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La resistenza dei capezzoli

Camillo Langone

Tutti i pittori che hanno dipinto artistiche tette hanno subìto negli ultimi anni la censura di Facebook o di Instagram o di Tumblr. Per ragioni commerciali, velate di moralismo

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Questa pagina testimonia la superiorità e l’indispensabilità della carta stampata. Non vorrei assolutamente fare un elogio del giornalismo di una volta, me lo sono quasi dimenticato il giornalismo di una volta, e però osservando l’autoritarismo dei social è inevitabile pensare all’antico pluralismo delle edicole, con altrettanto inevitabile sospiro. Nei chioschi si affollavano dozzine, forse centinaia di quotidiani, settimanali, mensili (se non ricordo male c’erano perfino dei quindicinali e dei bimestrali, per dire la felice confusione delle uscite), tutti diversi e tutti autonomi, con un fantasmagorico ventaglio di proposte da Famiglia Cristiana ai porno. Tutti i tipi di articoli e di immagini per tutti i tipi di lettori. Tutto passato, come le nevi dell’altro anno. Dice Giovanni Lindo Ferretti che con la stampa nasce la libertà di stampa, e con la morte della stampa muore la libertà di stampa. Che è un mezzo sinonimo di libertà di espressione. Che è un quarto di sinonimo di libertà dell’arte.

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Questa pagina testimonia la superiorità e l’indispensabilità della carta stampata. Non vorrei assolutamente fare un elogio del giornalismo di una volta, me lo sono quasi dimenticato il giornalismo di una volta, e però osservando l’autoritarismo dei social è inevitabile pensare all’antico pluralismo delle edicole, con altrettanto inevitabile sospiro. Nei chioschi si affollavano dozzine, forse centinaia di quotidiani, settimanali, mensili (se non ricordo male c’erano perfino dei quindicinali e dei bimestrali, per dire la felice confusione delle uscite), tutti diversi e tutti autonomi, con un fantasmagorico ventaglio di proposte da Famiglia Cristiana ai porno. Tutti i tipi di articoli e di immagini per tutti i tipi di lettori. Tutto passato, come le nevi dell’altro anno. Dice Giovanni Lindo Ferretti che con la stampa nasce la libertà di stampa, e con la morte della stampa muore la libertà di stampa. Che è un mezzo sinonimo di libertà di espressione. Che è un quarto di sinonimo di libertà dell’arte.

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Nessuno dei deliziosi capezzoli qui stampati potrebbe essere mostrato sui social senza patemi. Tutti i pittori che hanno dipinto queste artistiche tette, o zinne, hanno subito negli ultimi anni la censura di Facebook o di Instagram o di Tumblr o di tutte e tre le moralistiche vetrine, venendo bannati o sospesi o magari soltanto dissuasi dal ripostare nudi, con formule standard di feroce ipocrisia. In qualche caso è stato impedito loro di promuoversi, un grosso guaio se il sistema dell’arte italiana agonizza e ogni artista deve ingegnarsi a essere gallerista di sé stesso. Venti o più probabilmente trenta anni fa, me l’hanno raccontato i vecchi del mestiere, poteva perfino capitare che un pittore ricevesse dalla propria galleria uno stipendio, e per nulla da fame. Per i giovani o anche semigiovani artisti questi sembrano i racconti delle fate: loro sono condannati ai lavori forzati della visibilità, e spesso fanno la fame ugualmente.

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Mi sa che ho esagerato con la premessa, io che non volevo parlare del passato né buttarla sulla teoria, davvero. Sono gli altri che mi spingono. Il mio amico leghista Lorenzo Gasperini, che se fosse diventato assessore alla Cultura della Regione Toscana una mostra dei Censurati me l’avrebbe fatta fare, se non altro per confrontare la libertà pittorica dei toscani antichi con quella dei toscani moderni (guardare le Veneri del Bronzino), nel bar di Cecina mi ha chiesto il motivo del nuovo oscurantismo. Devo pure trovare la causa? Non basta additare l’effetto? E’ vero che vorrei scrivere una breve storia della censura dal Braghettone a Zuckerberg, ma un’altra volta. Ed è ancora più vero che un motivo esiste sempre, per ogni cosa, e se c’è una reazione che mi fa innervosire è quella che contiene la parola “assurdo”. Non li posso sentire quelli che di fronte agli episodi di censura dicono “assurdo, siamo nel 2020!”, anziché dire “logico, siamo nel 2020!”.

 

Risulterebbe davvero assurdo, il bavaglio agli artisti, se fossimo nei Novanta o ancor meglio negli Ottanta, gli anni di Sabrina Salerno, e invece siamo nell’Età del Divieto come può capire chiunque sia in grado di sommare Cina, Gaia, Sodoma, Maometto. A parte Vittorio Sgarbi c’è un altro uomo libero in Italia? A Cecina, davanti a un bicchiere non abbastanza buono, per cavarmi d’impaccio ho parlato di puritanesimo, facendomi innervosire da solo. Mi sembra troppo facile incolpare dei fanatici del Cinque-Seicento per qualcosa che accade oggi. Sebbene costoro ce l’avessero davvero con le immagini, tutte, anche con quelle più caste: dalle chiese tiravano giù addirittura le croci. Sebbene nell’arte americana le tette esplodano davvero molto tardi, col maestro del capezzolo pop Tom Wesselmann.

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I pittori dell’Hudson River School dipingevano boschi, cascate, iceberg. I regionalisti, che fra parentesi mi piacciono molto, prevedevano la figura umana e però la donna di “American Gothic”, il quadro americano più famoso, è completamente piatta e ultracoperta, altro che capezzoli. Gli espressionisti astratti, così potenti da spostare il baricentro dell’arte mondiale dall’Europa all’America, da Parigi a New York, erano appunto astratti, asessuati. In Italia è tutta un’altra storia: senza contare le Veneri preistoriche e greco-romane, e il porno pompeiano, e le Madonne del Latte medievali, abbiamo avuto una cosa che si chiama Rinascimento e che fu una strepitosa rinascita del nudo. Innanzitutto le magnifiche tettine di Simonetta Vespucci, immortalate ovviamente da Botticelli ma con piacere ancora maggiore, quasi tattile, da Piero di Cosimo.

 

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Che tempi, anche i Papi apprezzavano, e Giulio II per il suo studio in Vaticano si fece affrescare da Raffaello un’Eva oltremodo appetitosa. Il vertice scultoreo della tetta rinascimentale lo vedo in due delle statue scolpite da Michelangelo per la Sacrestia Nuova di San Lorenzo: l’Aurora e la Notte. Sottolineo la parola sacrestia, l’ambiente dove ci si prepara per celebrare la messa, giusto per ricordare quanto maggiore fosse l’amore per l’arte e per la carne provato dai cattolici del Sedicesimo secolo rispetto ai californiani del Ventunesimo. Il puritanesimo americano qualcosa c’entra davvero. Magari solo come pretesto ed è questo il convincimento di Nicola Zamperini, autore del “Manuale di disobbedienza digitale” e ora del terribilmente attuale “Lavorare (da casa) stanca”: “La censura ha ragioni commerciali, velate di moralismo”.

 

Possibile sia così semplice? Chiedo ulteriori lumi: “L’obiettivo delle grandi piattaforme digitali è quello di fornire all’utente un’esperienza di navigazione confortevole. Spero e credo che la produzione artistica continui a darsi l’obiettivo contrario, di farci attraversare momenti di puro sconforto”. Eccolo qui il problema, la contraddizione: l’arte ha bisogno dei social ma l’arte, la vera arte, è intimamente asociale. Mi sovviene Oscar Wilde secondo il quale non è l’arte che deve farsi popolare, è il pubblico che deve farsi artistico. Allora non c’è speranza, le persone normali non lo vogliono e non lo vorranno mai lo sconforto, il turbamento estetico, e fra l’altro è una repulsione assolutamente legittima (nemmeno io che tanto normale non sono intendo sciropparmi Maurizio Cattelan e Ai Weiwei, per dire).

 

Peccato soltanto che le persone normali, grazie a internet, abbiano preso il potere culturale e dalla repulsione siano passate alla repressione. Sono gli “uomini comuni” di cui scrisse Bukowski, coloro che “cercheranno di distruggere / tutto ciò / che si differenzia / da loro stessi”. Quando un militante del moralismo artistico mette in giro la voce che i quadri di Balthus hanno un contenuto pedofilo, le persone normali non vanno mica a leggersi le memorie del grande pittore franco-polacco, né i libri scritti da Jean Clair e da Giorgio Soavi: si mettono alla tastiera per bloccare immagini e mostre. Si chiama disintermediazione. Non ci sono più filtri tra le masse e l’artista, obbligato a corazzarsi o a rintanarsi nell’autocensura. “Il mio modo di dipingere non è cambiato. Ma a lungo andare le regole ferree dei social influenzeranno sicuramente i giovani artisti che si affacciano al figurativo in maniera più timida” mi dice Roberto Ferri, ritrattista del Papa e al contempo pluricensurato (tutto ciò suona molto rinascimentale, celliniano…).

 

Io, privatamente per nulla timido ma socialmente timoroso di venire cancellato, sui miei profili pubblico le donne oziose e forse viziose di Daniele Vezzani solo dopo averle munite di pecette, trovandomi per una volta d’accordo con Bret Easton Ellis (“I social media erano diventati una trappola, e quello a cui in realtà miravano era silenziare l’individuo”). Il Maestro di Novellara adotta l’autocensura parziale: “Le regole dei social influiscono sulla scelta delle immagini da pubblicare”. Dunque non ha cambiato la sua produzione ma ha cambiato la sua diffusione: i quadri più rischiosi si possono ammirare soltanto nel suo studio, lontano dal Grande Occhio. Federico Lombardo, a cui hanno bloccato perfino degli acquerelli, genere di per sé tenue, per non dire inoffensivo che sarebbe offensivo, giudica i social “luogo non idoneo alla riflessione e alla libertà di espressione”.

 

Compreso Instagram che gli si sta dimostrando sempre più bacchettone mentre prima sembrava leggermente più liberale di Facebook, capace di bloccare Cagnacci, Modigliani, Rubens, l’anno scorso perfino le Tre Grazie del Canova come ricorda Luca Beatrice in “Arte è libertà?”. Va a finire che l’ultima ridotta della sovranità espressiva è la canzone, forma artistica che davo per agonizzante e che invece risorge a nuova libertaria vita grazie al prode Francesco Bianconi che in “Certi uomini” dice non so quante volte la parola “fica”. Neanche figa: proprio fica. Parte del corpo che cantare si può, evidentemente, ma dipingere meglio lasciar perdere e ne sa qualcosa Riccardo Mannelli, il più socialcensurato di tutti, il miglior disegnatore di nudi del nostro tempo e pure di altri tempi, più anatomista di Courbet siccome l’autore della “Origine del mondo” era facilitato dal vello ottocentesco, quasi una braghetta naturale, mentre lui affronta e padroneggia l’oscena, chirurgica depilazione contemporanea.

 

Torno al capezzolo che è tanto bello. Sono arrivato alla conclusione che il principale discrimine algoritmico sia la nitidezza del medesimo: se è sfocato passi, se è ben definito merita lo strappo alla stregua dei seni di Sant’Agata, Catania 251. Da realizzarsi però con le tastiere puritane, non con le tenaglie pagane (a proposito, il martirio di Sant’Agata nella versione di Sebastiano del Piombo, oggi a Palazzo Pitti, conferma la mia idea di pornorinascimento, se non di pornografia cattolica, visto il soggetto e visto il committente, un cardinale). “Destituire il volto è destituire il soggetto” ha scritto Itzhak Goldberg. Che destituire il capezzolo sia destituire la donna, la maternità, la riproduzione sessuata? Mi ci vorrebbe la mail di Fabrice Hadjadj. Vorrei fosse ancora vivo Mario Perniola. Potessi, resusciterei Ida Magli e gli chiederei di confutare Silvia Paci, unica Censurata fra tanti Censurati, convinta che la censura occidentale derivi dalla cultura cristiana associante il corpo (“volgarità, piacere, orifizio, viscera, oscenità, malattia”) al peccato.

 

Però non devo lamentarmi troppo, ho la fortuna di avere a disposizione Nicola Verlato, il Grande Iconodulo. Come pittore non è un censurato, sebbene sia senz’altro un censurabile, visti i suoi corpi michelangioleschi. Come teorico è lo squillante araldo della nuova figurazione. Quando gli chiedo se l’artista figurativo fosse più libero prima di internet, risponde nettamente di no: “Internet ha dato moltissima visibilità all’arte figurativa, ha offerto moltissime possibilità prima negate da una stolida storiografia evoluzionista che riteneva l’arte figurativa senza futuro. Ha rotto il paradigma teleologico della critica impostata in senso hegeliano”. Mi piace l’ottimismo, quando è così solidamente motivato. In effetti, a pensarci bene, su internet funziona solo l’arte figurativa, mentre l’arte concettuale può sopravvivere solo nel Sussidistan accademico. Resta il problema dei capezzoli amati, risolvibile almeno in parte dai giornali di carta, dai siti dei giornali e dalle mostre che organizzerò quando usciremo a riveder le stelle.

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