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Epistole

Anna Lister: orgoglio senza pregiudizio

Fabiana Giacomotti

Finalmente in italiano i diari segreti di Anne Lister, lesbica dichiarata nell’Inghilterra dell’Ottocento

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Per il Santo Natale in lockdown, l’orgoglio omosessuale e i molti simpatizzanti possono contare su due prodotti di studio e intrattenimento mainstream. Il primo è la versione cinematografica del musical “The Prom”, grande successo di Broadway attorno a quel rito di passaggio leggendario della vita americana che è il ballo della scuola.

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Per il Santo Natale in lockdown, l’orgoglio omosessuale e i molti simpatizzanti possono contare su due prodotti di studio e intrattenimento mainstream. Il primo è la versione cinematografica del musical “The Prom”, grande successo di Broadway attorno a quel rito di passaggio leggendario della vita americana che è il ballo della scuola.

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Avrebbe potuto essere un film brillante quanto e più della rappresentazione teatrale (siamo al cinema!). Invece, e già la firma dell’autore di “Hollywood” Ryan Murphy avrebbe dovuto insospettirci, “The prom” è un altro di quei suoi pensierini politicamente stucchevoli che, sola e incredibile novità, riesce a danneggiare sia la performance di Meryl Streep, in parrucca rossa da icona gay a imitazione di Shirley MacLaine anni Ottanta, sia quella del brillantissimo James Corden, che per tutto il tempo indossa la sua migliore espressione “so quello che pensate, ma amatemi lo stesso”.

 

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Il secondo prodotto di questo Natale pride è invece l’ottima traduzione italiana dei diari segreti di Anne Lister, la proprietaria terriera, alpinista e lesbica dichiarata nell’Inghilterra del primo Ottocento, decrittati dal greco antico rielaborato in cui scriveva e titolati con brio (“Nessuna mi ha mai detto di no”) per opera del tandem Angela Steidele e Margherita Giacobino, cioè due riferimenti assoluti degli studi di genere in Germania e in Italia. Questa è invece la chicca che nessuno dovrebbe perdere, anche a prescindere dal tema di fondo, perché apre squarci inediti non solo sulla storia delle donne a cavallo fra l’Antico Regime e il Vittorianesimo, ma sulla stessa letteratura inglese dei primi quarant’anni dell’Ottocento, e in particolare sulle fonti di ispirazione delle sorelle Brontë.

 

Spoiler per chi non avesse voglia di arrivare fino alla fine di questo articolo: il saggio suggerisce, date e luoghi alla mano, e si tratta naturalmente della scuola dove Emily Brontë prestava servizio come insegnante, Law Hill, a pochi chilometri dalla tenuta di Anne Lister, che la “pazza nell’attico” di “Jane Eyre”, Bertha Mason, sia stata ricalcata sulla storia molto dolorosa dell’amante della nostra eroina, la creola Eliza Raine, una delle tante donne “non conformi” che in quell’epoca finivano rinchiuse in manicomio.

 

Fra le righe, il testo si pone anche qualche domanda molto circostanziata sul sesso di Heathcliff di “Cime tempestose”; questione su cui ci siamo interrogate anche noi quando leggemmo per la prima volta il romanzo e, pur sapendo zero di queste faccende perché avevamo quattordici anni, ci parve che quel ragazzo cadesse troppo spesso in preda ai deliqui e ai furori per essere un trovatello cresciuto fra i monti dello Yorkshire a montone bollito e birra scura, insomma uno che, a rigor di logica, avrebbe dovuto sapersela cavare da solo senza digrignare i denti e strapparsi i capelli a ogni sospiro dell’amata. In manicomio, non a caso ma temporaneamente, finì anche la vedova di Anne Lister, Ann Walker, ricchissima e sposata per interesse (sì, sposata, con tanto di scambio di anelli, promessa e accordi economici, ancorché e ovviamente traballanti; non fate quella faccia, qui a Roma vedemmo qualcosa di molto simile celebrato da Joseph Ratzinger, ancora cardinale, nella chiesa di san Lorenzo in Lucina, con le due signore in guanti bianchi che si tenevano la mano, almeno quindici anni prima dell’approvazione della legge Cirinnà).

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La povera Ann Walker, che aveva riportato il cadavere imbalsamato della Lister da Kutaisi, in Georgia, fino a Halifax, dopo un ultimo gran viaggio di esplorazione dell’Asia minore e della Russia finito male a causa di un virus sconosciuto (a dire il vero erano sconosciuti anche i virus: dando notizia della morte dell’eminente cittadina, il 13 ottobre 1840 l’Halifax Guardian scrisse quello che si scriveva all’epoca, cioè parlò di febbri maligne, aggiungendo che la sua “amica e compagna” miss Walker stava accompagnando il feretro a casa via Costantinopoli) si salvò dall’internamento a cui l’avevano destinata i parenti interessati alla doppia eredità, la sua e quella di Anne, solo grazie all’intervento di una zia e alla volontà, molto chiaramente espressa, di ritirarsi in una proprietà di famiglia persa fra i monti, Lightcliffe.

 

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Il pubblico inglese ha imparato qualcosa di Anne Lister lo scorso anno, quando la prima rete della Bbc mandò in onda il suo biopic, “Gentleman Jack”, tratto da un primo testo biografico della Steidele. Questa nuova opera, edita con un certo sforzo economico dalla casa editrice ferrarese della causa Lgbt+ Somara!, è perfino più godibile del serial, perché fa tesoro delle dotte e spiritosissime osservazioni della stessa Anne, che aveva scoperto l’erotismo lesbico leggendo Marziale e non disdegnava espressioni scurrili, offrendo anche uno sguardo inedito sui paradossi della doppia morale vittoriana e gli incredibili vuoti che, in senso generale, una norma rigida finisce inevitabilmente per lasciare.

 

In un mondo in cui il desiderio femminile eterosessuale era rigidamente frenato e normato, mentre quello lesbico non veniva nemmeno nominato, Anne godette infatti, paradossalmente, di una libertà impossibile per tutte le altre donne. Come Adele, la sorella di Arthur Schopenhauer che viveva more uxorio con Sibylle Mertens a Bonn, come le celeberrime “ladies of Llangollen”, nate Eleanor Butler e Sarah Ponsonby, sorta di Getrude Stein e Alice Toklas ottocentesche che tenevano salotto con sir Walter Scott e William Wordsworth e si scambiavano lettere con la “buona regina Charlotte” e il duca di Wellington, i diari di Anne Lister rappresentano lo specchio dei suoi desideri, della sua immaginazione e anche della sua vita minuta che, a dispetto della sua posizione sociale e del suo carattere predatorio, sia nella seduzione “di una bella ragazza con cui flirtare” sia nella vita pratica, non dovette essere facile.

  

“Non mi piace affatto essere considerata una donna”, scrive, e risponde per le rime quando un ragazzo di strada le chiede “se io abbia il c.”. Non ricca, ma di famiglia antica e rispettata, una condizione che la spingerà sempre a cercare donne di condizione economica superiore alla sua, vive nello stesso mondo delle eroine di Jane Austen, di cui è contemporanea e, come osserva Giacobino nel brillante saggio iniziale, vive le loro stesse vicissitudini, in un ambiente di piccoli e grandi proprietari terrieri, di figlie nubili, di doti più o meno ricche, di matrimoni che si vorrebbero sempre d’amore ma che invece si concludono quasi sempre sulla spinta concreta dell’interesse.

 

Con Elizabeth Bennet di “Orgoglio e pregiudizio”, Anne Lister condivide il senso pratico, la predilezione per le camminate (per anticipare la carrozza di Mariana, l’amata dei suoi vent’anni, attraversa i campi in stivali e redingote per chilometri e finisce respinta perché è sporca e puzza) e come lei affronta una situazione di potenziale diseredata in quanto figlia femmina di una famiglia numerosa. Ma, a differenza di tutti i caratteri austeniani, le Lizzie e le Emma e le Fanny, Anne Lister ha un carattere talmente indipendente e volitivo che lo zio James, titolare della proprietà di Shibden Hall e anche delle attività di famiglia, nel tessile ça va sans dire, si rassegna: “Ho detto che alla fine vorrei che tutta la proprietà passasse a me. ‘Come tutta?’, ha detto lo zio sorridendo. ‘Sì tutta’”. Anne è a conoscenza del fatto che lo zio non nutre una buona opinione delle donne, e che dunque non approva di vederle ereditare, e dover gestire, beni immobili. Ma sa anche benissimo che la nipote non è una donna come le altre. E dunque, forse divertito, acconsente: “Se io fossi diversa da come sono, non mi lascerebbe nulla”.

 

Nella società in cui vive e si muove Anne, conscia di essere “un tipo fuori dal comune fin dalla culla”, le proprietà di una donna appartengono a suo marito, e lasciarle una proprietà equivale a trasferirla tout court alla famiglia nella quale si sposerà. Ma con lei, il patrimonio è al sicuro: “Io amo esclusivamente il bel sesso & ne sono ricambiata”. Nei suoi diari, dove annota qualunque cosa, perfino la qualità degli orgasmi e delle “passere” che titilla, Anne Lister usa costantemente, con rapidità di scrittura maschile, la & commerciale in aggiunta ai caratteri greci dietro ai quali crede di poter salvaguardare il contenuto di quelle pagine fittissime. Alla loro scoperta, da parte del nipote John, attorno agli anni Cinquanta dell’Ottocento, della loro decrittazione si incaricò un antiquario della zona; ma il suo consiglio fu di sbarazzarsene per non infangare il nome della famiglia, un po’ come successe al clan De Sade con quel loro prozio rivoluzionario dell’Eterno.

 

Dopo essersene servito in abbondanza per una storia della città di Halifax, a dimostrazione che zia Anne sapeva tratteggiare anche la vita quotidiana con vividezza e precisione, John Lister prese invece quei ventiquattro libretti rilegati in pelle e carta marmorizzata e li nascose ordinatamente dietro un finto pannello. Sperava che, magari cinquant’anni dopo, un nuovo proprietario della tenuta in vena di ristrutturazioni e di aperture mentali potesse ricavarne qualche indicazione utile sul mondo, e soprattutto il modo, in cui era vissuta la zia. E’ andata proprio come si aspettava, sebbene i decenni che si sono resi necessari perché tutta la storia di Anne venisse alla ribalta, fosse studiata e compresa (per un certo periodo i diari vennero ritenuti addirittura aporcrifi) siano stati molto più numerosi: circa dodici, cioè fino agli anni Ottanta del Novecento, e nonostante l’impegno di tre generazioni di studiose, non tutto il materiale è stato ancora esaminato come dovrebbe e contestualizzato come merita.

 

Anne Lister, piccola aristocratica snob, vive per molti aspetti come un maschio della propria epoca: viaggia, decide, comanda, dispone. Ama i vestiti e l’eleganza, ma non tollera quello femminile e le limitazioni severissime alla libertà di movimento che il sesso femminile è costretto a subire (“sono stufa marcia di questa vita impastoiata. Non riesco a fare una camminata, sto ingrassando e per tutto il giorno indossare abiti stretti è una tortura. Oh, essere una sconosciuta e poter camminare e cavalcare come mi garba!”). Sa cucire, necessità imposta dall’essere appunto cresciuta in una famiglia di disponibilità modeste e dover rammentare e cucire in parte i propri abiti. Anche per questo, cerca compagne ricche, come Ann, che tormenterà per anni nell’obiettivo di farsi accordare il vitalizio a cui aspira. Miss Lister è una cacciatrice di dote, ma fra donne, che le piacciono disponibili, docili: Mariana la chiama “Fred”; le altre ammirano il suo corpo snello, mantenuto tale a forza di cavalcate, diete, digiuni, un po’ come lord Byron negli stessi anni, e come farà Elisabetta di Baviera, Sissi, qualche decennio dopo.

 

Appena un’amante si lascia andare alle gioie del cibo e ingrassa, la redarguisce aspramente. Alla base del suo codice di comportamento non c’è legge divina o umana, ma solo la legge naturale: “Se abbandoniamo la natura abbandoniamo la nostra unica guida certa e, da quel momento, andiamo contro noi stessi”. E’ Hobbes, è Grozio: un processo di autodefinizione che la porta, a ventisei anni, a decidere di adottare un personalissimo stile vestimentario, un codice specifico, totalmente agender perfino per gli standard attuali: vestirà sempre di nero, non porterà cuffie né cappellini (li detesta, dice che le falde le nascondono la vista laterale, ben sapendo che il loro scopo è proprio quello, cioè limitare la vista e il movimento). Non segue le mode: le bastano un cappotto, un paio di pantaloni e di stivali, e una di quelle tube alte che, negli stessi anni, in Francia dove si recherà spesso, e quasi sempre a spese delle sue amanti, inizia a indossare anche George Sand. E’ un modello positivo, Anne Lister? Giacobino e Steidele arrivano a negarlo. Era una donna tremenda, dicono. O forse, adottava troppo spesso i modi brutali dei suoi contemporanei maschi per piacere fino in fondo anche alle lesbiche.

 

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