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“Il nichilismo ci ha reso tutti sordi”. Intervista al filosofo francese Jean-Luc Marion, premio Ratzinger

"L’indifferenza spirituale costringe i cristiani al silenzio e non ci fa sentire la voce dell’uomo”

Giulio Meotti

L'accademico della Sorbona e di Chicago: "Raramente la filosofia e la scienza sono state in grado di dire meno della nostra condizione di quanto facciano oggi. Questo deserto secco della razionalità è la nostra tragedia”

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Roma. “Raramente la filosofia e la scienza sono state in grado di dire meno della nostra condizione di quanto facciano oggi. Questo deserto secco della razionalità  si chiama nichilismo. E’ la nostra tragedia”. Jean-Luc Marion, oggi l’accademico francese di maggior successo negli Stati Uniti, iniziò a entrare in questo deserto  negli anni Settanta, quando con un gruppo di amici ebbe l’idea di un’edizione francese di Communio, la rivista fondata da un certo Joseph Ratzinger, che doveva durare sei mesi ma che continua a uscire da trentacinque anni. Ora Marion è insignito da Papa Francesco del Premio Ratzinger.
Jean-Luc Marion era con Rémi Brague, Philippe Barbarin, Jean-Robert Armogathe e Jean Duchesne. Amici che sarebbero diventati filosofi e cardinali. Amici che avevano a loro volta maestri: Henri de Lubac, Jean Daniélou, Louis Bouyer, nomi importanti. Benedetto XVI a quel gruppo, con cui lanciò l’edizione francese di Communio, sarebbe rimasto sempre legato, rivelandosi un Papa francofono e francofilo. Tra Ratzinger e la Francia, la storia inizia nel 1954 con un congresso alla Sorbona su sant’Agostino. E’ lì che il giovane teologo incontra il futuro cardinale e arcivescovo di Parigi, Jean-Marie Lustiger, che celebrerà le nozze di Marion. Poi l’incontro, dieci anni dopo, con Marion per lanciare in Francia la rivista fondata con Hans Urs von Balthasar. L’idea era di difendere la tradizione cattolica davanti all’intellighenzia francese sfidandola sul campo dell’intelligenza. “I cattolici parlano in nome di argomenti perfettamente razionali”, dice Marion. “Ad esempio, che la riproduzione assistita equivale a ridurre l’evento della nascita di un bambino alla pura e semplice produzione di un oggetto. O che la maternità surrogata implica di considerare il corpo di una donna come uno strumento animato, la definizione letterale di schiavo per Aristotele”. Marion farà gli onori di casa quando Ratzinger, allora capo del Sant’Uffizio, tornerà a parlare alla Sorbona nel 1999, per spiegare la crisi della verità nella cultura contemporanea, il suo tema preferito. Considerato uno dei blasoni più prestigiosi al mondo per gli studi teologici, il Premio Ratzinger riconosce i successi di una vita nell’esegesi e nella teologia (un anno fa il premio era andato al filosofo canadese Charles Taylor). Tra i numerosi riconoscimenti che può vantare Marion ci sono anche il Grand Prix du Philosophie dell’Académie française, il Premio Karl-Jaspers di Heidelberg e il Premio Humboldt-Stiftung. 

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Roma. “Raramente la filosofia e la scienza sono state in grado di dire meno della nostra condizione di quanto facciano oggi. Questo deserto secco della razionalità  si chiama nichilismo. E’ la nostra tragedia”. Jean-Luc Marion, oggi l’accademico francese di maggior successo negli Stati Uniti, iniziò a entrare in questo deserto  negli anni Settanta, quando con un gruppo di amici ebbe l’idea di un’edizione francese di Communio, la rivista fondata da un certo Joseph Ratzinger, che doveva durare sei mesi ma che continua a uscire da trentacinque anni. Ora Marion è insignito da Papa Francesco del Premio Ratzinger.
Jean-Luc Marion era con Rémi Brague, Philippe Barbarin, Jean-Robert Armogathe e Jean Duchesne. Amici che sarebbero diventati filosofi e cardinali. Amici che avevano a loro volta maestri: Henri de Lubac, Jean Daniélou, Louis Bouyer, nomi importanti. Benedetto XVI a quel gruppo, con cui lanciò l’edizione francese di Communio, sarebbe rimasto sempre legato, rivelandosi un Papa francofono e francofilo. Tra Ratzinger e la Francia, la storia inizia nel 1954 con un congresso alla Sorbona su sant’Agostino. E’ lì che il giovane teologo incontra il futuro cardinale e arcivescovo di Parigi, Jean-Marie Lustiger, che celebrerà le nozze di Marion. Poi l’incontro, dieci anni dopo, con Marion per lanciare in Francia la rivista fondata con Hans Urs von Balthasar. L’idea era di difendere la tradizione cattolica davanti all’intellighenzia francese sfidandola sul campo dell’intelligenza. “I cattolici parlano in nome di argomenti perfettamente razionali”, dice Marion. “Ad esempio, che la riproduzione assistita equivale a ridurre l’evento della nascita di un bambino alla pura e semplice produzione di un oggetto. O che la maternità surrogata implica di considerare il corpo di una donna come uno strumento animato, la definizione letterale di schiavo per Aristotele”. Marion farà gli onori di casa quando Ratzinger, allora capo del Sant’Uffizio, tornerà a parlare alla Sorbona nel 1999, per spiegare la crisi della verità nella cultura contemporanea, il suo tema preferito. Considerato uno dei blasoni più prestigiosi al mondo per gli studi teologici, il Premio Ratzinger riconosce i successi di una vita nell’esegesi e nella teologia (un anno fa il premio era andato al filosofo canadese Charles Taylor). Tra i numerosi riconoscimenti che può vantare Marion ci sono anche il Grand Prix du Philosophie dell’Académie française, il Premio Karl-Jaspers di Heidelberg e il Premio Humboldt-Stiftung. 

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Docente di Metafisica della Sorbona, dove ha avuto come predecessori Emmanuel Levinas e Pierre Boutang, Marion è con Jacques Derrida, François Furet, Paul Ricoeur e René Girard uno dei pochi accademici francesi ad aver creato una scuola accademica negli Stati Uniti (a Ricoeur, Marion è succeduto sulla cattedra dell’Università di Chicago). Celebre per gli occhiali a tartaruga, la pipa e il papillon, Marion è uno degli specialisti mondiali di Cartesio, che non seduce più le folle, ma che a lui permette di lavorare su fede e ragione. Entrato alla Scuola Normale nel 1968, Marion vi frequenta i maestri strutturalisti e decostruzionisti dell’epoca, Althusser, Deleuze e Derrida. Segue i corsi di Paul Celan, sopravvissuto all’Olocausto, il grande poeta dei sommersi e del finis terrae che si suiciderà, due anni dopo, gettandosi nella Senna. Il 1968, “una grande parata”, come la definirà Marion. Ma una parata che costituirà anche un’opportunità, un momento di riflessione per capire il caos della cultura europea. Marion non è oggi il più famoso di quelli che si chiamano “gli intellettuali”, perché ai media preferisce i circoli accademici internazionali (è tradotto in giapponese, russo e cinese). Ma scrive l’Obs che Marion, “come Foucault e Derrida, è uno dei filosofi francesi più commentati all’estero, in particolare negli Stati Uniti”. 


Per sette anni, Marion sarà assistente di Ferdinand Alquié alla Sorbona. Poi l’amicizia con Jean Beaufret, il filosofo francese che dialogava con Martin Heidegger, al cui pensiero Marion è legato. E poi le cattedre nelle grandi università: Poitiers (dove Cartesio ha insegnato), Nanterre (allora una Mecca della sinistra accademica) e la Sorbona, dove ancora insegna. Un fratello sacerdote nella parrocchia natale di Saint-Martin a Meudon, legatissimo al cardinale Lustiger di cui ha anche preso il posto all’Académie française, Marion si è formato con Von Balthasar, il vegliardo e raffinato esploratore della bellezza divina come rivelazione nella storia umana, morto tre giorni prima del conferimento della porpora cardinalizia (di lui è stato scritto “quest’uomo è il più colto del suo tempo”). In Dieu sans l’être (Fayard in Francia, Jaca Book in Italia), titolo di grande successo, Marion ha preso atto del declino del discorso metafisico su Dio. Da allora ha sempre riflettuto sulla crisi moderna della razionalità, da trent’anni oggetto di convegni internazionali. Nella Francia della laïcité di stato, questo specialista di Cartesio ha difeso il diritto dei cattolici alle proprie scelte anticonformiste. Il presidente francese Emmanuel Macron lo ha citato nel suo ambizioso discorso ai Bernardini di Parigi, forse uniti dall’eredità comune di Ricoeur, di cui Macron è stato assistente editoriale. Marion ritiene che siamo intrappolati in una menzogna. “Il comunismo è caduto non per ragioni militari ed economiche, ma perché i poteri della mente (dei poveri, dei sindacalisti, degli intellettuali, dei credenti cristiani) hanno visto e mostrato che questo sistema non aveva realtà, ma che si basava solo sulla propria autovalutazione, una menzogna. Oggi, la crisi è trovare la realtà in un oceano di valori, di bugie. Attacchiamo la famiglia perché sfugge allo stato. In nome della laicità, vorremmo rinchiudere la libertà di coscienza nella vita privata”. Sono molteplici le radici della crisi della razionalità. E il nichilismo è ancora la questione con cui dobbiamo misurarci. 
“Non è né una domanda né una risposta, ma la descrizione della nostra situazione: ogni realtà è valutata e quindi determinata dalla volontà di potere; tutto diventa un valore, quindi non è più in sé (Nietzsche adempie Kant)”, dice Marion al Foglio. “Il mondo svanisce davanti a noi come una nuvola, di cui non rimane nulla sotto il sole”. La crisi della razionalità, si diceva. “La razionalità moderna è stata segnata dalla scelta di ridurre esclusivamente la verità delle cose alla loro obiettività. Il modello dell’oggetto, l’oggettività, quindi, ha la caratteristica di conservare, nella cosa da conoscere, solo ciò che può essere certamente conosciuto; ossia che può essere misurato e modellato. Ordine e misura, diceva Cartesio. Ciò  che non va oltre l’ordine e la misura, ovvero la maggior parte dei fenomeni, o ciò che gli sfugge completamente, cioè il più perfetto tra questi, è escluso  da questa comprensione ristretta della verità”. Il cristianesimo continua a scandalizzare, da qui l’esigenza di emarginarlo. “I cristiani riconoscono Cristo. Questo è sufficiente per contrapporli a una ristretta determinazione della verità, proprio quella che, partendo dall’oggettività, riduce l’esperienza delle cose a ciò che la volontà di potere può produrre o controllare. C’è quindi un conflitto sulla verità, antico come la Rivelazione giudaico-cristiana. Questa situazione non è nuova, né sorprendente. Qualsiasi compromesso tra le due posizioni rimane e deve rimanere prudente e provvisoria, per non cadere in una compromissione”. 


I cattolici sono sempre più messi a tacere, a cominciare dalla sua Francia. “Le società contemporanee, almeno quelle europee e americane, naturalmente lo vogliono; anzi, hanno sempre guidato un Kulturkampf, in un modo o nell’altro, in tutte le epoche; questo silenzio era soprattutto l’obiettivo esplicito delle società totalitarie del passato, il nazismo e il comunismo; è anche, naturalmente, l’obiettivo implicito delle nuove ‘democrature’, oltre che del neoliberalismo. Infatti, le società contemporanee non vogliono tanto mettere a tacere le voci cristiane, quanto evitare di ascoltarle. Non ci vietano tanto di parlare apertamente, quanto dimostrano la loro incapacità di sentire e la loro impotenza ad ascoltare una parola che li sfidi, perché viene da un altro luogo. Il loro autismo spirituale non riesce a capire né ad ammettere ciò che potrebbe aprirli a qualcuno che non siano loro stessi. Cresce il silenzio, o meglio la sordità volontaria, che soffoca ogni parola divina, ma anche molte parole umane. L’uomo non sente più nemmeno la voce umana; preferisce sentire solo frenetiche e infinite rivendicazioni di potere, di fatto impotenti e frustrate”. 

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C’è una corsa intanto a manipolare la vita umana, come nelle leggi bioetiche in Francia. “La vita, o meglio la sua origine, la nascita per così dire naturale, è minacciata proprio perché viene da altrove, perché dimostra che non siamo padroni della vita”, continua Marion. “Alcune tecniche biologiche permettono oggi di non abolire questa fonte esterna, ma di ridurla, di limitarla, di agire come se una nuova vita potesse essere prevista, programmata e prodotta come un oggetto. Questa è solo un’altra forma di autismo spirituale. Nient’altro che il mio desiderio, la mia volontà, il mio ego e i suoi presunti diritti. Per quanto riguarda la famiglia, non c’è nulla di nuovo: lo stato ha sempre voluto limitarla e assumere il controllo del bambino il più presto possibile. I regimi totalitari si riconoscono addirittura in questo: se non possono  produrre bambini come oggetti, vorrebbero trasformarli in soldati il più presto possibile. Gli antichi hanno aspettato fino all’età di sette anni per portare i bambini nell’arena pubblica: una grande saggezza, che le democrazie tendono a trascurare, con il pretesto di ridurre le disuguaglianze sociali integrandole nella scuola materna. Per quanto riguarda il tasso di natalità, dobbiamo indubbiamente distinguere tra fattori oggettivi, come l’urbanizzazione, lo spazio limitato degli habitat, il costo crescente dell’educazione, il controllo della sessualità, da altri fattori, più difficili da comprendere, come la perdita di fiducia nel futuro, la svalutazione della vita presente, l’ansia ecologica. Da qui l’incapacità di pensare secondo un’escatologia reale e razionale, e l’unica concepibile è l’escatologia cristiana, tutto il resto sono solo caricature e sottoprodotti”. Servirebbe una grande riflessione sul fenomeno erotico, oggetto da sempre di riflessione di Marion. “Perché in esso, ben compreso e ben praticato, sperimentiamo ciò che viene da altrove: gli altri, il desiderio, il godimento, la fedeltà, la fiducia, la fertilità. La chiesa è stata a lungo rimproverata per la sua presunta sfiducia nella sessualità, una contraddizione storica assoluta, ma non importa. Presto i cristiani saranno rimproverati di essere gli ultimi a fare l’amore, a ‘fare’ i bambini, un altro controsenso, perché sono loro che ci fanno. Vorremmo ridurre l’unione erotica alla pornografia, una forma di prostituzione per immagini, per sopprimere ogni esperienza dell’altro in persona. Saremo invece salvati dall’esperienza erotica, che ha quindi un ruolo teologico, come ha sempre detto tutto il pensiero cattolico”. 


Marion teme che la società di domani si dividerà in due: da un lato, coloro che resisteranno a ciò cui si è costretti a pensare, vedere, dire, fare; e dall’altra parte chi, senza nome, senza figli, senza identità, senza lavoro, soffrirà ciò che la globalizzazione dei valori imporrà loro. “Queste società stanno diventando sempre di più l’opposto di ciò che affermano di voler essere: disuguali, divise, violente, insomma, senza comunione. La comunione può venire solo da un Padre comune, dalla sua rivelazione nel Figlio e dalla sua pratica nello Spirito. Ci saranno, e ci sono già, due città parallele: quella che sperimenta un po’ di comunione e quella che ne è priva. Concretamente, andando verso una nuova struttura feudale, saremo sempre più tragicamente divisi, ma non tra ricchi e poveri, ma, più seriamente, tra chi vive la comunione e chi ne è privo. E' un programma teologico e politico. I cristiani devono cercare di esportarla ai margini: tutti fratelli!”. E’ l’unico modo per uscire da quel deserto.

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