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L’ardua impresa di pensare il presente

Alfonso Berardinelli

Il presente è un assoluto eternamente mobile. Un tema e le sue derive, da Foucault ad Agamben, nella giornata mondiale della filosofia

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"Pensare il presente": con questo titolo la Fondazione Francesco De Sanctis, in collaborazione con Rai cultura e Rai Radio 3, ha organizzato per oggi, giornata mondiale della filosofia, un ciclo di conversazioni e interventi che coinvolge una ventina di filosofi italiani. Fra loro, in veste di intrusi, lo storico Ernesto Galli della Loggia e io stesso, che non so più quale professione sia la mia. Pensare il presente ha tutta l’aria di un’esortazione a compiere il primo dei doveri intellettuali e quello che soprattutto dall’Illuminismo in poi è stato il compito storico e sociale delle filosofie moderne. Anche non essendo filosofi e neppure intellettuali, pensare il presente, pensare all’attuale presente drammatico, più che essere un dovere professionale è un istinto elementare di chiunque.

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"Pensare il presente": con questo titolo la Fondazione Francesco De Sanctis, in collaborazione con Rai cultura e Rai Radio 3, ha organizzato per oggi, giornata mondiale della filosofia, un ciclo di conversazioni e interventi che coinvolge una ventina di filosofi italiani. Fra loro, in veste di intrusi, lo storico Ernesto Galli della Loggia e io stesso, che non so più quale professione sia la mia. Pensare il presente ha tutta l’aria di un’esortazione a compiere il primo dei doveri intellettuali e quello che soprattutto dall’Illuminismo in poi è stato il compito storico e sociale delle filosofie moderne. Anche non essendo filosofi e neppure intellettuali, pensare il presente, pensare all’attuale presente drammatico, più che essere un dovere professionale è un istinto elementare di chiunque.

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Riuscirci è tuttavia un’impresa così ardua da apparire quasi impossibile. Il presente è così presente e mobile che ogni sforzo di fissarlo può ottenere soltanto risultati limitati e parziali, cioè discutibili. Il presente è il risultato della nostra storia, un insieme di storie nazionali e continentali che non si lasciano sintetizzare facilmente. Dopo l’esplosione e il crollo del marxismo, ultima filosofia totalizzante della storia che abbia avuto un successo e una diffusione mondiali, coinvolgendo l’intellettuale e l’operaio, i governanti e gli oppressi, i privilegiati e le vittime, nessuna teoria e nessun teorico si sono mostrati in grado di fornire un chiaro sistema di idee capace di descrivere in modo convincente quell’assoluto eternamente mobile e circostanziale che è il presente.

 

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Più di mezzo secolo fa il marxista americano Paul Sweezy intitolò un suo libro Il presente come storia, formula entusiasmante perché permetteva di spiegare piuttosto scientificamente ciò che sfugge, l’oggi, con ciò che si era certi di aver capito, la storia del capitalismo moderno. Ora nessuno è più in grado di fare promesse del genere. La storia, ci insegnano gli storici, è un insieme di storie, il che porta a pensare che anche l’attuale stato del mondo sia un’entità plurale e plurima dalla quale ci si possono aspettare gli eventi più imprevedibili. Mi pare comunque che fra tutti gli intellettuali siano i filosofi quelli meno portati a rinunciare alle sintesi globali, cosa che può farli sentire tuttora consiglieri privilegiati dei politici.

 

Solo che i politici sono ormai caratterialmente impermeabili alle teorie e filosofie “da applicare” e tradurre in pratica: navigano a vista come mai prima, essendo stati costretti dalla crisi culturale di fine Novecento a rinunciare a ogni tipo di ideologica filosofia sociale che vada oltre i principi costituzionali e le valutazioni economiche contingenti (le quotazioni di borsa e il pil). La pandemia e lo stato di emergenza nel quale ha costretto tutti gli stati del mondo, ha però favorito una veloce “reductio ad unum” di tutto ciò che si può pensare del presente rispetto all’immediato passato e a un futuro reso sempre più immediato dalla velocizzazione tecnica di qualunque azione e fenomeno sociale.

 

In senso morale e religioso il presente, l’hic et nunc, è sempre uno stato di emergenza, di eccezione, di urgenza; la vita infatti non può e non deve essere rimandata a domani. Kierkegaard parlò di attimo, o momento, o adesso, e in ogni religione la “conversione” di tutta la propria vita è sempre stata considerata all’ordine del giorno. Ma le concezioni morali e religiose sono sempre tanto perentorie quanto oscillanti e paradossali: la vita più vera è ora o nel futuro, è nell’aldiquà o nell’aldilà? Cristianesimo? Teologia? Giochi d’azzardo con l’alfa e l’omega del pensiero pensabile?

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Non è un caso se due nostri allievi sia di Benjamin che di Heidegger (autori che credo inconciliabili), cioè Agamben e Cacciari, siano sempre stati o sempre più diventati teologi e metafisici. Ma mentre Cacciari tiene astutamente separati i suoi giudizi politici spesso di buon senso dall’abissale disinvoltura con cui manipola da filosofo terminologie metafisiche, Agamben invece, che si guarda bene dal fare politica, deduce i suoi giudizi politici da una filosofia teologica dello stato assoluto o autoritario o totalitario. Per lui e per ogni seguace di Foucault l’attuale stato di emergenza dovuto alla pandemia è solo un pretesto politico, statuale, per attuare l’incoercibile essenza totalitaria di qualunque stato. Le liberal-democrazie non sarebbero quindi un fatto reale ma una pura apparenza e truffa, poiché la sola reale volontà di ogni stato è trasformare la società in un Lager.

 

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Dato che vuole e fa questo, secondo Agamben ogni tipo di stato, dittatura o democrazia liberale, è onnipotente, crea la realtà sociale. Il che permette al filosofo di negarla, la realtà (terrorismo o pandemia), riducendola a pretesto che permette allo stato di intensificare e moltiplicare “eccezionalmente” i controlli sulla vita dei cittadini. Qui, mi sembra, c’è una confusione, anzi due. Da un lato si scambiano gli stati di necessità fattuale o naturale (la pandemia e il terrorismo uccidono) con gli stati di eccezione legali. D’altro lato si immagina che contro lo stato, sempre liberticida, insorga una società di cittadini perfettamente liberi, disposti a morire pur di vivere, non certo in libertà, ma semplicemente come prima, come se niente fosse, né accadesse, né fosse accaduto. Questo succede quando le teorie, per interpretare più logicamente i fatti, li negano.

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