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Il figlio

Questo giorno che incombe. Dov’è finita la mia promessa di felicità?

Annalena Benini

Le ombre della maternità e l’incubo della realtà. Il nuovo romanzo di Antonella Lattanzi

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C’è un confine sottile tra la perfetta felicità e la più terribile disperazione. Tra una nuova, bellissima vita, e un posto mostruoso da cui è impossibile scappare. Tra una condizione di assoluta realtà e una mente (o una casa) infestata dai fantasmi. Ma soprattutto, c’è un confine sottile tra una madre meravigliosa e una madre spaventosa. Tra una donna che ama follemente le sue bambine e farebbe di tutto per proteggerle e una donna che strappa in mille pezzi la loro fotografia e pensa: se non ci fossero loro, io sarei libera. Antonella Lattanzi fa camminare, e poi correre e d’un tratto precipitare le parole e le storie sopra questo delicato, potentissimo confine in cui può accadere di tutto: i mostri fuori dalla porta, i mostri dentro la testa.

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C’è un confine sottile tra la perfetta felicità e la più terribile disperazione. Tra una nuova, bellissima vita, e un posto mostruoso da cui è impossibile scappare. Tra una condizione di assoluta realtà e una mente (o una casa) infestata dai fantasmi. Ma soprattutto, c’è un confine sottile tra una madre meravigliosa e una madre spaventosa. Tra una donna che ama follemente le sue bambine e farebbe di tutto per proteggerle e una donna che strappa in mille pezzi la loro fotografia e pensa: se non ci fossero loro, io sarei libera. Antonella Lattanzi fa camminare, e poi correre e d’un tratto precipitare le parole e le storie sopra questo delicato, potentissimo confine in cui può accadere di tutto: i mostri fuori dalla porta, i mostri dentro la testa.

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Ci dice, senza giudicarlo, ma togliendoci il fiato, che il male esiste e si trova prima di tutto dentro di noi. A volte vince. Antonella Lattanzi si è ispirata, e lo dichiara con la sua voce da romanzo, a un fatto di cronaca accaduto nel posto dove ha vissuto quando era molto piccola, quando non poteva capire, ma soltanto accorgersi. Quando tutto di noi è ancora laggiù, nell’infanzia, e proprio per questo non potremo mai liberarcene. La letteratura, poi, può costruire, spiegare, perfino vendicare quello che ci ossessiona, e può perdonare, nominandola, tutta l’imperfezione che ci riguarda. “Questo giorno che incombe”, appena uscito per HarperCollins, è il titolo perfetto, oltre che shakespeariano, per questo romanzo molto atteso che vi scuoterà e vi impedirà di smettere di leggere prima di essere arrivati alla fine. Come Shirley Jackson, Antonella Lattanzi sa far crescere la tensione senza gridare, ma infilandola nei dettagli della vita quotidiana: in una mano insanguinata, in una voce che prima non c’era, in una macchia sul soffitto. Nel sasso tirato da una bambina che ti colpisce in mezzo alla fronte.

 

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Tutto spiegabile, tutto vero nel senso di quella parte orrorifica di verità che a volte cogliamo nelle finestre accese delle case degli altri, o anche nelle nostre. Quello che crediamo di vedere per un attimo, o che ci rifiutiamo di guardare per sempre. Tutto avviene, qui, dentro il massimo slancio verso la felicità: ci sono una madre, un padre e due bambine piccole che stanno realizzando il sogno di una nuova vita dietro il cancello rosso. Una casa desiderata, un’altra città, un bel giardino, dei nuovi vicini e il cerchio perfetto dell’amore che li unisce. La giovinezza, anche, e il desiderio di futuro. Ma soprattutto, la fiducia nell’amore, su cui questa giovane donna ha puntato ogni parte di sé. “Ma l’amore non è una forza in grado di distruggere qualunque ostacolo. L’amore è fallibile, egoista, sommerso dal sonno della sera o dalla sveglia della mattina, sta per affogare e nemmeno se ne accorge, torna su. Ci sono delle volte che boccheggia. L’amore c’è e poi si dimentica di esserci, come chi ha perso la memoria anche solo per un attimo”. L’amore incombe, perfino. Quel che succede, dopo una serie di segni che potrebbero essere allucinazioni o verità o “le fissazioni di tua madre”, come scriveva Shirley Jackson per raccontare quanto poco venisse presa in considerazione dal resto della casa, è una sparizione.

 

La sparizione più insopportabile che esista, quella che fa fermare il respiro per dieci minuti o per sempre. Che rende la vita peggiore della morte. La sparizione di una bambina da questo piccolo mondo che era una promessa di gioia, una paradisiaca, soffocante comunità (dipende da come la guardi, dipende da chi sei) di esseri umani che vogliono essere felici insieme. Non c’è nient’altro che si possa dire sui colpi di scena di questa storia, né sull’invenzione letteraria che la accompagna: tranne che viene messo tutto continuamente in discussione nel profondo attraverso lo sguardo di una donna che credeva nella perfetta felicità domestica e che si trova invece sola nella realtà, oppure nell’incubo, che si scambiano i ruoli. Lei ci cammina dentro, sale e scende i piani della consapevolezza e della crisi, mentre noi saliamo nei diversi piani di lettura. “Chi uccideremmo, se sapessimo che resta assolutamente e eternamente segreto?”, si chiedeva Elias Canetti e siamo costretti, leggendo, a chiedercelo tutti, mentre non possiamo fidarci più di nessuno. Neanche dell’amore.

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