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Nella cancel culture Schenker, musicista ebreo sotto Hitler, diventa un suprematista bianco

Giulio Meotti

Una piccola rivista accademica, un direttore figlio di sopravvissuti all'Olocausto, le accuse di razzismo, le dimissioni. Una storiaccia americana 

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Un periodico dedicato a un musicologo morto quasi un secolo fa, il Journal of Schenkerian Studies con una tiratura di trenta copie all’anno, è al centro di una battaglia esplosiva sulla razza e la libertà di parola in America. La vicenda sta distruggendo la reputazione di Timothy Jackson, un professore di Teoria musicale  all’Università del North Texas che fino a oggi dirigeva quella rivista, e ora si invocano  misure per chiudere il giornale.

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Un periodico dedicato a un musicologo morto quasi un secolo fa, il Journal of Schenkerian Studies con una tiratura di trenta copie all’anno, è al centro di una battaglia esplosiva sulla razza e la libertà di parola in America. La vicenda sta distruggendo la reputazione di Timothy Jackson, un professore di Teoria musicale  all’Università del North Texas che fino a oggi dirigeva quella rivista, e ora si invocano  misure per chiudere il giornale.

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La vicenda, racconta il New York Times, inizia nell’autunno di due anni fa, quando Philip Ewell, professore afroamericano di Teoria musicale all’Hunter College, parla alla Society for Music Theory di Columbus, in Ohio (così chiamata fino a che non diventerà Flavortown). Ewell descrive la Teoria musicale come dominata dai  bianchi e malata di razzismo. Sostiene che Heinrich Schenker, morto in Austria nel 1935, era un “razzista virulento”, perché un po’ come tutti al tempo parlava di “popoli primitivi e inferiori”. Ewell accusa gli studiosi di Schenker di cercare di “sbianchettarne” il razzismo. Ewell aveva già scritto che Beethoven “è stato sostenuto dalla whiteness e dalla mascolinità per duecento anni”.

   

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I membri della società – bianchi per il 94 per cento – rispondono con una standing ovation all’attacco di Ewell e chiedono  di smantellare le “mitologie bianche” aprendo alle forme musicali non europee. “Riconosciamo umilmente che abbiamo molto lavoro da fare per smantellare  il razzismo sistemico che modella profondamente la nostra disciplina”, dichiarano nel loro autodafé. All’Università  del Texas, il professor Jackson guarda il video e non la prende bene. Nipote di migranti ebrei che ha perso molti parenti durante l’Olocausto, Jackson ha una passione speciale: cercare le opere perdute di compositori ebrei perseguitati  dai nazisti. Schenker, risponde Jackson, non era un “bianco privilegiato”, ma un ebreo nella Germania prebellica e poi in quella nazista. I nazisti distrussero gran parte del suo lavoro e sua moglie morì nel lager di Theresienstadt. Jackson accusa anche  Ewell di “antisemitismo afroamericano”. “Ewell attacca Schenker solo come pretesto per il suo argomento principale: che il liberalismo  è una cospirazione razzista per negare i diritti alle persone di colore.

 

Jackson viene subito rimosso dal Journal of Schenkerian Studies. Novecento professori firmano una lettera in cui denunciano i redattori della rivista. Gli studenti  dell’Università del Texas pubblicano un manifesto chiedendo lo scioglimento della rivista e la “rimozione” dei membri della facoltà che l’hanno utilizzata “per promuovere il razzismo”, come Jackson. Jennifer Evans-Cowley, rettrice dell’università, dice che prenderà provvedimenti disciplinari contro il professor Jackson.

   

“La mafia di Twitter è come uno stato di polizia quasi fascista”, dice Jackson al New York Times. “Qualsiasi imputazione di razzismo è un anatema e quindi deve essere esorcizzata”. 

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Dopo il caso di Dan-el Padilla, il professore classicista di Princeton che vuole cancellare i classici come Cicerone perché sono la base del “suprematismo bianco”, arriva il processo alla musica classica (il British Museum vuole eliminare il busto di Beethoven, simbolo della “supremazia della civiltà occidentale”, mentre all’Opera di Parigi si “ricontestualizzeranno” “Lo schiaccianoci” e  “Il lago dei cigni”). Gli antisemiti Bach e Chopin, il nazista Richard Strauss, il razzista Verdi, ce n’è per tutti... Senza dimenticare Mozart, che nel Flauto Magico scrive “weil ein Schwarzer hässlich ist” (perché un Negro è brutto) e “ein Weib tut wenig, plaudert viel” (una donna fa poco e parla molto). In  1984 di George Orwell il “buco della memoria” è il meccanismo ideato per  far sparire foto, parole e documenti, con l’intento di far sì che non siano mai esistiti. Ora scopriamo che il buco esiste davvero. La rivista Bon Appetit, del gruppo Condé Nast,  sta spulciando i numeri passati per cancellare e cambiare eventuali termini oggi moralmente sconvenienti, come “cucina etnica”. Servirà un buco nero per accogliere tutto il materiale che i woke vorranno cancellare.

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