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editoriali

Una sentenza ispirata da J. K. Rowling

Giudici inglesi riconoscono che sul gender c’è il “diritto di offendere”

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I giudici inglesi hanno stabilito che la libertà di parola include il “diritto di offendere” in una sentenza considerata storica e che potrebbe iniziare a invertire l’intolleranza verbale e ideologica seguita al caso J. K. Rowling. Una femminista aveva definito una donna transgender “he”, assieme ad altri appellativi meno carini. Presiedendo un caso in Corte d’appello, i giudici Bean e Warby hanno detto: “Non vale la pena avere la libertà di parlare solo in modo inoffensivo”. Hanno aggiunto che “la libertà di parola comprende il diritto di offendere”. Il giudizio di due alti membri della magistratura costituirà un precedente per i futuri casi riguardanti la libertà di parola. Un anno e mezzo fa Maya Forstater, visiting fellow presso il Center for Global Development di Londra, aveva dichiarato: “Sì, penso che gli uomini non siano donne. Non penso che essere donna-femmina sia una questione di identità o di sentimenti femminili. E’ biologia”. Licenziata, Forstater ha citato in giudizio il suo  datore di lavoro per aver violato la sua libertà di parola. Il magistrato ha dato ragione al think tank, spingendo Rowling a intervenire: “Vestitevi come vi pare, fatevi chiamare come vi pare, andate a letto con qualsiasi adulto consenziente: ma cacciare le donne dal loro posto di lavoro per aver affermato che il sesso è una cosa reale?”. Il punto è tutto qui.

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I giudici inglesi hanno stabilito che la libertà di parola include il “diritto di offendere” in una sentenza considerata storica e che potrebbe iniziare a invertire l’intolleranza verbale e ideologica seguita al caso J. K. Rowling. Una femminista aveva definito una donna transgender “he”, assieme ad altri appellativi meno carini. Presiedendo un caso in Corte d’appello, i giudici Bean e Warby hanno detto: “Non vale la pena avere la libertà di parlare solo in modo inoffensivo”. Hanno aggiunto che “la libertà di parola comprende il diritto di offendere”. Il giudizio di due alti membri della magistratura costituirà un precedente per i futuri casi riguardanti la libertà di parola. Un anno e mezzo fa Maya Forstater, visiting fellow presso il Center for Global Development di Londra, aveva dichiarato: “Sì, penso che gli uomini non siano donne. Non penso che essere donna-femmina sia una questione di identità o di sentimenti femminili. E’ biologia”. Licenziata, Forstater ha citato in giudizio il suo  datore di lavoro per aver violato la sua libertà di parola. Il magistrato ha dato ragione al think tank, spingendo Rowling a intervenire: “Vestitevi come vi pare, fatevi chiamare come vi pare, andate a letto con qualsiasi adulto consenziente: ma cacciare le donne dal loro posto di lavoro per aver affermato che il sesso è una cosa reale?”. Il punto è tutto qui.

 

Vestitevi come vi pare, fatevi chiamare come vi pare, andate a letto con qualsiasi adulto consenziente: ma cacciare le donne dal loro posto di lavoro per aver affermato che il sesso è una cosa reale? Perché questo è quello che sta accadendo nelle democrazie anglosassoni, americana, canadese e britannica. Chi ci dice che non accadrà anche in quelle di cultura latina? I due giudici inglesi hanno stabilito un punto fondamentale. Il rispetto non passa dalla costrizione del linguaggio. Questa è prerogativa delle dittature, non delle democrazie. 

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