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Geoletteratura del Veneto

Camillo Langone

Scarpa, Mozzi, Trevisan e gli altri: un gioco a rimpiattino con l’identità veneta. Camon il più grande

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Lo sapevo che sugli scrittori veneti l’identità veneta avrebbe sfrigolato come l’acqua santa spruzzata sul diavolo. Conosco i miei polli padovani. Intervistati da Maurizio Caverzan in “Fabula veneta” (Apogeo), di fronte alla domanda sull’esistenza di elementi comuni fra letterati corregionali ecco che si contorcono, sbuffano, soffiano dal naso. Un po’ sarà la paura di sembrare leghisti (in questo gli straordinari scrittori veneti sono come gli scrittori romani, toscani, emiliani, napoletani: ordinariamente di sinistra). Un po’ sarà la paura di non sembrare contemporanei, essendo il senzafrontierismo l’ideologia del presente. Un po’ sarà la paura di apparire imbrancati e intercambiabili. Peccato che poi tutti ma proprio tutti gli scrittori veneti si riconoscano lontano un miglio come tali. Anche quelli che di Veneto non ne vogliono nemmeno sentir parlare, tipo Tiziano Scarpa che spinge la sua brama di indistinzione geoculturale fino ad affermare: “Non mi interessa guardare l’Italia né raccontarla”.

 

Io però mi ricordo titoli come “In gita a Venezia con Tiziano Scarpa”, “Venezia è un pesce”, “Laguna l’invidiosa”… E dov’era ambientato il romanzo con cui vinse lo Strega? Ovviamente a Venezia. Scarpa in qualche modo si contraddice anche quando ricorda che la passione per i libri gli è stata trasmessa dalla nonna, una sarta della campagna veneta, povera eppure grande lettrice. Ecco un altro tratto comune: il Veneto legge, legge molto più della media nazionale e l’amore per la pagina scritta produce fatalmente più scrittori per chilometro quadrato. Altro negazionista riguardo il fattore Veneto è Giulio Mozzi: “Tiziano Scarpa, Romolo Bugaro, Vitaliano Trevisan e Claudia Grendene che cos’hanno di affine? Uno scenario paesaggistico e socioeconomico”. Dici poco! Si pensi a cos’ha fatto Zanzotto col paesaggio e, in altri luoghi, cos’hanno fatto Balzac, Dickens, Verga, Nesi col contesto socioeconomico. Si legga il succitato Bugaro, maestro nella descrizione delle parabole imprenditoriali, insomma, oggi, in Italia, il massimo scrittore dei soldi. Se anziché fare l’avvocato a Padova (provincia con pil sopra i 30 miliardi) lo facesse a Isernia (provincia con pil sotto i 2 miliardi) anziché di diritto societario dovrebbe occuparsi di parafanghi e liti condominiali e i suoi romanzi, oltre che i suoi conti correnti, sarebbero diversissimi. Poi non ditemi che l’indirizzo di casa è ininfluente. Dei soldi, oltre la quantità, conta pure la fonte. Vivi in una zona dove i redditi provengono soprattutto dal settore privato, oppure soprattutto dal settore pubblico? Cambia molto.

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Nell’intervista di Caverzan, Bugaro rende bene l’ansia di chi non vive alle spalle del contribuente: “Tu sei ricco perché hai la tua azienda e lavori bene. Poi, in questo tempo ultra connesso e ultra instabile, nel giro di un’ora accade qualcosa che ribalta la situazione. Il crollo di una banca che ti dava credito, l’arrivo di un competitor online che dimezza il costo del tuo prodotto, una malattia”. Quello di Caverzan è un censimento necessario grazie al quale mi è venuta voglia di leggere (o rileggere) la padovana armena Antonia Arslan, il trevigiano Ferruccio Mazzariol, la vicentina Mariapia Veladiano, perfino il veneziano di terraferma Gianfranco Bettin che ho sempre immaginato trinariciuto ma che qui dice cose ragionevoli. Oltre all’opera omnia di Ferdinando Camon, secondo me (e secondo alcuni intervistati) il più grande scrittore veneto vivente. Camon per ragioni anagrafiche è l’autore più legato a un Veneto scomparso, il Veneto contadino, bianco, poverissimo, ma al contempo è il più attento al futuro che si trova nel grembo del presente. Ad esempio all’islamizzazione dell’Europa e alla decristianizzazione della Chiesa: “Io sono stato forgiato dall’idea che il mio Dio non è il Dio degli altri. Che tra Cristo e Allah non c’è compatibilità. La nuova chiesa di Bergoglio applica questa compatibilità”. E così in un libro edito ad Adria da un giornalista di Montebelluna uno scrittore della Bassa Padovana esplicita il fatto universale dell’eresia di Papa Francesco (l’indifferentismo è un’eresia).

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