Archeologia dei consumi e preistoria visiva
Al Mast di Bologna la mostra "Inventions", curata da Luce Lebart. Dal portauovo in alluminio all'apparecchio per sentire la terra, una "repubblica delle invenzioni" fissata in foto. Figure umane e oggetti in un'esposizione ricca di sense of humour
Una scopa di gomma come i guanti per lavare i piatti, una maschera antigas, una lavatrice, persino un’aspirapolvere tenuta in mano da uomini e ragazzi eleganti. Tra il 1915 e il 1938, l’Office National des Inventions catalogò, fotografandoli, migliaia di invenzioni formate dagli oggetti più disparati, alcuni belli, altri meno, ma comunque resi affascinanti proprio da quegli accostamenti inattesi. Il merito fu tutto di Jules-Louis Breton, Sous-sécretariat d’Etat aux inventions, che nel bel mezzo del primo conflitto mondiale decise che le stesse andavano fotografate, perché in tal modo si sarebbe garantita la rapida trasformazione di un’idea in un oggetto o in una macchina di pronto utilizzo, ma soprattutto, la collaborazione tra industriali, scienziati e inventori.
Quelle foto, nel loro insieme, andarono a formare una sorta di “repubblica delle invenzioni”, un “laboratorio virtuale” capace di svelare quelli che potevano essere, ad esempio, i meandri di un progresso tecnico, ma soprattutto finirono con l’avere un ruolo amministrativo e pedagogico, un ruolo di informazione e dimostrazione, se non addirittura di pubblicità che continuò fino alla chiusura di quel celebre ufficio, sicuramente all’avanguardia non soltanto nel nome.
A distanza di anni, alcune di quelle fotografie, assieme ad altre provenienti dall’Archive Modern Conflict di Londra, potete ammirarle dal vivo al Mast di Bologna, la Fondazione dedicata alla manifattura di arti, sperimentazione e tecnologia (www.mast.org ). Fino al 3 gennaio del prossimo anno, Covid permettendo, saranno le protagoniste della mostra “Inventions” curata dalla storica della fotografia Luce Lebart in collaborazione con Urs Stahel. Il fascino di quei pezzi così diversi e uniti insieme viene accentuato proprio dalla loro obsolescenza e poco importa se molti hanno perso lo scopo per il quale sono stati creati o se non ne hanno mai avuto uno.
Quel che conta è che in tutte quelle fotografie, ovviamente in bianco e nero, gli oggetti privi di finalità è come se diventassero delle sculture che, nel loro insieme, appaiono combinazioni di forme, consistenze e materiali. Nelle luminose stanze del bel museo bolognese – dove tutto è perfettamente organizzato tra mascherine, distanziamenti sociali, misurazione della temperatura e disinfettanti in ogni angolo – è tutto un susseguirsi di invenzioni che vanno dagli oggetti usati per sopravvivere in tempi di crisi ai dispositivi per godere di una migliore qualità della vita in tempo di pace.
Particolare davvero, la foto dell’uomo con in mano un uovo che sembra porsi la fatidica domanda – prima l’uomo o la gallina? – che si era già chiesta, secoli prima, Aristotele e poi, a seguire, Tommaso d’Aquino, Diderot, Darwin e molti altri, accendendo così un dibattito non da poco. Se la osserverete meglio e da vicino, noterete anche voi che l’uomo, in realtà, non sta esaminando l’uovo, ma un cerchio nero sulla base del portauovo. Trattasi, infatti, del Miroeuf di Victor Mendel, un’invenzione grazie alla quale è possibile stabilire all’istante il grado di freschezza dell’uovo.
Il portauovo in alluminio contiene uno specchio leggermente inclinato visibile attraverso un foro circolare che scruta a sua volta l’osservatore secondo un principio che ricorda quello della macchina fotografica - si legge nella rivista “Recherches et Inventions” di quell’anno (1923) – ed è il seguente: “l’uovo è attraversato da raggi luminosi che colpiscono lo specchio e il grado di freschezza è indicato dalla luminosità dell’uovo”. Un’immagine che dimostra e pubblicizza quel prodotto allo stesso tempo e che, grazie alla luce particolare che ha, valorizza e rende attraente l’invenzione stessa.
L’aspirapolvere – o meglio – la scopa elettrica, si farà conoscere solo negli anni successivi, ma già all’epoca c’era questa voglia di fare in qualche maniera piazza pulita, perché comunque essa evocava un’idea di pace e di ricostruzione. Spazzare via il passato è la condizione essenziale per ricostruire e la polvere venne vista come un “nemico”. Un nemico da togliere con la scopa normale o con quella elettrica, già all’epoca più efficace, ma c’era chi non ci credeva come spesso accade quando si propone qualcosa di diverso e innovativo. Alla Fiera delle Arti Domestiche, Francis Bernard presentò il simbolo di quella novità, la figura di “Marie Mécanique” (1936), ricca di sense of humour che è poi il trait d’union che accomuna tutte queste fotografie.
Un umorismo che emerge soprattutto quando gli scatti coinvolgono figure umane messe a confronto con gli oggetti allo scopo di spiegarne le modalità di utilizzo. Si pensi a “Dispositivo di ascolto per la sorveglianza a terra” in cui è ritratto un uomo in piedi con in mano un apparecchio di monitoraggio acustico del terreno. È uno strumento simile a uno stetoscopio gigante i cui auricolari, infilati nelle orecchie dell’uomo, sono connessi attraverso un cavo al rilevatore posizionato a terra. La particolarità sta tutta in quell’uomo che è ripreso nell’atto di ascoltare il terreno, proprio come fa il dottore con i battiti del cuore di un paziente.
Una situazione a dir poco paradossale, perché l’ambientazione prescelta per lo scatto è in contrasto con la finalità dello strumento, concepito originariamente per localizzare ordigni in un campo minato. Impossibile non sorridere, un qualcosa che vi farà bene fare visto il periodo. Fotografie speciali, non c’è che dire che, sebbene siano state prodotte senza intenzioni artistiche e non siano firmate, hanno in realtà innegabili qualità estetiche e possiedono quello che si può definire a tutti gli effetti uno stile fotografico. Un invito a esplorare sia l’archeologia della società dei consumi, sia la preistoria visiva dell’istituzionalizzazione della ricerca.
Peccato per le didascalie che spiegano il tutto (alla Galleria Nazionale di Roma, ex Gnam, la mitica Cristiana Collu le ha tolte da quattro anni, ma lei è avanti) rompendo quell’incantesimo. Poco male: se ci riuscirete, basterà non leggerle. Sempre nello stesso edificio, non perdete poi l’esposizione dei lavori del concorso fotografico “Mast Photography Grant on Industry and Work”, giunto alla sesta edizione con le opere dei finalisti: Chole Dewe Mathews, Alinka Echeverrìa, Maxime Guyon, Pablo Lòpez Luz e Aapo Hhuta. Davvero particolare, di quest’ultimo, l’uomo senza volto e la macchina coperta di neve che sembra averne uno.