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I rimorsi del sopravvissuto

L’incidente che uccise James Dean. E la solitudine di chi si salvò

Francesca d’Aloja

La storia tragica e infelice di Rolf Wütherich, il giovane meccanico e pilota tedesco che fece l’ultimo viaggio in auto da corsa con il leggendario attore. La tragica fatalità che cambiò la sua vita e Hollywood

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Ogni tanto attraverso i social mi arrivano messaggi di persone che fiutano una possibile sintonia, vuoi per i libri che ho scritto, vuoi per le opinioni da me espresse, le immagini selezionate o i suggerimenti lanciati senza pretesa alcuna. 

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E così tempo fa mi scrive Bernd, del quale non so nulla: “Affido questo corpo a te. Puoi anche non farne niente. Mi sono bastati la tua curiosità e il tuo entusiasmo”. Di seguito, il link di una voce Wikipedia in inglese. 


Deduco che la parola “corpo” si deve al titolo del mio ultimo libro “Corpi speciali”, una raccolta di ritratti di persone a me care: ma chi sarà mai questo Bernd che mi affida un “corpo”? 


Sulla sua pagina Twitter si presenta così: Bernd Wütherich. Sotto al nome, l’elenco delle sue passioni: Ronnie O’Sullivan, Snooker, Radiohead, Jeff Buckley, Nick Cave, Nick Drake, Miles Davis, Wayne Shorter, Simenon, Trintignant e Romy Schneider. Psychologist. 

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Sei delle sue passioni coincidono con le mie, e questo basta a farmi volare sulla voce Wikipedia segnalata.


Aveva ragione Bernd, che senza conoscermi ha capito.


“E’ una storia incredibile!”, rispondo dopo aver letto, “merita un racconto!”.
“Ero sicuro che ti sarebbe piaciuta”.


Mi scrive in italiano Bernd Wütherich, tedesco che vive in Italia da molto tempo.


Eccolo qui, il racconto. Non riguarda Bernd, ma suo padre Rolf.

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E’ il 30 settembre 1955 quando, dalla sede della Hollywood Competition Motors, in California, una Porsche spider da corsa, modello 550 grigio metallizzato, si appresta a partire alla volta del circuito automobilistico di Salinas, dove si svolgerà una gara. Il pilota è anche proprietario dell’automobile, ma guidare per lui è un hobby, o per meglio dire, una passione ossessiva. Il suo lavoro è un altro. Non è la prima volta che partecipa a una gara, ma questa sembra essere la grande occasione, al volante di una vera auto da corsa che per vezzo ha deciso di battezzare con un nomignolo canzonatorio: Little Bastard. Un nome che rimarrà nella memoria di molti, così come quello del suo proprietario, James Dean.
“Racing is the only time I feel whole”, diceva, come se il lavoro di attore, nel quale eccelleva per talento e carisma, non fosse sufficiente a renderlo completo. Eppure gli sono bastati tre film per dimostrare la sua grandezza. Nei molteplici corsi di recitazione da me frequentati, veniva spesso citata, come esempio di efficacia dell’improvvisazione, una scena del film La Valle dell’Eden, in cui il padre di Cal, interpretato da James Dean, rifiuta un dono offertogli dal figlio. Nella sceneggiatura il personaggio reagiva fuggendo, ma Dean decise altrimenti e si lanciò, senza preavviso, fra le braccia dell’attore che interpretava suo padre, spiazzandolo. Quell’abbraccio non previsto rese la scena struggente, e rivelò la sensibilità di un attore maturo: James Dean aveva ventidue anni,  East of Eden era il suo primo film. E subito mi cattura un dettaglio, in questa storia che mette costantemente in gioco il destino: la Valle dell’Eden è stato girato per larga parte a Salinas, destinazione ultima del pilota James Dean. Il luogo dove tutto ebbe inizio e dove tutto finì. 

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Ma torniamo a Los Angeles, nella concessionaria che ospita Little Bastard. Jimmy (è così che lo chiamano tutti) si è presentato di buonora, vuole assistere alla preparazione della sua auto. E’ nervoso, fuma una sigaretta dietro l’altra. Si dirige verso l’officina per raggiungere la persona di cui sto scrivendo, il “corpo” che mi è stato affidato. Si chiama Rolf, Rolf Wütherich, è un meccanico specializzato della Porsche ed è il padre di Bernd (ma nel momento in cui lo incontriamo è un ragazzo di ventisette anni che non pensa minimamente alla paternità). E’ da poco arrivato negli Stati Uniti e non parla bene inglese, ma è molto stimato nell’ambiente. Ha lavorato per cinque anni nel reparto corse della Porsche, a Stoccarda, ed è un pilota: l’uomo giusto per collaudare la spider 550, il nuovo modello della casa automobilistica tedesca. Inoltre è giovane, simpatico, e ha la passione della velocità. Tanto basta a far nascere un’amicizia. “Posso restare a guardare?”, gli chiede Jimmy sorprendendo Rolf intento a trafficare fra cilindri, bielle e pistoni. C’è ancora parecchio lavoro da fare, ma Rolf acconsente, conosce la solennità della fase preparatoria, sta affondando le mani in un congegno metallico con la stessa accortezza di un chirurgo alle prese con il cuore di un paziente (non è forse il motore il cuore di un’automobile?). Jimmy assiste silenzioso al rituale, smanioso di verificarne i risultati. Li raggiunge il fotografo Sanford Roth, amico di Dean (a lui si devono ritratti memorabili delle più significative personalità del XX secolo) che comincia a scattare fotografie destinate a fare storia. Concluso il lavoro, Rolf si lava le mani sporche di grasso e sfila dalla tasca un piccolo oggetto destinato al suo amico americano: è il badge ricevuto per aver partecipato a un’importante gara nel circuito Nürburgring, l’anno precedente: “Non fare il pazzo con questa”, gli dice, dando un colpetto sul cofano. Jimmy, toccato dal gesto di Rolf, gli chiede di fissare il badge di metallo sul cruscotto, a guisa di portafortuna. Un ultimo controllo, e finalmente Little Bastard è pronto a partire. Il piano di marcia prevede il trasporto dell’auto su un carrello trainato da una Ford Country, ma all’ultimo momento Rolf se ne esce con una proposta della quale si pentirà per il resto dei suoi giorni: “Il motore è nuovo, ha bisogno di rodaggio. Approfittiamo delle trecento miglia che ci separano da Salinas per collaudare l’auto”. Non è un’idea insensata, può essere una buona occasione per prendere confidenza con la guida, e infatti Jimmy non ci pensa due volte e accetta il cambio di programma. Sulla Ford saliranno Sanford Roth e un secondo amico di Dean, Bill Hickman, stuntman e coach automobilistico dell’attore (vi ricordate il famoso inseguimento sulle strade di San Francisco nel film Bullit? Un’auto era guidata da Steve McQueen, l’altra da Hickman). E’ mezzogiorno passato, il gruppo è pronto a partire. Una foto, bellissima, fissa quel momento: Jimmy, al volante della sua auto, con accanto Rolf. Si tengono per mano sorridenti, il braccio teso in segno di vittoria, come Thelma & Louise. “Vinceremo!”, grida James Dean. Sono felici, ebbri di adrenalina.

 

Nella memoria collettiva James Dean è morto da solo al volante della sua auto. Solo gli odiatori si sono ricordati di Rolf Wütherich

 

Stanno attraversando la San Fernando Valley, contornati dal panorama più cinematografico che si possa immaginare, con quei rettilinei che fendono il nulla, ideali per correre. Sembra davvero la scena di un film on the road: due ragazzi spensierati che sfrecciano sulla highway assolata, il rombo del motore e il vento fra i capelli. Il protagonista, bello da levare il fiato, e il suo amico fidato. Quante ne abbiamo viste di immagini simili. Se fossi il regista del film, mi soffermerei però sul volto alla Jack Kerouac del co-protagonista, l’uomo seduto accanto. Che cosa pensa il tedesco Rolf di quei paesaggi così diversi da quelli che è abituato a vedere? Di quella gente, così diversa? Cosa ha capito di quel ragazzo speciale che lo ha scelto perché di lui si fida, quel ragazzo baciato dalla fortuna eppure tanto cupo e taciturno, capace di slanci inaspettati come quello avvenuto poc’anzi, quando si sono fermati a far rifornimento alla stazione di servizio? 


Dopo due ore di marcia la spia del carburante si era messa a lampeggiare e i due si erano dovuti fermare a una gas station. Una buona occasione per fare uno spuntino, anche se Jimmy non ha fame, gli basta una coca cola. Rolf mangia una mela e già che c’è, tira fuori la sua macchina fotografica. Vede Jimmy avanzare verso la Porsche, t-shirt bianca e pantaloni azzurri, l’ennesima sigaretta incollata alle labbra. Si sta infilando i guanti da guidatore, quelli in pelle con le dita mozzate: Rolf scatta una fotografia senza sapere che sarà l’ultima immagine di James Dean vivo. Rimontano in macchina, ma prima di partire Jimmy si toglie un anello e lo infila al mignolo sinistro di Rolf: “Sei il mio angelo custode”, gli dice.
Il mio angelo custode.

 

  

Forse sta pensando a questo, Rolf, alla fortuna che gli è capitata. “Guarda dove mi trovo”, ripete a se stesso, tornando con la mente alle glaciali città tedesche che ancora portano i segni della guerra, lui che la guerra l’ha combattuta, arruolato paracadutista. Eh sì, è proprio un uomo fortunato Rolf, scampato ai lanci col paracadute, alle bombe e a due incidenti al volante di una Porsche, in Germania. “Non può succedermi niente”, pensa, e sorride a Jimmy che guida davvero bene.  “E’ più bravo di quanto immaginassi”.


Non si danno il cambio, la strada è tutta per il pilota che schiaccia sull’acceleratore senza accorgersene, oppure sì, chissà, non sta forse guidando un’auto da corsa su una strada deserta…? 


Il limite di velocità sulla Route 99 è di 55 miglia orarie e Jimmy lo supera di dieci. Non è molto, ma sufficiente a far intervenire una pattuglia che li ferma (altra scena tipica da film americano) sanzionando Jimmy con una multa per eccesso di velocità (il poliziotto non lo riconosce, non sa chi sia quel ragazzo che sta firmando in calce alla ricevuta della contravvenzione. Lo saprà il giorno successivo, e conserverà quel foglietto come una reliquia). Jimmy si scusa, forse in modo eccessivo pare a Rolf, ma quando risale in macchina racconta il motivo del suo imbarazzo: “Qualche giorno fa ho girato uno spot per la guida sicura… invitavo i ragazzi a non correre!”. Fermiamoci un momento anche noi, perché qui davvero viene spontaneo evocare il destino beffardo. Lo spot in questione, oggi si definirebbe Pubblicità progresso, era stato girato tredici giorni prima, durante l’ultima settimana di riprese de Il Gigante. A vederlo mette i brividi. “Cosa ti senti di dire ai giovani che corrono in macchina?”, James Dean, vestito da cowboy come richiedeva il suo personaggio, risponde che guidare oltre i limiti in autostrada è molto pericoloso, perché “non si sa mai cosa potrebbe capitarti”, e infine, rivolgendo lo sguardo alla telecamera, conclude: “Take it easy, the life you might save might be mine”. Vacci piano, la vita che salvi potrebbe essere la mia. Dean ha improvvisato anche stavolta, visto che avrebbe dovuto dire: “La vita che salvi potrebbe essere la tua”. Volendo inserire un dettaglio raggelante, aggiungo che l’attore che lo intervistava, Gig Young (premio Oscar per il bellissimo Non si uccidono così anche i cavalli? di Sydney Pollack), pochi anni dopo uccise prima la moglie e poi se stesso. 


Non si sa mai cosa potrebbe capitarti.


Jimmy non sa infatti che a pochi chilometri di distanza, nella direzione opposta, sta avanzando la vecchia e robusta carcassa di una Ford Custom guidata da uno studente che ha la sua stessa età, ventiquattro anni. 


Ignora che quel ragazzo, dovendo svoltare a sinistra per immettersi sulla strada che lo porterà a casa, non si accorgerà della piccola macchina scintillante che gli viene incontro, non la vede proprio, il riflesso del sole lo confonde, lo trae in inganno, e infatti non rallenta, anzi prosegue, tagliando la strada alla spider. “Ci vedrà! Non può non vederci!”, pare abbia detto Jimmy prima di schiacciarsi contro il muro di metallo pesante che gli si è parato davanti. Muore sul colpo. Basta guardare la carcassa di Little Bastard per capire quale sia stata la violenza dell’impatto. Il conducente della Ford ne esce illeso, Rolf Wütherich viene sbalzato fuori dall’abitacolo e si salva. Ha la mascella fratturata, un piede maciullato e le costole rotte, ma è vivo. Verrà affidato alle cure di specialisti americani. Fa da tramite con loro la svizzera Ursula Andress, (ex fiamma di James Dean) dato che Rolf non capisce bene la lingua.

  

   

Gli ci vorrà un anno per rimettersi in piedi, ma non sarà più lo stesso uomo. E’ una parabola triste quella del fortunato Rolf, e sebbene quel 30 settembre del 1955 il mondo intero pianse la scomparsa di una stella, mi sembra giusto ricordare l’uomo che quel giorno ha cominciato a morire. Senso di colpa del sopravvissuto, così viene definito il sentimento di ingiustizia provato da chi è scampato a una tragedia. Ad accentuare il dolente stato d’animo ci pensarono i fan accecati dalla rabbia per la perdita del loro idolo. Cominciò a serpeggiare la voce (infondata, ma si ha sempre bisogno di un capro espiatorio) che a guidare fosse Wütherich, e per questo venne più volte aggredito o insultato se sorpreso a camminare con l’aiuto delle stampelle (c’è una foto esemplare, che ritrae Rolf, ancora attaccato alle grucce, accanto a una Porsche uguale a quella dell’incidente. E’ trascorso un anno ma il suo volto non è quello di un ventottenne, lo sguardo dimostra vent’anni di più). Gli accoglienti Stati Uniti gli sono divenuti ostili, non è possibile restare. Ne 1957 Wütherich torna in Germania. Prima di salire sull’aereo che lo riporterà in patria, farà in tempo ad assistere alla presentazione del film Il Gigante. Sarà Liz Taylor, protagonista femminile e fraterna amica di Jimmy, a volerlo seduto accanto durante la proiezione; e allo sfarzoso ricevimento offerto in onore del film, ballerà con lui, ancora incerto sulle gambe (è un dettaglio commovente questo, e molto hollywoodiano).


Rolf rientra a Stoccarda, ma i colleghi e gli amici non lo riconoscono più: è diventato irascibile, scontroso. Si sposa, ma dopo un anno è già finita (il primo matrimonio, con una giovane ungherese, era evaporato ancora più rapidamente). Comincia a bere, sprofonda nella depressione. Alla Porsche non riesce più a ottenere i risultati di un tempo, però lì incontra Ingeborg, diciannove anni, segretaria. Si sposano, nasce un figlio, Bernd, nel 1961. Le nubi sembrano diradarsi, e i primi anni ’60, rappresentano una tregua. Si riaccende in Rolf la passione per le corse, partecipa addirittura al Rally di Montecarlo ottenendo il secondo posto sul podio. “Furono i suoi anni felici” racconta Bernd, “e coincisero con il periodo in cui fu sposato con mia madre, e a me piace pensare che non sia stato un caso.” Ma è una breve parentesi, i disturbi psichiatrici tornano ad affliggere Rolf e la sua famiglia. Inge non ce la fa, lascia il marito e si trasferisce con il figlio in un’altra città. 


“Era diventato violento, avevo paura di lui”, ricorda Bernd, che di quel padre da cui si è separato ancora bambino avrebbe voluto sapere di più. Da adulto la paura ha lasciato spazio al perdono e si è forse aggiunto un desiderio di riscatto nei confronti di un uomo che pochi ricordano. Nella memoria collettiva James Dean è morto al volante della sua auto, solo. Nessuno ricorda la presenza di un altro passeggero, e questo si deve al processo costitutivo del mito, di cui la morte solitaria è parte essenziale. Il Rebel without a cause si schianta correndo come un pazzo, il ribelle vuole morire e va spavaldo incontro al destino. La verità della “tragica fatalità” non corrisponde alla leggenda, la banalizza. James Dean non correva affatto, e non era solo. La crudele ironia è che di Rolf si siano ricordati soprattutto i fanatici odiatori, gli stessi che per anni lo hanno perseguitato minacciandolo, alimentando così la sua rabbia e la sua disperazione. Wütherich tenta più volte il suicidio, cerca conforto tra le braccia delle donne, si sposa per la quarta volta e qui tocca il fondo: in piena notte, Rolf si alza, si immerge nella vasca da bagno e si taglia le vene. Vorrebbe morire ma non ci riesce, allora torna in camera da letto e affonda il coltello nel corpo della moglie. Lei si salva, lui finirà prima in carcere e poi un anno e mezzo in un ospedale psichiatrico. 


La Porsche non vuole più saperne di lui e lo licenzia. Non ha più un soldo, eppure non cede alla tentazione di rilasciare interviste dalle quali avrebbe potuto ricavare un profitto. Non lo farà mai, non esiste una sola dichiarazione riguardo al famoso incidente. Lascerà che ne parlino gli altri. Fioriranno leggende che lui non smentirà mai, attorno a Little Bastard, la macchina “maledetta” che avrebbe lasciato dietro di sé una lunga scia di vittime dopo la più illustre (quando la carcassa dell’auto venne caricata su un camion, uno dei fermi cedette facendola rovinare addosso a un meccanico e fracassandogli le gambe. Furono venduti dei pezzi, fra cui il motore, montato su una Lotus da corsa: il pilota ne perse il controllo e uccise un uomo. Stesso destino per l’uomo che comprò le ruote: morì schiantandosi contro un albero. A Salinas, il camion che la trasportava ebbe un incidente, la macchina si sganciò dal rimorchio uccidendo l’autista… la lista è lunghissima, io mi fermo qui. Se vi interessa trovate i dettagli della “maledizione” sparsi sul web). L’unico aneddoto davvero degno di essere raccontato precede l’incidente, e fa venire la pelle d’oca: Alec Guinness, il grande attore inglese, è appena sbarcato a Los Angeles. Insieme a un’amica vanno a cena in un ristorante, ma non trovano posto. All’uscita incrociano James Dean, che li invita a sedersi al suo tavolo: “Prima però, Alec, voglio farti vedere una cosa”. La “cosa” è la Porsche nuova di zecca, Jimmy l’ha appena comprata ed è elettrizzato dall’acquisto. Alec Guinness si avvicina all’auto, si ferma, poi fa un passo indietro e chiede: “L’hai già guidata?”. “Non ancora”, risponde Jimmy. Guinness guarda l’orologio e dice: “Ora sono le dieci di giovedì. Ti prego, non salire più su questa macchina. Se lo farai, entro le dieci di giovedì prossimo sarai morto”. Lo schianto avvenne una settimana esatta dopo il loro incontro.


Non fu la cattiva sorte ad accanirsi contro Rolf Wütherich, ma le conseguenze tangibili, reali, di quella tragedia. Come il suo esordio, anche il finale di questa storia sembra scritto da uno sceneggiatore di Hollywood. 


Dopo grandi difficoltà, Rolf è riuscito a trovare un lavoro. Lo hanno assunto alla Honda, nel reparto motori per aerei, basta con le automobili. Per il resto, totale solitudine. Vede ogni tanto suo figlio Bernd, che vive in Italia da quando la madre ha sposato un italiano. Si sentono per telefono, si scrivono. A Natale del 1980, Bernd riceve una strana lettera dal padre: Rolf parla di testamento, esprime il desiderio di andarsene. Ha cinquantatré anni.


Pochi mesi dopo, rientrando a casa dopo aver giocato a bowling e bevuto parecchi bicchieri, Rolf Wütherich muore al volante della sua auto, schiantandosi contro un muro.


Non c’era nessuno accanto a lui.
 

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