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"Sei una islamofoba". E la casa editrice manda al macero il libro di Julie Burchill

Dopo le memorie di Woody Allen, il colosso editoriale Hachette censura il saggio sulla censura della giornalista inglese

Giulio Meotti
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“La cancel culture non esiste”, si sente ripetere, sebbene di strada ne abbia fatta da quando negli anni Settanta si bandiva “Mattatoio n. 5” di Kurt Vonnegut. Ieri il contratto di Julie Burchill con Hachette è stato stracciato dopo l’accusa di “commenti islamofobi” sui social. Il libro della controversa e seguitissima editorialista del Sunday Telegraph, intitolato “Welcome to the Woke Trials: How #Identity Killed Progressive Politics”, doveva essere pubblicato in primavera (copertina già pronta).

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“La cancel culture non esiste”, si sente ripetere, sebbene di strada ne abbia fatta da quando negli anni Settanta si bandiva “Mattatoio n. 5” di Kurt Vonnegut. Ieri il contratto di Julie Burchill con Hachette è stato stracciato dopo l’accusa di “commenti islamofobi” sui social. Il libro della controversa e seguitissima editorialista del Sunday Telegraph, intitolato “Welcome to the Woke Trials: How #Identity Killed Progressive Politics”, doveva essere pubblicato in primavera (copertina già pronta).

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Tre giorni fa, Burchill ha iniziato a twittare rivolgendosi alla giornalista Ash Sarkar, che aveva criticato Rod Liddle per un vecchio articolo sullo Spectator, in cui Liddle spiegava di non aver fatto l’insegnante perché temeva che sarebbe diventato un molestatore, essendo poco incline alla morigeratezza sessuale. Burchill ha risposto a Sarkar: “Puoi per favore ricordarmi l’età della prima moglie del Profeta Maometto? Grazie in anticipo!” (Aisha aveva nove anni). Sarkar, che è musulmana, ha risposto così: “Julie Burchill mi ha apertamente sottoposto a islamofobia. Trovo strano che nessuno dei suoi colleghi o amici del settore sembra abbia problemi. Non è la prima volta che fa insinuazioni sprezzanti sulla mia fede”.
   

  

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Un portavoce di Little, Brown and Company del gruppo Hachette (che un anno fa aveva fermato le rotative di “Apropos of Nothing” di Woody Allen), ha dichiarato: “Non pubblicheremo più il libro di Burchill. Sebbene non esista una definizione legale di incitamento all’odio nel Regno Unito, riteniamo che i suoi commenti sull’islam non siano difendibili da un punto di vista morale”. Charlie King, amministratore delegato di Little Brown, ha bollato le parole di Burchill come “deplorevoli”. Chissà che avrebbero deciso gli attuali dirigenti di Hachette nel 2007, quando la casa editrice pubblicò “Dio non è grande” di Christopher Hitchens, dove si legge che molti paesi islamici  “hanno abbassato l’età del ‘consenso’ a nove anni, forse in ammirata emulazione dell’età della ‘moglie’ più giovane del ‘Profeta’ Maometto”. Ora un libro sulla censura è censurato. 

  

In “Welcome to the Woke Trials”, Burchill raccontava ciò che le è accaduto dopo avere scritto un articolo per l’Observer, rimosso dopo le critiche al suo “linguaggio transfobico”. Burchill era accorsa in difesa dell’amica Suzanne Moore, che si è appena dimessa dal Guardian dopo il mobbing ideologico dei colleghi. L’establishment culturale inglese è in preda a una strana e sinistra santimonia. Il Museo delle vignette di Londra ha appena deciso che farà a meno delle opere di William Hogarth, il fondatore della satira. “Black Lives Matter ci ha aperto gli occhi”, ha detto al Telegraph il direttore del museo Joe Sullivan. “Nella nostra collezione ci sono troppe opere di bianchi cisgender. C’è bisogno di meno Hogarth e di lavori più diversificati”. Dunque al posto del fustigatore dei giovani che si sposavano per denaro, dei moralisti vittoriani uccisi dalla sifilide (il quadro “L’orgia”) e delle aristocratiche distrutte dal gin, esporranno opere moralistiche sul razzismo bianco o l’inclusione lgbtq. Perché il compito delle case editrici e dei musei non è più quello di pubblicare libri che  vendano o esporre quadri che attraggano il pubblico, ma di rieducarlo a colpi di tazebao. 

 

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