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“E siccome lei”, di Eleonora Marangoni

Una, nessuna e 47 Monica Vitti: i personaggi della “fatalona comica”, raccontati

Simonetta Sciandivasci

Un libro speciale e poetico dedicato a Monica Vitti, che era fatta di cinema ed era vera nel senso in cui è vero il cinema. Gli inghippi, le illusioni, le angosce del Novecento, ma anche le scoperte, la vividezza e le libertà perdute

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Monica Vitti ha recitato tutte le donne possibili. E anche quelle impossibili. E quelle improbabili. E imprevedibili. E prevedibili. Tutte. Ed erano tutte vere, anche se non di quella verità che, scriveva Arthur Conan Doyle, rimane quando si elimina l’impossibile. Monica Vitti era fatta di cinema, ed era vera nel senso in cui è vero il cinema, il senso dell’invenzione che crea, raggiunge un sogno, sostanzia un altro mondo ancora e lo fa visibile, lo innesta a quello che già c’è. A lei e a questo suo prodigio, Eleonora Marangoni ha dedicato un libro speciale e poetico, in libreria da ieri con un titolo spezzato ma sicuro, che a Monica Vitti assomiglia: “E siccome lei” (Feltrinelli).

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Monica Vitti ha recitato tutte le donne possibili. E anche quelle impossibili. E quelle improbabili. E imprevedibili. E prevedibili. Tutte. Ed erano tutte vere, anche se non di quella verità che, scriveva Arthur Conan Doyle, rimane quando si elimina l’impossibile. Monica Vitti era fatta di cinema, ed era vera nel senso in cui è vero il cinema, il senso dell’invenzione che crea, raggiunge un sogno, sostanzia un altro mondo ancora e lo fa visibile, lo innesta a quello che già c’è. A lei e a questo suo prodigio, Eleonora Marangoni ha dedicato un libro speciale e poetico, in libreria da ieri con un titolo spezzato ma sicuro, che a Monica Vitti assomiglia: “E siccome lei” (Feltrinelli).

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Un libro nel quale, per raccontare la “fatalona comica”, come la chiamava Mario Monicelli che di lei aveva capito tutto quello che c’era da capire, Marangoni racconta le donne che Vitti è stata nei suoi film. Ce ne sono 47 e ciascuna è un racconto, scrive la sua storia, entra ed esce dal film di cui è protagonista e ce lo fa vedere sia da dentro che da fuori, gli dà un prima, forse anche un dopo. È un lavoro bizzarro e lontanissimo dal nostro tempo, che agli attori chiede di essere loro stessi, e taglia la loro identità in parti uguali e le chiude in un recinto e pretende per esempio che gli eterosessuali accettino soltanto ruoli da eterosessuali e che con i registi di dubbia morale o di offuscata presentabilità sociale nessuno lavori più.

 

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È un lavoro che racconta il Novecento. E ne dice gli inghippi, le illusioni, le angosce, i mille pezzi in cui ridusse uomini e donne, specie se borghesi, ma ne dice anche le scoperte, la vividezza, la curiosità, i sogni, le libertà. Un paio di estati fa, quando eravamo in guerra contro le molestie sessuali, ed era una guerra che giustificava i mezzi, al cinema capitarono alcune cose spiacevoli. Arrivarono i vigilantes (li chiameremo così per comodità: avevano un nome più à la page), certi estranei avvocateschi che avrebbero sorvegliato affinché sul set gli attori non venissero molestati o costretti o esortati a far cose non previste dal copione.

 

Poi arrivarono dei test che misuravano il sessismo dei copioni, e calcolavano quanto spazio era riservato alle donne e quanto agli uomini e quanto i ruoli femminili fossero stereotipati, tradizionali, patriarcali. Poi arrivarono le proteste della comunità Lgbt contro gli attori eterosessuali che s’azzardavano ad accettare ruoli di transessuali. Il cinema si metteva al riparo dalla realtà.

 

Eleonora Marangoni ha reso poetico e bello e divertente un fatto che di Monica Vitti sappiamo tutti: lei né dal cinema né dalla realtà s’è messa al riparo mai. Lei dava al cinema una parte di sé e il cinema faceva altrettanto con lei. Lei dava al cinema il mondo che stava fuori. Per questo, ha coinciso con il cinema che ha fatto: è stata egualmente frastagliata, dubbiosa, disperata, giocosa, vera, finta, proletaria, altoborghese, sensuale, goffa, morbida, spigolosa. Monica Vitti e il suo Novecento hanno offerto una, nessuna e centomila immagini e ruoli di donna, e lo hanno fatto non raccontandone il riscatto, tema unico degli anni nostri, ma l’insoddisfazione e l’indefinitezza.

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Con quale attrice del nostro tempo potremmo pensare di fare un’operazione come questa di Marangoni? Monica Vitti non si fidava dei giornalisti, odiava le interviste e la sua storia, a un certo punto, decise di scriverla da sé. Erano gli anni Novanta, stava per scomparire da tutto e pubblicò “Sette Sottane”, che era una specie di Monica con Monica, un Vitti contro Vitti, un soliloquio e un dialogo.

 

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L’aneddoto che, da quel libro, nella sua introduzione, Marangoni ha tirato fuori, è questo: lei ha 34 anni, viaggia su un treno diretto a Londra, ha dimenticato il portafogli e ha tantissima fame. Dice allo sconosciuto che le viaggia davanti d’essere chi è ma lui, che pure sa bene chi sia Monica Vitti, non la riconosce, non le crede e le dice che pur di levarsela di torno, le pagherà il pranzo. Lei, offesissima, rifiuta l’offerta e resta affamata e furiosa per tutto il resto del viaggio. Non è affatto certo che sia accaduto ed è per questo che dice di lei come soltanto i film con lei dicono di lei.

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