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Cito, dunque sono

Mariarosa Mancuso

Sull’abuso dell’epigrafe, sottile forma d’arte che alza il tono di un libro e del suo coltissimo scrittore

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"La prefazione di un libro potrebbe essere considerata il suo parafulmine”, scriveva Georg Christoph Lichtenberg, scienziato e filosofo tedesco con un certo gusto per la satira. I suoi esperimenti nelle scienze naturali gli avevano peraltro insegnato che il parafulmine è utilissimo e insostituibile: “Che nelle chiese si predichi non rende inutili i parafulmini su di esse”. Non è dato sapere cosa pensasse delle epigrafi: le citazioni che precedono un romanzo, e suggeriscono che lo scrittore è personcina colta, a volte spiritosa, capace di scegliere – tra le letture che hanno rischiato di fagli venire la gobba – qualche riga che ne colga l’essenza. In un libretto francese – “Epigraphes”, da Seuil – Elsa Jonquet e Patrick Mosconi ne raccolgono parecchie. Le paragonano a “sentinelle che stanno a guardia di un testo”.

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"La prefazione di un libro potrebbe essere considerata il suo parafulmine”, scriveva Georg Christoph Lichtenberg, scienziato e filosofo tedesco con un certo gusto per la satira. I suoi esperimenti nelle scienze naturali gli avevano peraltro insegnato che il parafulmine è utilissimo e insostituibile: “Che nelle chiese si predichi non rende inutili i parafulmini su di esse”. Non è dato sapere cosa pensasse delle epigrafi: le citazioni che precedono un romanzo, e suggeriscono che lo scrittore è personcina colta, a volte spiritosa, capace di scegliere – tra le letture che hanno rischiato di fagli venire la gobba – qualche riga che ne colga l’essenza. In un libretto francese – “Epigraphes”, da Seuil – Elsa Jonquet e Patrick Mosconi ne raccolgono parecchie. Le paragonano a “sentinelle che stanno a guardia di un testo”.

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Mentre Stendhal – più pratico di romanzi – sostiene che hanno un solo scopo: aumentare l’emozione del lettore. Groucho Marx la citazione se la fabbrica da sé (è più che lecito, ne esistono anche di inventate, e attribuite ad altri, esistenti o di fantasia: “Ho scritto questo libro nelle lunghe ore che mie moglie ha trascorso a vestirsi”). Fa da sé anche La Rochefoucauld nelle sue “Massime”, di sicuro la raccolta più saccheggiata dai cacciatori di citazioni: “Il più delle volte le nostre virtù non sono altro che vizi mascherati”. Ray French, scrittore gallese, ruba alla Lady di Ferro Margaret Thatcher: “Un uomo che a vent’anni prende ancora il bus può considerarsi un fallito”. Il lettore anticapitalista e verde è subito conquistato. Viene voglia di fare una prova con gli italiani, premiati e no. Nicola La Gioia – prevedibilmente il prossimo premio Strega – accoglie il lettore di “La città dei vivi” con una frase di Francesco Saverio Nitti (vissuto molto prima dell’èra Virgina Raggi): “Roma è l’unica città mediorientale senza un quartiere europeo”. Per accompagno, arriva Giulio Andreotti: “Non attribuiamo i guai di Roma agli eccessi di popolazione. Quando i romani erano solo due, uno uccise l’altro” (è la trama del film “Il primo re” di Matteo Rovere, e siccome i duelli funzionano sempre bene viene riproposta anche nella serie-prequel “Romulus”). Sandro Veronesi, premio Strega del 2020, apre “Il colibrì” con una frase di Samuel Beckett: “Non posso continuare. Continuerò”. Fa il paio con l’altra citazione beckettiana (il tipo di scrittore che subito alza il tono di qualsiasi romanzo): “Ho provato. Ho fallito. Riproverò. Fallirò meglio”.

 

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Le sentinelle – o i potenziatori di emozioni, se diamo retta Stendhal – di Letizia Pezzali in “Amare tutto” sono Edgar Allan Poe (“Ma ci amavamo d’un amore ch’era più che amore”) e David Foster Wallace (“Ogni storia d’amore è una storia di fantasmi”). Deve essere una storia d’amore, direbbe Groucho Marx, già sulla buona strada per via del titolo. Daniele Rielli abbonda, le epigrafi di “Odio” sono tre. Primo, il grandioso René Girard (che certo meriterebbe di essere più letto, ma di questi tempi è dura): “L’idea che le credenze di tutta l’umanità non siano che una mistificazione, alla quale saremmo pressoché i soli a sfuggire, è a dir poco prematura”. Decisamente impegnativa. Segue Cioran: “I libri andrebbero scritti per dire cose che non si oserebbe confidare a nessuno”. Segue Gesù: “Perdona loro perché non sanno quello che fanno”. A tanti cascherebbe la penna di mano, dopo tre citazioni così. Donatella di Pietrantonio in “Borgo Sud” ha una bella citazione di Natalia Ginzburg: “Quando io mi sposai avevo venticinque anni. Avevo lungamente desiderato di sposarmi, e spesso pensato, con un senso di avvilita malinconia, che non ne avevo molta probabilità”. Spirito e ironia, lontanissimi dal tono del romanzo. Le epigrafi mostrano la loro vera utilità in caso di interviste, quando finiamo le domande prima del tempo.

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