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Poveri convegni, trattati come fossero pericolose adunate alcoliche

Giovanni Maddalena

Indifesi da associazioni di categoria e sindacati, alla fine gli incontri culturali risultano tra le poche vittime del superdecreto. Chiudiamoli pure, ma non pensiamo di non aver fatto danni solo perché non si leveranno proteste

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Tra le sorprese dell’ultimo dpcm troviamo la notizia che i convegni e le conferenze sono pericolosi luoghi di assembramento come le adunate alcoliche dell’ormai famigerata movida. Indifesi da associazioni di categoria e sindacati, alla fine gli incontri culturali risultano tra le poche vittime del superdecreto. Non c’è pietà per incontri che attirano folle immense come quelli sui grafi esistenziali di Peirce o sulla superconduttività del grafene, sulla corrispondenza tra il Regno di Savoia e la Svizzera nel 1600 o sulla filosofia della scienza di Heisenberg. A questo tipo di pericolose manifestazioni non viene data nemmeno la deroga per un massimo di spettatori, come invece viene fatto per gli avventori dei ristoranti. Peccato perché con lo stesso massimo, se ne sarebbero salvati molti. Troppo pericolosi: persino più pericolosi dei già temibili cinema e teatri, che riescono per ora (una settimana? due settimane?) a salvarsi, ma di certo molto più preoccupanti di palestre e piscine, dove gli scambi di liquidi corporei non raggiungono la densità di ciò che avviene nel convegno.

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Tra le sorprese dell’ultimo dpcm troviamo la notizia che i convegni e le conferenze sono pericolosi luoghi di assembramento come le adunate alcoliche dell’ormai famigerata movida. Indifesi da associazioni di categoria e sindacati, alla fine gli incontri culturali risultano tra le poche vittime del superdecreto. Non c’è pietà per incontri che attirano folle immense come quelli sui grafi esistenziali di Peirce o sulla superconduttività del grafene, sulla corrispondenza tra il Regno di Savoia e la Svizzera nel 1600 o sulla filosofia della scienza di Heisenberg. A questo tipo di pericolose manifestazioni non viene data nemmeno la deroga per un massimo di spettatori, come invece viene fatto per gli avventori dei ristoranti. Peccato perché con lo stesso massimo, se ne sarebbero salvati molti. Troppo pericolosi: persino più pericolosi dei già temibili cinema e teatri, che riescono per ora (una settimana? due settimane?) a salvarsi, ma di certo molto più preoccupanti di palestre e piscine, dove gli scambi di liquidi corporei non raggiungono la densità di ciò che avviene nel convegno.

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La verità è che alla fine si è deciso di colpire chi non poteva proprio essere difeso da nessuno: i convegni sono luoghi di scambio di idee, ma non hanno difensori istituzionali. Sono fatti banalmente da persone interessate a un tema e, ci si creda o meno, servono per capire un argomento in profondità, più del solito. Ma che bisogno abbiamo di capire quando sappiamo tutto così bene? Una battuta in televisione, una comparsata in un talk-show, un bel tweet e tutto sarà compreso: il coronavirus – questo senza dubbio, ci sono eserciti di virologi sui social e centinaia in televisione – le elezioni americane, la fiscalità argentina, i manoscritti shakespeariani, la teoria della relatività e tutto ciò che avreste sempre voluto sapere, insieme a quale sia il più bel profilo di gatto e il prossimo vincitore del campionato di calcio. Parlando tutti di dialogo, difeso da tutti, voluto da tutti, nessuno ha pensato che il dialogo effettivo che si svolge in un convegno abbia una funzione importante non riproducibile online e, persino, un valore sociale. E’ che normalmente si pensa che il convegno e la conferenza siano meri momenti di disseminazione di idee già elaborate. Alle volte è così, ma la natura degli incontri culturali non si limita a questo. Il dialogo effettivo, al di là di ogni retorica, serve per conoscere e non si basa su rapporti di forza e potere – che pure ci sono – ma sulla comunione di interessi.

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I convegni e le conferenze, nonostante la simpatica ironia del bel romanzo Il professore va al congresso di David Lodge, sono strumenti di incontro che fanno approfondire il sapere e solo una visione razionalista povera può pensare che sia la stessa cosa il farli online. Come per la didattica a distanza, con tutto il bene che se ne deve dire perché ha permesso comunque un po’ di continuità nell’anno passato, le dimensioni fisiche che mancano all’incontro virtuale non sono facilmente recuperabili. Il sapere, la conoscenza, la comprensione della realtà non si formano in cervelli disincarnati per poi essere comunicati con qualsiasi mezzo, indifferentemente. La storia della conoscenza, in ogni ambito, è il frutto di rapporti umani, di incontri e di scontri di persone fisiche, di dialoghi – a volte accesi e a volte casuali, magari persino su temi laterali – su argomenti che letti o ascoltati in modalità virtuale non hanno la stessa pregnanza, non ottengono gli stessi risultati. I convegni servono a favorire questi incontri, spesso forieri di nuove idee che alla lunga hanno grande incidenza anche sociale. Chiudiamoli pure, ma non pensiamo di non aver fatto danni solo perché non si leveranno proteste.

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