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Classici e architettura

Mettete Gio Ponti in cucina

Da Ettore Sottsass ai giornali. La cucina non è solo "cucina". Un percorso

Carmelo Caruso

Come deve essere una cucina Ponti? Se lo chiese nel 1939 l'architetto in un simpatico testo da poco ripubblicato. Si chiama "Cuochi e cucine". Un modo per interrogarsi su un luogo della casa davvero speciale

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E’ l’unico spazio della casa dove i grandi si fanno piccoli. Umberto Saba ripeteva che tutto il suo intero “Canzoniere” non valeva la “cucina” della moglie (e soprattutto le polpette). Ippolito Nievo, nelle sue “Confessioni di un italiano”, se ne era inventata una, quella del castello di Fratta, che definiva più solida sia “del Duomo di Milano e del Tempio di San Pietro”. Esagerato! In un giornale con il termine “cucina” si indica l’ufficio centrale dove si smembrano articoli (un po’ come le interiora), si friggono le “brevi”, si bruciano le virgole, si dimenticano refusi; un po’ come si dimentica di mettere il sale nella pentola. Entrare in cucina è un privilegio.

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E’ l’unico spazio della casa dove i grandi si fanno piccoli. Umberto Saba ripeteva che tutto il suo intero “Canzoniere” non valeva la “cucina” della moglie (e soprattutto le polpette). Ippolito Nievo, nelle sue “Confessioni di un italiano”, se ne era inventata una, quella del castello di Fratta, che definiva più solida sia “del Duomo di Milano e del Tempio di San Pietro”. Esagerato! In un giornale con il termine “cucina” si indica l’ufficio centrale dove si smembrano articoli (un po’ come le interiora), si friggono le “brevi”, si bruciano le virgole, si dimenticano refusi; un po’ come si dimentica di mettere il sale nella pentola. Entrare in cucina è un privilegio.

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Bettino Craxi aveva nominato suo delfino Claudio Martelli non al congresso del Psi, ma tra i piani del suo frigorifero: “E’ l’unico che può aprirlo”. Come sarebbe bello vedere la cucina di Giuseppe Conte o di Matteo Renzi per poter capire le loro (vere) ambizioni. Ettore Sottsass, che ha dedicato più di un articolo a riguardo, era dell’opinione che “appena si entra in casa di qualcuno, bisogna immediatamente vedere la cucina: Io lo faccio come si va a trovare il pittore nel suo studio, come si legge la sua biografia, come si scrutano i suoi disegnini, i suoi appunti, per carpire – come si dice – la sua arte”. La domanda è però questa: chi fa la cucina? L’architetto o la cuoca?

 

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Singolare quesito a cui ha provato a dare risposta Gio Ponti. Era il 1939. Ponti era già Ponti. Scriveva per il Corriere della Sera, era amico del commediografo Alberto Casella autore di Anche a Chicago nascon le violette. Non solo. Casella abitava a Milano, a villa Laporte, in via Brin, villa che era stata progettata da Ponti. Ebbene, in uno di quei giochi intellettuali, Casella chiese all’architetto come doveva essere una “cucina Ponti”. Ma perché ve lo stiamo dicendo? Perché il verbale di quella simpatica discussione, apparso sull’Almanacco culinario della Scena Illustrata, è stato ripubblicato dalla casa editrice Henry Beyle. Titolo “Cuochi e cucine” (475 copie numerate e cucite a mano) con le immagini dall’archivio Ponti (disegnava tantissimo e non si lavava mai le mani. Gli piaceva averle sporche di grafite; altro che amuchina).

 

Ebbene, la tesi di Ponti è che perfino le sue cucine non fossero che astratte (“Diventano vive solo quando abitate e logorate”) e che una vera cucina prende forma dopo un anno. “Ed è per questo che io mi faccio invitare a pranzo dagli amici, ai quali ho disegnato la cucina, allorchè sia trascorso un anno dall’epoca in cui è stata costruita”. Abdicava a favore della cuoca perché “è lei che fa nascere le violette”. Era la ricetta di Ponti, che era un gran goloso, un gastroarchitetto (fondò con Orio Vergani l’Accademia italiana della cucina) e che però, siamo certi, oggi lo riscriverebbe. Glovo e cucine?

 

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