PUBBLICITÁ

Consigli per il semi lockdown

Beffe parigine

Mariarosa Mancuso

Dallo scrittore dell’800 che ce l’aveva con gli americani all’estero alla serie tv da guardare per dirne peste e corna

PUBBLICITÁ

Selfie, 1913. “La faccia non va bene” dice il fotografo. “Andrebbe meglio messa di tre quarti”. Non basta. “Apra un poco la bocca”, insiste il fotografo. E continua a dare ordini. Le orecchie non stanno bene. Le mani vanno messe sulle ginocchia, la faccia girata verso l’alto, il collo sollevato, il petto in fuori, il gomito piegato. Ecco! Qualche giorno dopo, tanto serviva cent’anni fa per sviluppare e stampare la fotografia, il fotografato neanche si riconosce. Il fotografo ha ritoccato gli occhi, sostituito le sopracciglia, rialzato l’attaccatura dei capelli, modificato la bocca “troppo bassa”. Lo racconta Stephen Leacock in “Passatempi parigini” (Mattioli 1885). Ennesima dimostrazione del fatto che in materia di umana vanità tutto è già stato inventato. Cambiano gli strumenti, non la sostanza.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


Selfie, 1913. “La faccia non va bene” dice il fotografo. “Andrebbe meglio messa di tre quarti”. Non basta. “Apra un poco la bocca”, insiste il fotografo. E continua a dare ordini. Le orecchie non stanno bene. Le mani vanno messe sulle ginocchia, la faccia girata verso l’alto, il collo sollevato, il petto in fuori, il gomito piegato. Ecco! Qualche giorno dopo, tanto serviva cent’anni fa per sviluppare e stampare la fotografia, il fotografato neanche si riconosce. Il fotografo ha ritoccato gli occhi, sostituito le sopracciglia, rialzato l’attaccatura dei capelli, modificato la bocca “troppo bassa”. Lo racconta Stephen Leacock in “Passatempi parigini” (Mattioli 1885). Ennesima dimostrazione del fatto che in materia di umana vanità tutto è già stato inventato. Cambiano gli strumenti, non la sostanza.

PUBBLICITÁ

 

Leacock era uno scrittore satirico canadese (ma nato in Inghilterra) con trascorsi in economia. Sbeffeggiava gli americani all’estero molto più di quanto “Emily in Paris” (la serie Netflix in cima alla lista dei programmi che attualmente si guardano per dirne peste e corna) tenti di ridicolizzare i francesi. Riuscendo soltanto a suscitare dubbi sulle vere intenzioni dello showrunner Darren Star: la sua Parigi è perfino più cartolinesca di quella che abbiamo visto nella seconda stagione di “La fantastica signora Maisel”, ambientata alla fine degli anni 60. Concierge che spazza le scale, sigarette, chambres de bonne all’ultimo piano senza ascensore. Era più realistico il film Pixar “Ratatouille”, Parigi dal punto di vista del ratto, cuoco sopraffino che vive nella topaia con vista sulla tour Eiffel.

PUBBLICITÁ

 

Per Emily, un punto di riferimento, citato nelle videochat con il fidanzato (l’altro suo punto fermo è la soffitta di “Moulin Rouge”). A metà della prima puntata le hanno già fumato in faccia. E l’hanno già invitata a cena, spiegandole la differenza tra “un fidanzato a Chicago” e “un fidanzato a Parigi”. Emily non sa una parola di francese, neanche soufflé o foulard. Pare il visitatore venuto dal Kansas, come lo racconta Stephen Leacock. Ha studiato la lingua alla Classical Academy di Fayetteville, e dopo qualche scambio di battute si convince che sono i parigini a non parlare francese, “dev’essere una specie di patois”. Non parlano francese neanche a Rouen, dove va per visitare la cattedrale che tanto piaceva a Proust (dopo averne letto l’estasiata e minuziosa descrizione di John Ruskin, anche i migliori di noi devono sapere dove guardare).

 

L’uomo del Kansas si improvvisa guida turistica, e sopra ogni cosa consiglia al narratore la reggia di Versailles. Il narratore confessa di non esserci mai stato, e sale sul trenino sferragliante. Fa la lista di tutte le cose da vedere, giardini, saloni, specchi e dipinti. Poi confessa di aver perso l’interesse, e passa il pomeriggio in un localino con pergolato che sta lì accanto, “meglio di un palazzo caldissimo pieno di stupidi turisti”. Di ritorno a Parigi, la rivelazione. E’ una città senza bambini. I pochi che circolano sono “bambole elegantemente abbigliate”. Oggetti in mostra. Appendici della mamma alla moda, con abiti e parasole in tinta. Minacciati dal loro grande rivale: “il cane parigino, che ormai ha surclassato l’infante”.

 

PUBBLICITÁ

“E’ stata una gara onesta”, commenta Stephen Leacock: “il bambino ha avuto la sua chance ed è stato battuto”. Leggendo “Il dentista e il gas” – nella sezione “Incidenti comuni” – entriamo da un dentista di inizio Novecento. Il gas serve da anestetico, ditelo a chi vorrebbe le buone cose di una volta. Il paziente ricorda solo qualcosa di molto simile a una martellata, il lavorio delle pinze, e il conto irragionevole che gli spediscono a casa.

PUBBLICITÁ
Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ