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La sacrosanta ribellione di Sir Norman Foster

L’archistar inglese, tra i pionieri dell'architettura sostenibile ed ecologica, molla gli ambientalisti e continuerà a progettare aeroporti: capro espiatorio perfetto di tutti i mali del pianeta 

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E’ eclatante la notizia della fuoriuscita dello studio di Sir Norman Foster dal gruppo ambientalista “UK Architects Declare Climate and Biodiversity Emergency”, preceduta di un giorno da quello di Zaha Hadid ora diretto da Patrik Schumacher. E’ anche paradossale perché proprio Foster è stato uno dei pionieri della ricerca di un’architettura sostenibile ed ecologica in generale, prima ancora di Renzo Piano o Emilio Ambasz, e in particolare nel Regno Unito quando ancora il principe Carlo portava i calzoni corti.

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E’ eclatante la notizia della fuoriuscita dello studio di Sir Norman Foster dal gruppo ambientalista “UK Architects Declare Climate and Biodiversity Emergency”, preceduta di un giorno da quello di Zaha Hadid ora diretto da Patrik Schumacher. E’ anche paradossale perché proprio Foster è stato uno dei pionieri della ricerca di un’architettura sostenibile ed ecologica in generale, prima ancora di Renzo Piano o Emilio Ambasz, e in particolare nel Regno Unito quando ancora il principe Carlo portava i calzoni corti.

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Il fatto è che anche gli architetti hanno trovato il bersaglio della loro preoccupazione, il capro espiatorio perfetto di tutti i mali del pianeta: l’aeroporto. Causa di inquinamento, territorio per i vecchi ricchi e i nuovi parvenu, paradiso dello shopping duty free, emblema della globalizzazione e quindi del meticciato, l’aeroporto è la testa del drago del capitalismo trionfante ed è appunto quella che si vuole tagliare – Greta Thunberg, com’è noto, a New York ci è andata scroccando un passaggio sulla barca a vela del principe Casiraghi. Foster però si è smarcato non solo perché fra tutti i grandi studi è quello che ha realizzato più aeroporti (in Cina, Kuwait, Emirati Arabi, Giordania, Messico, Regno Unito), altrimenti non avrebbe potuto assumere oltre 1.500 dipendenti, ma perché ha ragione: non si possono portare indietro le lancette della storia, sono gli aerei che devono inquinare di meno, convertendosi magari all’idrogeno come Airbus prevede di fare nel giro di dieci-quindici anni.

  

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Il capro espiatorio resta quello però, nonostante si stima che pesi per il 2 per cento delle emissioni di gas serra rispetto al 14 di tutti gli altri mezzi di comunicazione e il 15 di agricoltura e allevamenti animali. Troppo puliti – se c’è un posto a Roma dove non troverete buche, monnezza o gabbiani è a Fiumicino –, dove è impossibile perdersi (non si può sbagliare aereo perché non ti fanno entrare) e si può trascorrere il tempo in ogni modo possibile fra palestre, casinò, sale massaggi, videogiochi, ristoranti, bar con wi-fi libero e negozi di ogni tipo, dove non ci sono né scocciatori né ovviamente mendicanti. L’aereo, il volo e gli aeroporti sono la metafora più alta della modernità: i futuristi praticarono l’aeropittura, Le Corbusier scrisse un libro, Aircraft nel 1935 e non a caso Osama Bin Laden e l’Isis li hanno presi di mira (nell’attentato del 2016 all’aeroporto di Bruxelles morirono 35 persone oltre ai tre terroristi).

 

Oltre vent’anni or sono Rem Koolhaas li salutava entusiasticamente perché “si avviano a sostituire la città. La condizione dell’essere di passaggio sta diventando universale. Complessivamente gli aeroporti contengono una popolazione di milioni di persone, più il maggior numero in assoluto di gente che ci lavora. Nella completezza dei loro servizi sono come i quartieri della Città Generica, talvolta perfino la sua ragion d’essere (il suo centro?), con in più l’attrattiva di essere sistemi ermetici da cui non c’è via d’uscita, se non verso un altro aeroporto”. Cercare di migliorare il mondo rifiutandone i nuovi strumenti significa autocondannarsi a un ruolo magari eticamente encomiabile ed esteticamente pregevole, ma del tutto marginale come William Morris: nel pieno della rivoluzione industriale andava a Londra a vendere i suoi prodotti artigianali con un carro trainato da buoi, sognando un nuovo medioevo dove nel cielo sfrecciassero solo le scope delle streghe o al massimo di Harry Potter.

 

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