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Pet revolution

Una pandemia da cani

Con il lockdown è esploso il business degli animali domestici. Anche in Italia veterinari, negozi di crocchette e dog sitter hanno visto l’aumento. E il boom di abbandoni non c’è stato

Giulia Pompili

Secondo il rapporto Coop 2020, “3,5 milioni di italiani durante il lockdown o subito dopo hanno acquistato un animale da compagnia e 4,3 milioni pensano di farlo prossimamente”. Il  business del cibo per animali, secondo le stime dell’Assalco, potrebbe aumentare del 10-12 per cento, per un giro d’affari da due miliardi di euro. “Durante il lockdown possedere un cane o no ha fatto la differenza”, dice il presidente dell'Anmvi

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"Alla fine ne ho presi due, fratello e sorella, non potevo separarli”, mi ha scritto Annalena Benini all’inizio di novembre, il giorno in cui è andata a prendere quello che avrebbe dovuto essere un gatto, ed è tornata a casa con una coppia di felini: “Ora in lockdown si può fare inserimento”. E l’inserimento era per Fix, il cane, già da diversi anni membro della famiglia che avrebbe dovuto adattarsi alla presenza di due nuovi animali. Nel corso del 2020, pure il direttore Claudio Cerasa ha preso due gatti, che ogni tanto fanno da comparse durante le riunioni di redazione via Skype. Paola Peduzzi ha adottato la meticcia Bonnie esattamente un anno fa, cioè subito prima della pandemia e del lockdown. Più quattro gatti e un cane nel corso del 2020, nel piccolissimo campione statistico della redazione del Foglio, è forse sufficientemente significativo per quello che i media internazionali hanno chiamato il “pet boom”. In questi mesi abbiamo parlato fino allo sfinimento di quanto la vita sia cambiata per gli umani, ma poco si è discusso dei quadrupedi cosiddetti “da compagnia”, gli animali “da affezione”. Le due condizioni però vanno di pari passo: secondo gli psicologi, la solitudine del lockdown ha portato molte persone a considerare l’ipotesi di adottare un animale; il lavoro da casa ha reso più concreta l’idea di un’adozione; il cane, il gatto, il coniglio hanno fatto da babysitter ai bambini rimasti a casa per la chiusura delle scuole.

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"Alla fine ne ho presi due, fratello e sorella, non potevo separarli”, mi ha scritto Annalena Benini all’inizio di novembre, il giorno in cui è andata a prendere quello che avrebbe dovuto essere un gatto, ed è tornata a casa con una coppia di felini: “Ora in lockdown si può fare inserimento”. E l’inserimento era per Fix, il cane, già da diversi anni membro della famiglia che avrebbe dovuto adattarsi alla presenza di due nuovi animali. Nel corso del 2020, pure il direttore Claudio Cerasa ha preso due gatti, che ogni tanto fanno da comparse durante le riunioni di redazione via Skype. Paola Peduzzi ha adottato la meticcia Bonnie esattamente un anno fa, cioè subito prima della pandemia e del lockdown. Più quattro gatti e un cane nel corso del 2020, nel piccolissimo campione statistico della redazione del Foglio, è forse sufficientemente significativo per quello che i media internazionali hanno chiamato il “pet boom”. In questi mesi abbiamo parlato fino allo sfinimento di quanto la vita sia cambiata per gli umani, ma poco si è discusso dei quadrupedi cosiddetti “da compagnia”, gli animali “da affezione”. Le due condizioni però vanno di pari passo: secondo gli psicologi, la solitudine del lockdown ha portato molte persone a considerare l’ipotesi di adottare un animale; il lavoro da casa ha reso più concreta l’idea di un’adozione; il cane, il gatto, il coniglio hanno fatto da babysitter ai bambini rimasti a casa per la chiusura delle scuole.

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Ma davvero abbiamo adottato un cane (o un gatto, un coniglio, perfino un pesce) per stare meglio durante quest’anno di isolamento? E che effetto ha avuto tutto questo sul business degli animali domestici? Come riportato dall’Istituto superiore di sanità, il termine pet-therapy “è stato coniato nel 1964 dallo psichiatra infantile Boris M. Levinson”, e si riferisce “all’impiego degli animali da compagnia per curare specifiche malattie”. Levinson iniziò a fare ricerca sull’uso degli animali nella terapia per caso: la leggenda narra di un incontro fortuito tra un suo giovane paziente autistico e il suo cocker Jingles. Attraverso il rapporto tra il bambino e l’animale il medico riuscì a entrare in relazione con  il paziente, e a dare inizio a un filone vastissimo della psicoterapia moderna. Gli scienziati hanno poi capito che in effetti la presenza di un animale “durante situazioni percepite come stressanti riduce i livelli di ansia, la pressione sanguigna e il battito cardiaco”; il contatto fisico con un animale induce “una riduzione, nel sangue, dei livelli di cortisolo. E parallelamente causa un aumento delle quantità di ormoni e neurotrasmettitori in grado di determinare emozioni positive (endorfine e dopamina) e di ridurre l’ansia e lo stress. Ciò determina anche un miglioramento delle relazioni con gli altri e dell’umore attraverso la stimolazione dell’ossitocina, un neuropeptide secreto dall’ipotalamo”. Insomma, in situazioni di solitudine e stressanti, come può essere una pandemia, di sicuro quella di un animale domestico può essere una presenza positiva a livello terapeutico. Ma al di là della riflessione scientifica, all’inizio del lockdown in Italia, nel marzo scorso, circolavano online molte ironie sull’uso strategico dei cani per uscire di casa. In effetti, tra le poche attività non vietate, c’era quella di portare fuori l’animale domestico. E c’era chi credeva davvero che questo stratagemma potesse portare a un incremento delle adozioni nel periodo pandemico con un conseguente aumento degli abbandoni subito dopo la fine dell’emergenza. Secondo gli esperti del settore ascoltati dal Foglio – veterinari, canili, autorità istituzionali legate agli animali da affezione – queste adozioni “strumentali” non ci sono  però state, anzi. 

 
Già a maggio il Financial Times scriveva che nel Regno Unito il prezzo dei cani di razza era aumentato, che le richieste di cuccioli erano cresciute del 140 per cento rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. La Royal Society for the Prevention of Cruelty to Animals dice di aver avuto negli ultimi mesi una crescita esponenziale di richieste di adozione e ha scritto un decalogo sul suo sito online per evitare di essere raggirati negli acquisti di cuccioli d’importazione (aumenta la domanda, e naturalmente aumentano pure le truffe, che in questo caso finiscono per finanziare il terribile business del traffico clandestino di animali). 

  
Nei primi sei mesi dell’annus horribilis 2020, una delle piattaforme online di alimenti e forniture per animali domestici più conosciute, Zooplus, ha realizzato un +19 per cento di vendite rispetto allo stesso periodo del 2019. La crescita è trainata soprattutto dai paesi che hanno avuto delle restrizioni alla mobilità – se prima le crocchette per il cane si compravano al negozio sotto casa, in molti hanno iniziato a comprarle via internet. Contattata dal Foglio, l’azienda conferma che l’Italia è stata una delle maggiori sorprese di quest’anno: qui la crescita delle vendite è arrivata al 25 per cento. E’ un trend che hanno notato tutte le associazioni di settore. Secondo il rapporto preliminare Coop 2020, “3,5 milioni di italiani durante il lockdown o subito dopo hanno acquistato un animale da compagnia e 4,3 milioni pensano di farlo prossimamente”. Sono quasi 8 milioni di bocche in più da sfamare – forse un po’ ottimista, ma significativo. Per ora il  business del pet food, del cibo per animali, secondo le stime dell’Assalco (Associazione nazionale imprese per l’alimentazione e la cura degli animali da compagnia), potrebbe vedere un aumento del 10-12 per cento, per un giro d’affari da due miliardi di euro. “Durante il lockdown possedere un cane o no ha fatto la differenza”, dice al Foglio il presidente dell’Associazione nazionale medici veterinari italiani, Marco Melosi, specialista in clinica degli animali da compagnia. E cita uno studio pubblicato sul Journal of Veterinary Behavior e condotto dall’Università di Barcellona (“The effects of the Spanish COVID-19 lockdown on people, their pets, and the human-animal bond”): durante il lockdown spagnolo chi aveva un animale domestico ha ricevuto un “sostegno determinante nel mitigare gli effetti” della reclusione. 

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 “Come veterinari noi siamo stati sempre aperti per tutto il periodo del lockdown”, dice Melosi, “e abbiamo notato soprattutto un aumento dell’attenzione da parte dei proprietari nei confronti degli animali domestici. E’ una tendenza che va avanti da molti anni, ma la pandemia ha dimostrato che l’Italia presta sempre più attenzione ed è molto sensibile agli animali da compagnia”. Ormai quasi il 50 per cento delle famiglie in Italia ha un cane o un gatto: “A oggi il nostro lavoro è cambiato perché negli ambulatori si lavora solo su appuntamento, per garantire la sicurezza. Ma questa maggiore attenzione ha portato parallelamente a uno sviluppo della medicina veterinaria. In quarant’anni che faccio questo lavoro ho percepito chiaramente questa evoluzione: oggi si richiedono per gli animali le stesse cure che vengono date agli altri membri della famiglia”. Visite specialistiche, chirurgie specialistiche come la protesi d’anca, indagini, interventi al cuore: “Tutto questo naturalmente ha un costo, ed è per questo che siamo da tempo impegnati, con altre associazioni di settore, nella battaglia per la riduzione dell’Iva, sia sui prodotti per animali sia sulle prestazioni veterinarie”. Gli italiani si sono rivolti per larghissima parte ai canili, ma il business degli allevamenti di cani di razza regge: “Possiamo dire che ci sono delle razze ormai dominanti, come il golden retriver e il labrador, così come barboncini, bassotti tedeschi,  jack russel. Ci sono anche cani che vengono comprati all’estero, ma su questo bisogna fare molta attenzione al traffico illegale: se qualcuno vi dà appuntamento in autostrada per consegnarvi il cucciolo, non vi fidate”. Chi frequenta i parchi dedicati ai cani a Milano segnala un aumento esponenziale di razze anche più ricercate (e costose): bulldog francesi, border collie, lupi cecoslovacchi, e poi qualche podenco ibicenco (una razza originaria di Ibiza) e soprattutto qualche  rhodesian ridgeback, un cane del sud Africa che veniva usato per tenere occupati i leoni durante la caccia. Un cucciolo può costare fino a 1.500 euro.     


Il trend dell’aumento degli animali domestici è evidente se provate a cercare un dog sitter disponibile a Milano in questo periodo: una missione impossibile. “Io lavoro di più e con gente più giovane”, dice al Foglio Moisés Gallovotti, educatore cinofilo presso l’associazione Area cani Milano, che durante il periodo di lockdown ha partecipato al progetto di Energie sociali Jesurum e il comune per portare spesa, medicinali e assistenza agli animali domestici gratuita per gli over 65 (“E’ stata una botta”, racconta, “andavamo in queste case e spesso gli anziani si dividevano un pezzo di pane con il cane”). Gallavotti nel post lockdown ha notato un aumento di proprietari di cani, “gente che magari non usciva da sola nemmeno per andare al parco, e ora costretta in città, senza poter viaggiare, ha deciso di allargare la famiglia con un cane”. Il ruolo dell’educatore è quello di insegnare a cane (e padrone) a diventare “cittadino”, cioè a muoversi in città senza avere problemi. Un’ora con un educatore costa in media una quindicina di euro, la stessa ora con un dog sitter (pagato per intrattenere il cane, e fargli fare i bisogni) tra gli otto e i dieci euro. Moltissimi lavorano in nero, perché il settore è molto difficile da normare. “I nuovi proprietari, chi si prende per la prima volta un cane, andrebbe tutelato e aiutato, perché è così che si evitano gli abbandoni”, dice Gallavotti. E’ un problema che in città come Roma e Milano è bassissimo, ma non è escluso che nel periodo post lockdown possa aumentare la cosiddetta “rinuncia”, quando non si riesce più a gestire un cane “magari maltrattato e preso in canile”, spiega Gallavotti, e non si affianca il lavoro di un educatore o un comportamentista. 


Dal settore degli animali domestici possiamo prendere anche una notevole lezione di comunicazione e di controllo delle fake news. Un altro problema legato alla pandemia e che avrebbe potuto condizionare la vita  di cani e gatti è nato all’inizio, quando del Sars-CoV-2 sapevamo ben poco: che succede se si scopre che gli animali casalinghi possono contagiare l’uomo con il virus? Un numero molto limitato di animali da appartamento, specialmente gatti, aveva fatto notizia perché era stato trovato positivo al coronavirus. Le ricerche hanno smentito quasi subito il passaggio dall’animale all’uomo: è invece l’uomo che contagia l’animale. Ma già a febbraio nello Hubei, soprattutto nell’area di Wuhan, c’è stato un aumento degli abbandoni dovuto al panico da contagio – oltre a moltissime emergenze legate agli animali lasciati soli perché i proprietari sono stati costretti alla quarantena in ospedale. Secondo Sixth Tone, è stata un’intervista alla tv di stato cinese della celebre epidemiologa Li Lanjuan ad aumentare il panico. Li ha detto di “prendere precauzioni” per gli animali domestici, mentre gli scienziati studiavano il virus, e le conseguenze sono state abbastanza cruente: ha fatto molto discutere il video pubblicato online di un gatto seppellito vivo a Wuxi, nella provincia del Jiangsu, dai vicini di casa del suo proprietario trovato positivo al Covid-19, e a febbraio la città di Taiyuan, nello Shanxi, ha vietato le passeggiate con i cani. Poco dopo però la Commissione nazionale di Sanità cinese e l’Organizzazione mondiale della sanità hanno smentito il pericolo derivato da cani e gatti. La Cina è uno dei più recenti ma fruttuosi mercati di animali domestici al mondo, con un giro d’affari da 28,8 miliardi di dollari solo nel 2019. Durante il periodo di lockdown sono state moltissime le pubblicazioni sugli effetti benefici della presenza degli animali domestici in casa, e le fake news e la tendenza agli abbandoni è stata frenata anche grazie alla mobilitazione di celebrities come Fan Bingbing e Yang Mi. Incredibilmente, su questo la comunicazione istituzionale anche a livello internazionale è stata molto efficace, e anche in Italia il boom di abbandoni che ci si aspettava non si è verificato. 

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