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gli aforismi di lichtenberg, scrittore scienziato

Lo sperimentatore di idee che conosceva il problema dell’anima tedesca

Alfonso Berardinelli

A volte profetico, altre sbrigativo: uno di quelli che ti afferra per un braccio e ti costringe a fermarti come se volesse portarti da qualche parte, ma poi ti molla subito lì a rimuginare su quello che ha scritto

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Lo scrittore illuminista tedesco che sentii nominare per la prima volta da Walter Benjamin come “l’ottimo Lichtenberg” è uno di quegli autori a cui ci si affeziona perché sono molto pratici e confortevoli: li possiamo leggere anche senza decidere di leggerli, ad apertura di pagina, a caso. Il genere letterario per cui viene ricordato e amato come uno degli scrittori più originali della letteratura tedesca è il genere aforistico, che può andare dalla singola frase alla mezza pagina. Sembrerebbe un autore per lettori pigri. Ma questa apparenza è in realtà una trappola. Georg Christoph Lichtenberg ti afferra per un braccio e ti costringe a fermarti come se volesse portarti da qualche parte, ma poi ti molla subito lì a rimuginare su quello che ha detto. Invece di guidarti, ti lascia a te stesso. Succede che la frase brillante, spesso esilarante, con cui ti ha agganciato sia circondata da ragionamenti così sottili e inusitati che sei costretto a rileggerli e non sempre una sola volta. Le idee sono la sua materia e con questa materia fa esperimenti.

 


Vissuto nel “secolo dei Lumi” fra il 1742 e il 1799, Lichtenberg era sia scrittore che scienziato. Insegnò fisica all’università di Gottinga, ma i due viaggi in Inghilterra del 1770 e 1774-75 furono per lui determinanti. E qui a chiarire le cose c’è uno dei suoi aforismi: “In fondo sono andato in Inghilterra per imparare a scrivere il tedesco”. È questa una buona idea, su cui consiglio ai miei compatrioti di riflettere poiché non sanno più usare la lingua italiana: ci infilano dentro in continuazione delle zeppe legnose di lessico inglese, invece di imparare a usare l’italiano con la naturalezza con cui gli inglesi usano l’inglese.

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E già qui cade a proposito un aforisma di Goethe a proposito di Lichtenberg: “Quando lui scherza, lì sotto c’è nascosto un problema”, per esempio il problema del buon rapporto che è bene avere con la propria lingua madre in quanto veicolo naturale per fare esperienza di sé stessi senza alienarsi in un’altra lingua. Infatti sotto una battuta spiritosa a proposito della lingua si nasconde il problema di che cos’è la cultura e l’essere colti. In Lichtenberg si nota di continuo che lo scienziato dà buoni consigli al letterato e viceversa. La prima scuola è osservare e fare esperimenti con sé stessi e la propria vita, altrimenti leggere e studiare non serve a niente, anzi corrompe e falsifica, creando personalità posticce, artificiali. Si nota spesso che la cultura è usata dagli “acculturati” come un parrucchino e chi ne fa uno spavaldo uso pubblico fa pensare a quelle donne inconsapevoli che si fanno gonfiare le labbra fino all’inverosimile per credersi irresistibili anche a ottant’anni.

 

A un certo punto la passione di Lichtenberg per la naturalezza (in questo è simile a Molière) gli fa dire una cosa assai discutibile su cui tuttavia vale la pena di riflettere: se i greci, dice, erano così intelligenti è perché sapevano solo il greco e “non sciuparono il tempo più bello della loro giovinezza imparando lingue morte; impararono la lingua di cui avevano bisogno attraverso le cose, e non fecero come noi che invece, in innumerevoli circostanze, apprendiamo le cose attraverso i vocaboli: Plutarco era già abbastanza avanti con gli anni quando imparò il latino”. Dunque cose, non parole. Eppure non è così, se è vero che le idee, che vengono dalle cose, si combinano però fra loro servendosi dei rapporti fra parole. Il libro di Lichtenberg con cui ho passato un giorno intero è Osservazioni e pensieri, che Nello Sàito curò per Einaudi nel 1966 e che ora ricompare presso Fiorenzo Albani Editore con un’introduzione di Giulia Cantarutti, studiosa di aforistica, saggistica e prose brevi.

 

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Questa nuova edizione lancia in quarta di copertina una frase programmatica di Lichtenberg, “Bisogna sperimentare con le idee”, in cui si sente la voce dell’illuminista innamorato delle idee ma attratto ancora di più dall’arte di combinarle insieme, saggiarle, rovesciarle, esaltarle o farle esplodere nel suo laboratorio di scienziato che cerca di vedere se c’è da pensare qualcosa di non ancora pensato né messo alla prova. A volte è profetico: “Un giorno i nostri nomi saranno completamente offuscati dagli inventori del volo e di cose simili”. Vedete un po’ voi se i nomi di Bill Gates e Steve Jobs non fanno ombra non solo a Lichtenberg, ma perfino a Voltaire, a Galvani, a Mozart. A volte è un po’ sbrigativo, benché non insensato, se si pensa all’attuale mania dei numeri e dei calcoli: “La matematica è veramente una scienza magnifica, ma i matematici spesso non valgono niente (...) ci sono fra loro i più grandi confusionari che esistano sulla faccia della Terra, incapaci di qualsiasi cosa che richieda una riflessione che non si possa subito ridurre a una semplice combinazione di cifre che sono più frutto del mestiere che del pensare”.

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Non per questo Lichtenberg cede alla religione dei libri che è tipica di eruditi e letterati: “Studiare senza uno scopo, solo per poter parlare di quello che hanno fatto gli altri, è l’ultima delle scienze e costoro non sono veri dotti, come gli inventari non sono veri libri (...) Se hai pensato da solo, la tua scoperta di una cosa già scoperta porterà almeno in sé il segno della particolarità”. Trascrivendo queste righe mi è venuta voglia di imitare Lichtenberg e cercare “che cosa c’è sotto”. Mi pare proprio che sotto ci sia anche un problema dell’identità nazionale tedesca, così come viene rivelato da un altro aforisma: “Gli altri compiono imprese e noi ne traduciamo la storia in tedesco”. Da questo complesso di inferiorità pratica e politica è venuto fuori qualcosa di buono, l’onesta e affidabile efficienza tedesca, ma anche molte cose che hanno fatto paura al mondo, da Bismarck a Marx, da Nietzsche ai nazisti.

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Stanchi della loro vocazione alla coerenza religiosa, alla mistica, al pensiero teorico e alla filosofia sistematica, gelosi del genio pratico degli inglesi e dei francesi, intorno alla metà dell’Ottocento i tedeschi sono diventati filosofi della prassi e mistici della vita, che con la loro potenza vengono, devono venire, prima delle parole e delle idee. Il tutto si è concluso con il trionfo della più diabolica brutalità che voleva essere insieme realistica e rivoluzionaria, nell’impresa impossibile di dominare e colonizzare l’intera Europa. Su questo non potrebbe scherzare neppure Lichtenberg, razionalista paradossale, individualista solitario e umorista antipatriottico.

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