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Doppia intervista

L'appello di due pittori americani per salvare la mostra di Guston

Valeria Sforzini

Gli artisti Ellen Gallagher e Trenton Doyle Hancock hanno firmato una lettera per chiedere la riapertura della mostra di Philip Guston. La censura dell'arte e del dialogo in un mondo senza sfumature

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"Non credo che dovremmo seppellire le storie solo perché non riusciamo a capire come raccontarle senza finire nei guai o perdere soldi". L’artista americana Ellen Gallagher spiega così la sua decisione di firmare la lettera aperta per richiedere la riorganizzazione della mostra di Philip Guston, dopo che la direzione di quattro musei (la Tate Modern di Londra, e tre musei americani) hanno deciso di posticiparla di quattro anni adducendo motivazioni che spaziano dal momento storico sbagliato al Covid. Gallagher è una pittrice, poetessa e artista visiva contemporanea. Nata a Providence, in Rhode Island, nel 1965, dagli anni ’90 realizza opere che denunciano gli stereotipi razziali. Dalle tele ricoperte da labbra stilizzate ai collage e alle incisioni realizzati sulle riviste dedicate a lettori afroamericani tra gli anni ‘30 e ‘70 come Ebony e Our World fino alle opere Watery Ecstatic che mappano le storie oscure del mare.

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"Non credo che dovremmo seppellire le storie solo perché non riusciamo a capire come raccontarle senza finire nei guai o perdere soldi". L’artista americana Ellen Gallagher spiega così la sua decisione di firmare la lettera aperta per richiedere la riorganizzazione della mostra di Philip Guston, dopo che la direzione di quattro musei (la Tate Modern di Londra, e tre musei americani) hanno deciso di posticiparla di quattro anni adducendo motivazioni che spaziano dal momento storico sbagliato al Covid. Gallagher è una pittrice, poetessa e artista visiva contemporanea. Nata a Providence, in Rhode Island, nel 1965, dagli anni ’90 realizza opere che denunciano gli stereotipi razziali. Dalle tele ricoperte da labbra stilizzate ai collage e alle incisioni realizzati sulle riviste dedicate a lettori afroamericani tra gli anni ‘30 e ‘70 come Ebony e Our World fino alle opere Watery Ecstatic che mappano le storie oscure del mare.

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"Questa non è una questione che possa essere risolta da un curatore nero neo-assunto – continua Gallagher – Quello che il lavoro di Philip Guston ci sta dicendo è l’esatto contrario, ovvero che spetta a tutti prenderne atto, perché siamo tutti parte di questo contesto storico. Il management dei musei non sembra in grado di trattare il contenuto delle opere di Guston. Dobbiamo aspettare fino a quando saranno pronti? Abbiamo bisogno di qualcosa di più profondo di una leadership morale, serve una leadership etica». La causa scatenante sono state le figure incappucciate dipinte da Guston: una rappresentazione del Ku Klux Klan, che per l’artista aveva un senso molto preciso, non comprensibile se non inserito all’interno di quella che Gallagher definisce la “geografia dell’artista”. "L’intimità del tratto di Guston richiede da noi qualcosa di più di una lettura “uno a uno” dei segni, che si aprono davanti a noi come autoritratti americani".

 

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Nei suoi dipinti, Guston ha condannato il fascismo, l’odio razziale e l’antisemitismo, ammettendo l’esistenza del male in ciascuno di noi, anche nei più insospettabili. Questo omino con il cappuccio che guida la macchina con il sigaro in mano e guarda il mondo con aria stupita rappresenta la banalità del male e viene ridicolizzato dal pennello di Guston, figlio di profughi ebrei scappati dai pogrom di Odessa per essere vittime, anche in America, di un clima di intolleranza e di oppressione. "Non posso dire cosa rappresentino i suoi omini incappucciati, ma so che mi guidano nella storia pittorica dei suoi dipinti. – continua Gallagher – Un terreno gommoso che ha un po' del suo dna nelle strisce di fumetti Krazy Kat di George Herriman. Un dna formatosi ai tempi delle leggi di Jim Crow e sulla scia della storica sentenza Plessy vs. Ferguson (che ha sancito la costituzionalità delle leggi sulla segregazione razziale, ndr)".

 

Per Gallagher, si è trattato di censura: "La chiusura della mostra di Philip Guston arriva proprio quando quello che ci serve di più è una sfumatura: questa decisione è stata presa dal management dei musei in un momento storico polarizzato, ed è essa stessa un’azione polarizzata. Improvvisamente le sfumature sono diventate sacrificabili – continua - Quando diventa accettabile calunniare l’opera di un artista dai ranghi di un museo e dal pulpito prepotente di una fondazione multimilionaria, dobbiamo reagire senza esitazione a sostegno dell'arte. Ho firmato la lettera in solidarietà con l'opera di Philip Guston, e in solidarietà con tutti gli artisti e i poeti che hanno firmato".

 

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Trenton Doyle Hancock, artista nato in Oklahoma, deve molto a Guston, che definisce un “padre artistico”. Nelle sue opere ambientate in un mondo immaginario abitato da figure che rappresentano il bene (Mounds) e il male (Vegans), fanno la loro comparsa dei personaggi incappucciati, proprio come nei dipinti di Philip Guston. Trenton Doyle Hancock è stato chiamato diversi mesi fa a scrivere un essay da pubblicare sul catalogo della mostra per spiegare e contestualizzare l’artista. "Dal momento in cui ho visto per la prima volta l'opera di Guston nel 1995, ho sentito una grande affinità – spiega al Foglio – Avevo vent'anni e mi stavo esercitando per diventare un fumettista. Nel mio lavoro utilizzavo anche l'immagine del Ku Klux Klan per lavorare su complicate questioni razziali. Sono rimasto stupito nello scoprire che Guston aveva fatto un lavoro basato sul Klan per tutta la sua vita. Per me lui è un mentore, un genitore artistico". Hancock ha deciso di unirsi alla protesta degli altri artisti e di firmare la lettera per la riapertura della mostra. "Vedere le opere di Guston porterebbe alla nascita di un dialogo molto importante sulla supremazia bianca e sul privilegio – spiega – Non si tratta di una semplice questione americana, ma di un dialogo globale".

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