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L’internazionale islamista prova a sottomettere la Francia dopo la decapitazione di Samuel Paty

Giulio Meotti

Mohammed Moussaoui, presidente del Consiglio francese del culto musulmano: "La Francia rinunci ad alcuni diritti per dovere di fraternità”. Tradotto: basta libertà di espressione in cambio del quieto vivere. Macron argine al separatismo

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“A Macron, il capo degli infedeli. Ho giustiziato uno dei tuoi cani dell’inferno che ha osato umiliare Maometto”. A meno di una settimana dal messaggio terribile che il terrorista ceceno Abdullah Anzorov, rivendicando la decapitazione di Samuel Paty, aveva rivolto a Emmanuel Macron, la Francia torna a essere sotto attacco dell’islamismo, stavolta statale. A seguito delle vignette su Maometto, il boicottaggio nella Umma delle merci danesi nel 2006 portò a un calo del 15,5 per cento delle esportazioni, secondo le statistiche del governo danese. Le esportazioni in Arabia Saudita crollarono del 40 per cento, quelle verso l’Iran del 47. L’“internazionale islamista”, come la chiama il Point, vuole fare pagare lo stesso prezzo alla Francia dopo l’uccisione del professor  Paty e il tentativo di  Macron di arginare il “separatismo islamico” (“come si evita la secessione?”, chiedeva già François Hollande). Duri anche i paesi  vicini a Parigi. L’Alto consiglio islamico dell’Algeria parla di “campagna virulenta” contro l’islam in Francia,  il Marocco condanna le “oltraggiose vignette” e il Consiglio degli anziani di al Azhar annuncia una causa contro Charlie Hebdo. Il Pakistan dice che  Macron “incoraggia l’islamofobia”. L’Iran convoca l’ambasciatore francese. In Bangladesh si riempiono le piazze contro Macron “adoratore di Satana”. Qatar, Kuwait e altri paesi arabi eliminano le merci francesi dai supermercati. Ha avuto l’effetto sperato la campagna del presidente turco Erdogan per il boicottaggio lanciato contro Parigi.

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“A Macron, il capo degli infedeli. Ho giustiziato uno dei tuoi cani dell’inferno che ha osato umiliare Maometto”. A meno di una settimana dal messaggio terribile che il terrorista ceceno Abdullah Anzorov, rivendicando la decapitazione di Samuel Paty, aveva rivolto a Emmanuel Macron, la Francia torna a essere sotto attacco dell’islamismo, stavolta statale. A seguito delle vignette su Maometto, il boicottaggio nella Umma delle merci danesi nel 2006 portò a un calo del 15,5 per cento delle esportazioni, secondo le statistiche del governo danese. Le esportazioni in Arabia Saudita crollarono del 40 per cento, quelle verso l’Iran del 47. L’“internazionale islamista”, come la chiama il Point, vuole fare pagare lo stesso prezzo alla Francia dopo l’uccisione del professor  Paty e il tentativo di  Macron di arginare il “separatismo islamico” (“come si evita la secessione?”, chiedeva già François Hollande). Duri anche i paesi  vicini a Parigi. L’Alto consiglio islamico dell’Algeria parla di “campagna virulenta” contro l’islam in Francia,  il Marocco condanna le “oltraggiose vignette” e il Consiglio degli anziani di al Azhar annuncia una causa contro Charlie Hebdo. Il Pakistan dice che  Macron “incoraggia l’islamofobia”. L’Iran convoca l’ambasciatore francese. In Bangladesh si riempiono le piazze contro Macron “adoratore di Satana”. Qatar, Kuwait e altri paesi arabi eliminano le merci francesi dai supermercati. Ha avuto l’effetto sperato la campagna del presidente turco Erdogan per il boicottaggio lanciato contro Parigi.

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La Francia ieri ha avvertito i propri cittadini all’estero di essere prudenti. Il ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, a Libération  ha spiegato la lotta del governo contro il separatismo islamico. Il Collettivo contro l’islamofobia in Francia, ha detto Darmanin, è un “laboratorio islamico” che va chiuso. Darmanin ha  annunciato che 51 associazioni sospettate di avere legami con l’islam radicale sono nel mirino delle autorità e molte saranno chiuse. Ieri è stata confermata dalla magistratura  la serrata della Grande moschea di Pantin, che ha diffuso la fatwa contro  Paty. Il settimanale Point fa notare che a boicottare la Francia oggi sono gli stessi paesi che ne controllano gran parte delle moschee. L’associazione Ditib, subordinata al ministero degli Affari religiosi turco, gestisce 250 moschee nell’Esagono, l’Arabia Saudita ha costruito la Grande moschea di Lione, il Marocco quella di Evry, l’Algeria gestisce la Grande moschea di Parigi e così via.

 

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“Non voglio che le vignette di Maometto vengano riproposte nelle scuole”, ha detto ieri Mohammed Moussaoui, presidente del Consiglio francese del culto musulmano, che torna all’offensiva dopo il caso Paty e il boicottaggio commerciale. Moussaoui ha parlato di una “volontà deliberata di offendere i sentimenti dei musulmani” e ha chiesto alla Francia di “rinunciare ad alcuni diritti per dovere di fraternità”. Tradotto: basta libertà di espressione in cambio del quieto vivere.

 
La risposta alla richiesta di sottomissione è arrivata sul Journal du Dimanche con un appello di 49 intellettuali: “La permanente messa in discussione della libertà di espressione e le ripetute aggressioni alla scuola pubblica sono sintomi evidenti della volontà ultima dei nostri nemici: minare le basi democratiche della Repubblica francese”. A firmarlo, Marcel Gauchet (filosofo), Jean Glavany (ex ministro), Catherine Kintzler (filosofa), Richard Malka (avvocato), Henri Peña-Ruiz (filosofo) e tanti altri. “Dobbiamo cambiare le leggi, organizzare una guerra ideologica ma anche legislativa contro gli islamisti”, ha detto invece all’Express la filosofa Elisabeth Badinter. “E ciò non sarebbe accaduto senza terribili scosse di assestamento dal campo avversario. Nuovi attacchi, più numerosi, più sanguinosi. Tutto questo non può più essere risolto con il pacifismo, perché è andato troppo oltre. E’ una guerra, ma non sono sicura che i francesi siano pronti”. La Danimarca ha ripiegato nella battaglia sulla libertà di espressione (il giornale Jyllands-Posten ha abbracciato l’autocensura programmatica sull’islam). Dopo la decapitazione di Paty, la Francia di Macron non sembra  volere rinunciare ad alcunché né offrire la testa alla ghigliottina islamista.

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