco-terroristici con futuristici sciami di mini-missili contro aerei, navi e superpetroliere, tutti i trasporti si convertano in veicoli elettrici autoguidati, in dirigibili e ultratecnologiche navi a vela e a energia solare.

 

Utopia? Ma chi poteva pensare che si sarebbero un giorno tradotte in realtà le fantasie ottocentesche di cieli pieni di oggetti volanti, oppure, solo un decennio fa, che l’industria dell’auto avrebbe scommesso sulle auto elettriche e le lobby dell’energia avrebbero cominciato a scommettere sulle energie pulite anziché su carbone e petrolio? Le trovate più ingegnose e spassose riguardano la scienza triste, l’economia: una tassa sull’inquinamento che rende proibitivo continuare a estrarre idrocarburi, incentivi per cui i paesi produttori di petrolio, a cominciare dall’Arabia saudita e dalla Russia trovano più conveniente farsi pagare per non estrarre anziché per estrarre e vendere, una nuova bit-coin, il carbon-coin nuova moneta universale creata col beneplacito di tutti i banchieri centrali, con cui finanziare l’enorme fabbisogno della riconversione ecologica, della ricerca scientifica, non decrescita ma crescita stimolata da nuovi bisogni, una Carbon Quantitative Easing che si affianca al Quantitative Easing monetario…

 

E ancora, una riforma fiscale a tappeto, una riforma giudiziaria, nuove leggi, un’idea di nuova legalità mondiale, nella quale tutte le nazioni si impegnano a rispettare le regole, non solo perché sono obbligate ma soprattutto perché gli conviene… Utopie? Sì, dichiaratamente. Qualche anno fa Robinson aveva pubblicato un saggio (Remarks on Utopia in the Age of Climate Change) in cui sosteneva che l’utopia, nelle circostanze in cui ci ritroviamo, non è più un’esercitazione letteraria marginale ma un elemento fondamentale delle strategie per la nostra sopravvivenza: “Il futuro è una penisola che si restringe: da un lato ha un precipizio a picco sulla catastrofe, dall’altra un pendio molto più dolce che porta a diversi possibili futuri utopistici […] Non c’è via di mezzo […] Non importano i dettagli; quel che conta è sopravvivere senza precipitare nella catastrofe. In questo senso l’utopia è l’unica soluzione percorribile”. Non sarebbe la prima volta che in momenti di crisi fioriscono utopie. È vero, alcune utopie si sono trasformate in incubi spaventosi. Altre (che so, l’idea che gli uomini sono nati eguali, l’assistenza ai più deboli, il suffragio universale…), si sono realizzate senza che nemmeno ce ne accorgessimo.

 

Nel Ministero per il futuro Robinson cita Mario Praz: “Le rivoluzioni avvengono; non però quelle che si attendono, ma sempre una diversa…”. Roba da fantascienza, illusione ingenua, superficiale, implausibile, per non dire pericolosa? “La storia è stata sinora così implausibile che non c’è ragione di ritenere che saremo mai capaci di prevedere con precisione o descrivere la storia che seguirà”, la risposta. Quindi tanto vale immaginarla. Ne Gli anni del sale e del riso (2001) Robinson aveva immaginato la storia mondiale senza l’Europa, spazzata via dalla peste del 1348. Da un recente studio di letteratura comparata si evince che il tema “peste” compare in 8.503 delle 31.483 opere prese in considerazione nell’intero corpus della fantascienza anglosassone, il tema “malattia” in quasi metà del totale, 14,817, il tema “virus” in 6.592, “epidemia” in 1.464, “pandemia” in sole 107. Nel Ministero l’argomento è totalmente assente, non si parla per niente di virus, epidemie, pandemie. Eppure l’utopia, la fantasia scientifica, organizzativa, politica, necessarie per affrontare la crisi ambientale si potrebbero sovrapporre tali e quali a quelle che si stanno rivelando indispensabili per affrontare la crisi sanitaria.

 

PUBBLICITÁ