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la polemica

Perché le università devono resistere ai proclami dei manifesti antirazzisti

Valeria Sforzini

Assolvere alle richieste portate avanti nei campus americani rischia di distruggere le stesse istituzioni accademiche

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A Princeton, 350 professori hanno firmato un manifesto antirazzista che descriveva la scuola come “fondata sui pilastri del suo passato oppressivo” per “disinfettarla da un razzismo onnipermeante”. Al Bryn Mawr, in Pennsylvania, le agitazioni hanno lasciato il college fermo per settimane in favore di programmi dedicati unicamente al razzismo: gli “scioperanti” hanno chiesto finanziamenti per gli studenti afroamericani, per fermare la “violenza razzista” nel campus. Il corpo docente e i genitori della Dalton School di New York hanno scritto in una lettera aperta i provvedimenti che ritengono necessari per elevare i propri valori e diventare una istituzione visibilmente, vocalmente e strutturalmente antirazzista. Le richieste andavano dalla creazione di un comitato per la sorveglianza del razzismo nel campus (Princeton), all’assunzione di 12 funzionari per la diversity a tempo pieno, fino all’eliminazione dei corsi nei quali l’adesione o il rendimento degli studenti afroamericani non fosse stata pari a quella degli altri” (Dalton). 

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A Princeton, 350 professori hanno firmato un manifesto antirazzista che descriveva la scuola come “fondata sui pilastri del suo passato oppressivo” per “disinfettarla da un razzismo onnipermeante”. Al Bryn Mawr, in Pennsylvania, le agitazioni hanno lasciato il college fermo per settimane in favore di programmi dedicati unicamente al razzismo: gli “scioperanti” hanno chiesto finanziamenti per gli studenti afroamericani, per fermare la “violenza razzista” nel campus. Il corpo docente e i genitori della Dalton School di New York hanno scritto in una lettera aperta i provvedimenti che ritengono necessari per elevare i propri valori e diventare una istituzione visibilmente, vocalmente e strutturalmente antirazzista. Le richieste andavano dalla creazione di un comitato per la sorveglianza del razzismo nel campus (Princeton), all’assunzione di 12 funzionari per la diversity a tempo pieno, fino all’eliminazione dei corsi nei quali l’adesione o il rendimento degli studenti afroamericani non fosse stata pari a quella degli altri” (Dalton). 

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“Non solo le rappresentazioni che questi manifesti danno delle istituzioni sono esagerate, ma molte delle richieste in questione distruggerebbero le istituzioni stesse”, scrive John H McWhorter, professore associato di inglese e letteratura comparata alla Columbia University, nell’articolo dal titolo Le scuole devono resistere alle distruttive richieste di anti-razzismo pubblicato la scorsa settimana sul The Atlantic. “Alcuni possono pensare che la scelta illuminata sia quella di soddisfare semplicemente queste richieste ai fini della continua resa dei conti razziale in America – spiega – Tuttavia, altrettanti vedranno una discrepanza tra le condizioni reali di questi campus e la natura e il tono dei manifesti, così come le azioni di protesta che solitamente li accompagnano”. 

 

Alla Northwestern University sono state ripresentate delle richieste avanzate dagli studenti di colore nel 1968, come: un dormitorio, un centro studentesco, aiuti finanziari, corsi e consulenti psicologici destinati agli studenti afroamericani. Richieste già in gran parte soddisfatte: invece del corso, per esempio, nel ’72 è stato creato un intero dipartimento dedicato agli studi afroamericani. Tra le domande che sono rimaste insoddisfatte c’era quella di cambiare le regole di ammissione, stabilendo che il 50% degli iscritti afroamericani provenissero dalla cittadina di Evanston, nell’Illinois, dove si trova il campus, con lo scopo di sradicare il razzismo. Un provvedimento che, per McWhorther sarebbe: “al di là delle capacità di un college”. Secondo il professore, inoltre: “gli investimenti necessari anche solo per dare l'impressione di tentare di sradicare il razzismo da Evanston comporterebbero meno fondi per, ad esempio, la consulenza per gli studenti di colore e il nuovo centro per studenti afroamericani attualmente in costruzione. E una Princeton supervisionata da una Camera Stellata di persone nominate per stanare il ‘razzismo’ diventerebbe immediatamente la meno attraente delle Ivies per studenti, genitori e docenti”. 

 

McWhorther si chiede se i rettori saranno in grado di resistere a delle richieste che definisce “distruttive” in primo luogo per l’istruzione. “Per quanto scomodo e doloroso possa essere, devono farlo” – e aggiunge – “Cedere a richieste anti-intellettuali, sottovalutate, sproporzionate o ostili e condiscendenti verso i firmatari e i manifestanti implica che non si possa fare di meglio, e che le autorità debbano sospendere il loro senso della logica, della civiltà e del progresso come una sorta di penitenza per la schiavitù, Jim Crow, il redlining, e la morte di persone come Floyd. Quella ‘penitenza’ alla fine danneggerebbe solo la comunità, attraverso una minore qualità dell'istruzione”.

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