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"Gli ebrei furono i primi ad andarsene. Ora la città è perduta"

Giulio Meotti

Un professore francese di Filosofia elogia Samuel Paty e ora a scuola ci va con la scorta. L’incubo di Didier Lemaire. “Da quando gli islamisti bruciarono la sinagoga il processo di purificazione è completo"

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Tutto è iniziato con l’incendio della sinagoga nell’ottobre 2000”. Questo professore di Filosofia sono anni che lo gridava dai tetti di Trappes, negli Yvelines, dove Didier Lemaire ha assistito alla disintegrazione della società e della scuola francesi. “Dopo che gli ebrei se ne sono andati da Trappes, niente più iscrizioni antisemite sulle mura della città. Non c’è più un parrucchiere misto. Le donne del Maghreb non possono più entrare nei caffè. Sulle donne il velo esercita una pressione fortissima.  Poi i musulmani moderati e gli atei che se ne vanno. I fondamentalisti stanno completando con successo il loro processo di purificazione”. 

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Tutto è iniziato con l’incendio della sinagoga nell’ottobre 2000”. Questo professore di Filosofia sono anni che lo gridava dai tetti di Trappes, negli Yvelines, dove Didier Lemaire ha assistito alla disintegrazione della società e della scuola francesi. “Dopo che gli ebrei se ne sono andati da Trappes, niente più iscrizioni antisemite sulle mura della città. Non c’è più un parrucchiere misto. Le donne del Maghreb non possono più entrare nei caffè. Sulle donne il velo esercita una pressione fortissima.  Poi i musulmani moderati e gli atei che se ne vanno. I fondamentalisti stanno completando con successo il loro processo di purificazione”. 

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Nel 2018, Lamaire inviò una lettera aperta al presidente della Repubblica Emmanuel Macron. Poi, dopo la decapitazione del  collega Samuel Paty, ha lanciato un “appello alla resistenza contro la minaccia islamista” dalle colonne dell’Obs. In quel testo, il professore spiegava che chi ha ucciso Paty “è solo l’ala armata di un progetto portato avanti da migliaia di ideologi che, come in passato i nazisti, alimentano un sentimento di vittimismo per incitare all’odio e preparare il passaggio all’azione. Questi ideologi non sono affatto ‘separatisti’, vogliono distruggere la Repubblica e la democrazia e il loro cuore, la scuola”. E ancora: “Saturando lo spazio pubblico con i loro simboli e le loro pratiche, che sono tuttavia segni di crimini contro l’umanità, a partire dalla riduzione delle donne in schiavitù, infiltrandosi nelle scuole, nelle università, nella sfera politica, diffondendo ovunque il doppio discorso e l’ingiunzione ad ‘accettare l’altro nella sua differenza’, paralizzano ogni desiderio di rispondere a queste uccisioni se non con parole, candele e fiori”. Questo insegnante andava al cuore del progetto di soumission. I nemici della Francia non avrebbero dimenticato. 

   
“Oggi sono accompagnato a scuola da agenti di polizia armati che seguono il mio veicolo”, ha spiegato ieri Lamaire a Bfmtv, aggiungendo: “So che anche la scuola è protetta, a volte in modo visibile a volte in modo invisibile”. Lemaire è tentato di gettare la spugna. “Possiamo come insegnanti supplire alla mancanza di una strategia statale per sconfiggere l’islamismo? Amo il mio lavoro, i miei studenti, ma mi è stato fatto capire che non ho futuro nell’istruzione”. 
Nel 2000, l’anno in cui è arrivato al Lycée de la Plaine de Neauphle, la sinagoga di Trappes andò a fuoco e le famiglie ebraiche furono costrette all’esilio. “Gli ebrei hanno quasi tutti lasciato la città”, raccontavano nel libro “La Communauté” due giornaliste del Monde, Ariane Chemin e Raphaëlle Bacqué. “Una dopo l’altra, le famiglie ebraiche  di Trappes hanno lasciato la città per stabilirsi in altre più accoglienti. Una parte ha trovato rifugio a Montigny, l’altra a Maurepas, la cui sinagoga raccoglie, oltre a questi nuovi fedeli, parte delle pergamene strappate al fuoco. Il macellaio se n’è andato, come Ben Yedder, il fornaio. A Trappes non rimane più alcun ebreo”. 

 

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Lamaire aveva provato ad avvertire  di quello che stava succedendo. “E’ spaventoso! Tutto si sta accelerando, in due anni ho visto più trasformazioni nei giovani e nello spazio pubblico che negli ultimi diciotto anni”, scrive il professore da questo “vivaio jihadista nel cuore della regione parigina”, in una lettera firmata in collaborazione con l’ex ispettore generale dell’Istruzione nazionale, Jean-Pierre Obin. “Oggi gli attacchi alla laicità sono collettivi e molto ben organizzati. Molti giovani francesi, musulmani o no, oggi condividono valori anti democratici e anti repubblicani, aderiscono  a un’ideologia regressiva e oscurantista”. Oggi Lemaire è affranto: “Nessuna azione efficace è stata intrapresa per fermare questo fenomeno. Cari colleghi insegnanti, un professore, nostro collega, è morto semplicemente per avere insegnato i princìpi che hanno fondato la nostra Repubblica e la nostra storia: la libertà di pensiero e il suo corollario, la libertà di espressione”. 

 
Solo a Trappes ci sono quattrocento fascicoli “S” di islamisti. Al liceo, dopo il caso Paty, Lemaire viene preso di mira dai suoi studenti: “Perché hai scritto un testo contro di noi?”. “No, ho scritto un testo per voi!”. Alla prefettura si prende la decisione di proteggere “questo professore che sta assumendo posizioni forti due settimane dopo l’assassinio di Samuel Paty”. 

 
Sulla televisione olandese va poi in onda un servizio su Trappes. “Il giornalista ha ricevuto messaggi scritti e orali da persone molto arrabbiate, che mi definiscono razzista e islamofobo”, dice Lemaire. “La madre di una studentessa disse che se avessi continuato a parlare dell’islam sarei stato il ‘secondo Samuel Paty’. Prima abbiamo avuto attacchi individuali alla laicità, oggi abbiamo manifestazioni collettive. Le ragazze hanno rifiutato all’unanimità di farsi filmare senza veli. Siamo all’inizio di una guerra del terrore che si diffonderà e si amplierà perché gran parte dei nostri concittadini preferisce non vedere che è il nostro patrimonio a essere minacciato. Per riconoscerla bisognerebbe poi difenderla con coraggio”. 

      

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Lamaire vede ragazzi che “denigrano la Francia” e studenti che non lo “guardano più negli occhi”. Gilles Kepel lo chiama “jihadismo d’atmosfera” nel suo ultimo libro, “Le Prophète et la Pandémie” (Gallimard): “Ho lavorato molto sulle diverse fasi del jihadismo: ogni volta c’erano operazioni pianificate in anticipo, con individui che avevano ricevuto istruzioni”, diceva ieri Kepel a France Inter. “Ecco, non è più così: nessuna rete, nessun obiettivo, ma un’atmosfera. Come il padre di uno studente nel caso dell’attacco a Conflans-Sainte-Honorine. Creano questa atmosfera di rabbia e un individuo decide di agire”. 

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A Trappes l’atmosfera è cupa. E dopo vent’anni di  impegno, Lemaire vuole gettare la spugna. Costretto ad andare a scuola con  la scorta della polizia, l’insegnante ora non si aspetta altro che la propria “esfiltrazione” dall’istituto, come accadde quindici anni fa a un suo collega di Tolosa, Robert Redeker. “Ogni volta che entro in macchina, controllo che le portiere siano ben chiuse, che non venga seguito. Non voglio vivere nella paura”. 

 
Come risulta da una recente indagine Ifop, commissionata dalla Fondazione Jean-Jaurès e da Charlie Hebdo, il 49 per cento degli insegnanti interrogati afferma di essersi già autocensurato sull’islam. A gennaio, i riflettori erano puntati sul Collège les Battières di Lione, dove un insegnante ha chiesto di cambiare scuola dopo essere stato aggredito da un padre. Poco dopo, Fatiha Agag-Boudjahlat, professoressa di Storia e Geografia di Tolosa, nota per il suo impegno per la laicità, è stata a sua volta oggetto di attacchi e messa sotto scorta. Poi, a Ollioules, insegnanti, genitori e studenti rifiutano in massa di ribattezzare la propria scuola col nome di Samuel Paty. La proposta del sindaco  è “nata morta”. Doveva essere discussa in consiglio comunale sabato 30 gennaio, ma prima di proporre di ribattezzare la scuola Les Eucalyptus, il sindaco Robert Beneventi si era premurato di condurre un’indagine fra docenti, studenti e genitori. Un brivido: il 100 per cento degli insegnanti ha votato contro, così come il 90 per cento dei genitori e il 69 per cento degli studenti. La città di Ollioules ha una Rue Gabriel Péri, dal nome del comunista giustiziato dai nazisti. Péri non prese le armi contro gli occupanti. Scriveva per il giornale Humanité. La sua resistenza era ideologica. Péri e Paty condividevano lo stesso coraggio morale. 

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“Come prendono forma le vittorie e le sconfitte? In ‘Guerra e pace’, Tolstoj descrive ‘il momento terribile di questa esitazione morale che decide il destino di una battaglia’”. Etienne Gernelle sul Point scrive che quel momento sembra essere arrivato in Francia. E la definisce “la seconda morte di Samuel Paty”.  “Se l’America non osa più brandire il nome di Lincoln e la Francia quello di  Paty, è difficile vedere come le democrazie liberali potrebbero impressionare la Russia di Putin, la Turchia di Erdogan o la Cina di Xi Jinping”, scrive Gernelle. “Il ‘terribile momento di questa esitazione morale’ descritto da Tolstoj potrebbe essere arrivato”.

 
E la situazione è esondata anche nel vicino Belgio. Nadia Geerts, insegnante di Filosofia all’Haute-École di Bruxelle-Brabant, è oggetto di minacce di morte dopo aver scritto “Je suis Samuel Paty”. “Come posso ancora essere sicura che la mia integrità fisica e morale sia garantita, come insegnante e come cittadina?”, si è chiesta. Subito dopo la pubblicazione del  post di solidarietà con il professore  decapitato, Nadia è stata accusata di “islamofobia” e “razzismo” dagli studenti. 

 
Ieri, in un'intervista a Midi Libre, anche l’ex giornalista di Charlie Hebdo minacciata di morte, Zineb El Rhazoui, ha dichiarato: “Se vedo il confinamento? Ebbene, sono confinata dal 2015. Ho continuato a combattere contro qualcosa che  diventava sempre più forte. Il destino che gli islamisti vogliono riservarmi è inaccettabile, ma io voglio seppellire l’ascia di guerra. Sono arrivata in un momento del mio viaggio in cui sento l’urgente bisogno di uscire dalla guerra”.  Significa che la guerra la stiamo perdendo. Per dirla con la sorella di Samuel Paty, che domenica ha parlato per la prima volta dalle colonne del Journal du dimanche: “Se tutti si rassegnano, non siamo più un paese libero”. 

 

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