PUBBLICITÁ

"A riveder le stelle" dentro un foyer vuoto. Cronaca di una serata che ha accontentato tutti, dai melomani ai grillini

Corrado Beldì

La proiezione della Prima alla Scala è stato come vedere una partita dopo il fischio finale. Il fantasmagorico 2020 ci regala anche questo

PUBBLICITÁ

Piazza Scala ha un aspetto strano, molto traffico ma davanti al teatro solo curiosi, sono tutti a far compere per Natale o forse chiusi in casa per vedere questa prima. Un 7 dicembre davvero inedito, cultura ferma per decreto e la Scala al lavoro da settimane per offrire un surrogato alla “Lucia di Lammermoor” che avrebbe dovuto aprire la stagione.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Piazza Scala ha un aspetto strano, molto traffico ma davanti al teatro solo curiosi, sono tutti a far compere per Natale o forse chiusi in casa per vedere questa prima. Un 7 dicembre davvero inedito, cultura ferma per decreto e la Scala al lavoro da settimane per offrire un surrogato alla “Lucia di Lammermoor” che avrebbe dovuto aprire la stagione.

PUBBLICITÁ

 

Il compito non è dei più semplici, dopo un anno di quasi chiusura, mentre è in corso l’assalto degli Unni (la musica commerciale) al fortino del FUS, la Scala deve dimostrarsi faro dello spettacolo e ricordare che la cultura è un investimento per il futuro del Paese. Per portare avanti la battaglia, sottoposta all’inappellabile giudizio dell’Auditel, ogni mezzo è consentito e infatti a condurre la serata sono stati chiamati Milly Carlucci e Bruno Vespa. Il top del nazional popolare.


Della produzione di “A riveder le stelle” si è scritto molto, tutto girato in sei giorni, una sfilata di star, Domingo, Àlvarez, Salsi, Alagna, Flórez, Meli, Grigolo, Yoncheva, Garanča, il collage orchestrato della collaudatissima squadra Livermore-Chailly, Giò Forma per le scene, Gianluca Falaschi maestro concertatore dei guardaroba (cit. Fabiana Giacomotti) e il lavoro di tutti per lasciare il Covid fuori da via Filodrammatici. Soprattutto, l’attesa spasmodica per un foyer tristemente vuoto, niente pubblico e moltissima nostalgia per le pellicce sintetiche, per i panciotti di Philippe Daverio e per le ragazze in abito di lampadine. 

PUBBLICITÁ

 


Non c’è nemmeno il metal detector, d’altra parte siamo meno di quaranta e solo giornalisti e tutti schedati e molto casual. La cravatta nera ci avrebbe coperti di ridicolo, il contest dei gemelli è rimandato all’anno prossimo, lo sballo stasera è la sala stampa in platea, sulla piattaforma dove l’orchestra ha appena finito di registrare. Siamo qui per la proiezione, come vedere una partita dopo il fischio finale. Calciatori a casa e noi ad aggirarci in mezzo al campo, sentendoci per una volta degli orchestrali. Sedie ben distanziate e barriere in plexiglass e a ciascuno il suo leggio che vien comodo per appoggiarci il portatile. Il fantasmagorico 2020 ci regala anche questo.


Arriva il Sindaco, forse solo per un saluto, stamattina ha dato l’Ambrogino ai Ferragnez e ha appena annunciato su Instagram che si candiderà al secondo mandato. Ha l’aria rilassata, sa che ormai è stato tutto registrato. Non c’è quella tensione tipica delle prime e nemmeno un ospite in arrivo, nessun ambasciatore e niente Mattarella. Si prepara alla proiezione come tutti, un po’ come ritrovarsi la domenica sera al cinema Anteo.


Buio in sala, parte la trasmissione. Le immagini di Milano dall’alto sono un omaggio alla nostra città, moderna e antica, ricca e solidale, dal Duomo al Pirellone. Manca solo la neve (certi colpi riescono solo a Guadagnino), però così, nelle luci della notte, anche i balconi di Zaha Hadid danno una certa emozione, più che pezzi di transatlantico somigliano per un attimo a una grande architettura. Come titoli di testa non c’è male.

PUBBLICITÁ


Chissà se adesso al Quirinale hanno la televisione accesa. L’inno di Mameli lo introduce una lavoratrice dello spettacolo, spazza il palco con uno spazzolone, un bel modo per ricordare chi è stato colpito dalla crisi, con la cultura si mangia e soprattutto si da un senso alla vita. Quello che speriamo penseranno tutti a fine trasmissione, si governa col consenso e il futuro della Scala dipende dalla signora Luisa. Se l’Auditel s’impenna allora ci aumentano il FUS. Mandare subito il tabulato al Ministero.

PUBBLICITÁ

 

Della fastosa sfilata restano impresse alcune immagini, l’Aurelia Spider di Rosa Feola da “Il sorpasso” di Dino Risi, la lagrima di Juan Diego Flórez di fronte a una stazione alquanto fascista e poi il gesto di Michele Gamba che dirige splendidamente i balletti e il “Ma se n’è forza perderti” di Francesco Meli che sogna Marilyn alla scrivania dello Studio Ovale e Plàcido Domingo che canta il “Nemico della patria” mentre alle spalle appaiono eroi dei diritti umani, da Gandhi a Mandela, come acquerelli dipinti da Yan Pei-Ming e ovviamente anche la mia aria preferita in assoluto, “Un bel dì vedremo” ben cantata da Marina Rebeka.

PUBBLICITÁ

 

Il momento top però è Roberto Bolle che danza su musiche di Davide Boosta Dileo, elettronica e luci al laser scolpiscono i movimenti del nostro, scultoreo più che mai. C’è la Gymnopédie di Erik Satie ed è tutto così perfettamente televisivo che ci chiediamo perché non l’abbiano fatto durare di più.

 

Gran finale in gruppo col “Tutto cangia, il ciel si abbella” di Gioachino Rossini perfetto per riveder le stelle a pochi giorni dall’anno di Dante. Il responso del pubblico lo si saprà solo il mattino successivo (2 milioni e 608 mila spettatori, 14,65 per cento di share) ma la compilation è apparsa buona per tutti, dalla melomane al grillino e non mancava nessuno, con l’eccezione dell’indisposto Jonas Kaufmann e della divina Anna Netrebko, impegnata stasera al Mariinsky. In un mondo ideale avrei voluto sdoppiarmi e fare un salto a San Pietroburgo per l’Onegin diretto da Valery Gergiev e per farmi una dose di Sputnik V e una bottiglia di vodka ghiacciata, perfetti per lasciarsi alle spalle un anno orribile e per brindare a un 2021 che comunque vada non potrà che essere migliore.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ