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L’ora del pragmatismo come nuovo sistema morale

Giuliano Ferrara

La pandemia e la pseudocrisi. Bisognerebbe dire che una certa nozione di politica è sospesa. Quando nessuno più si sente sicuro nella sua vita a nessuno è lecito sentirsi così sicuro delle proprie idee

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Solo un italiano su cinque vuole il ritorno alle urne, e vorrei vedere, siamo un popolo pratico, antico, esperto di umanità e di modi informali e liberi di pensare. La sproporzione tra quello che ci sta succedendo e quello che ci facciamo con le nostre mani è veramente bizzarra, per usare un eufemismo non troppo triste. E in giro c’è ancora abbastanza saggezza per capirlo. I vaccini camminano con lentezza, per lo più, e in mezzo a mille difficoltà anche previsionali. Sono la fine dell’incubo? Forse sì, forse no. Le varianti virali impazzano, e come al solito ne sappiamo poco. Il premier britannico, in un paese stordito dalla conta dei morti quotidiani e dalle cifre inverosimili dei contagi, con tutto chiuso per la terza volta, annuncia che secondo certi studi la variante inglese è del trenta per cento più letale e infinitamente più rapida nella trasmissione infettiva. Pandemia vuol dire che nessuno è escluso da un dramma collettivo, e ci sono parti del mondo che ancora non conoscono picchi simili ai nostri, attendono che venga la loro ora nefasta in una circolarità della piaga che sconcerta. La JPMorgan ha riunito le industrie della salute, il giro di Big Pharma, e ha concluso: ci sono anni ancora di tamponi necessari, di medicine da trovare, di rimedi vaccinali da perfezionare e rendere idonei ai movimenti maligni del virus, dei virus.

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Solo un italiano su cinque vuole il ritorno alle urne, e vorrei vedere, siamo un popolo pratico, antico, esperto di umanità e di modi informali e liberi di pensare. La sproporzione tra quello che ci sta succedendo e quello che ci facciamo con le nostre mani è veramente bizzarra, per usare un eufemismo non troppo triste. E in giro c’è ancora abbastanza saggezza per capirlo. I vaccini camminano con lentezza, per lo più, e in mezzo a mille difficoltà anche previsionali. Sono la fine dell’incubo? Forse sì, forse no. Le varianti virali impazzano, e come al solito ne sappiamo poco. Il premier britannico, in un paese stordito dalla conta dei morti quotidiani e dalle cifre inverosimili dei contagi, con tutto chiuso per la terza volta, annuncia che secondo certi studi la variante inglese è del trenta per cento più letale e infinitamente più rapida nella trasmissione infettiva. Pandemia vuol dire che nessuno è escluso da un dramma collettivo, e ci sono parti del mondo che ancora non conoscono picchi simili ai nostri, attendono che venga la loro ora nefasta in una circolarità della piaga che sconcerta. La JPMorgan ha riunito le industrie della salute, il giro di Big Pharma, e ha concluso: ci sono anni ancora di tamponi necessari, di medicine da trovare, di rimedi vaccinali da perfezionare e rendere idonei ai movimenti maligni del virus, dei virus.

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Vita, salute, identità, economia, lavoro, scuola, reddito: è l’emergenza di gran lunga più grande dall’ultima guerra mondiale. Per chi non è più un ragazzo l’orizzonte è da fine di mondo, del mondo com’era e come era conosciuto, cose ricordi modi di vita svaniscono nell’improbabilità del futuro prossimo e lontano. Per chi è giovane e ha più energia il rischio della depressione e della malinconia che sostituiscono le pulsioni più vitali è allarmante. In tutto questo noi siamo alle prese con i cacciatori di errori, come li chiama Macron, i dispettosi spalatori di merda, una nozione belluina, asfittica, mediocre dello scontro politico e istituzionale. Chiaro che quattro italiani su cinque, comunque la pensino, sentono come un dispendio inutile di balordaggini il teatrino della crisi, le balle sui fondi europei, le polemiche inutili e capziose su questo e su quello, l’ipocondria verso quello straccio di classi dirigenti che cercano di sfangarla e di farcela sfangare dopo che il gigante addormentato dell’Europa si è finalmente mosso, dopo che Trump è stato cacciato a calci da un posto dove non avrebbe avuto la legittimazione costituzionale per entrare e stare per quattro lunghi anni, dopo che la risposta populista e nazionalista si è rivelata un grottesco inganno.

        

Bisognerebbe avere il coraggio di dire che una certa nozione di politica è sospesa, rinviata a data da destinarsi, ora è il momento di applicarsi a problemi e pericoli immediati, ma non di breve periodo, è il momento di riparametrare il nostro metro di giudizio, smetterla di fare i furbi, di esibire mascelloni polemici, di cercare uno spazio, ché è solo uno spazio nel vuoto della desolazione quello che i politici demagoghi oggi possono cercare di trovare. Destra, sinistra, centro moderato, riformismo, appaiono come forme di credulità ideologica e di partigianeria irresponsabile.

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Dovrebbe essere il momento del pragmatismo inteso non come opportunismo e scivolamento nel particolare ma come sistema, riferimento morale nuovo, come ultima frontiera di una cultura di difesa del possibile, del fattibile. Nessuno dovrebbe perseguire scopi troppo fissi, e è proprio il caso di dire che il movimento, secondo la vecchia formula di Bernstein, è tutto. Il domani che canta non c’è per nessuna prospettiva e per nessuno, occorrerebbe afferrare questa evidenza. Non esistono, si parli di Recovery plan o di ogni altra cosa rilevante, bandiere, idoli, progetti di trasformazione belli e fatti, corrispondenti a pregiudizi e orientamenti sclerotizzati, esiste solo la necessità di resistere e commisurare questo mare di parole e di formule che è la pseudocrisi con la situazione incredibile che ci è toccata e ci travolge.

  

Arrivati all’estate del 2020 abbiamo pensato un po’ tutti che la piena era passata, che si poteva rialzare la testa del giunco calato nel silenzio, poi i fatti hanno smentito gli ottimismi di maniera, e allo spirito festaiolo e comprensibilmente liberatorio è succeduto il rinnovarsi del dramma. Ora si stanno a fare calcoli sul semestre bianco, si rispolverano questioni pregiudiziali di sistema, si pensa che la politica possa ridare sfogo alle grandi ambizioni, mentre è vero il contrario, il livello delle ambizioni va abbassato, e quando nessuno più si sente sicuro nella sua vita a nessuno è lecito sentirsi così sicuro delle proprie idee.

  

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