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Nobel per la letteratura 2020

Louise Glück, chi?

A forza di premiare sconosciuti si rischia di svilire il Nobel alla Letteratura

Mariarosa Mancuso
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Il Nobel 2019 è saltato per via delle molestie (anche i letterati palpano). Nel 2019 i giurati hanno ricuperato il tempo perso assegnando due premi (e relativi cospicui assegni). Uno all’universalmente lodata scrittrice polacca Olga Tokarczuk, l’altro al molto controverso – e non è solo una questione politica, anche la letteratura ha le sue ragioni da far valere – Peter Handke. Sarebbe stato divertente – oltre che istruttivo – assistere alle riunioni pre-Nobel di quest’anno. Il premio non è quasi mai stato una guida per dilettevoli letture (al contrario: cerca scrittori mossi da ideali, che si intendono diversi dal semplice scrivere bene e raccontare belle storie). Le ultime disavventure gli avevano tolto quel po’ di lustro che restava. La morte di Philip Roth aveva levato di mezzo il campione dei romanzieri per cui fare il tifo (gli svedesi, tra l’altro, avevano un’idea bizzarra sulla letteratura americana: “Giovane, si farà, un Nobel sarebbe prematuro”). Serviva un nome che non prestasse il fianco a critiche.

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Pensa e ripensa, indaga e soppesa, gli accademici svedesi hanno scovato Louise Glück, americana figlia di genitori ebrei ungheresi. Donna e poetessa, oltre vent’anni dopo il Nobel a Wisława Szymborska, scrittrice di versi semplici (ma per questo difficili da scrivere), affabili, spiritosi e amatissimi dai lettori.  Louise Glück scrive “versi affilati come rasoi”, scrive il New York Times. Siamo all’estremità opposta, dello spettro una raccolta (tradotta da Massimo Bacigalupo) si intitola “Averno”, il lago di origine vulcanica dalle parti di Pozzuoli, dove gli antichi collocavano l’ingresso nell’oltretomba. Non è l’unico riferimento ai classici e alla mitologia. Né ai dolori di una vita segnata dall’anoressia, dai lutti, dai matrimoni falliti, da una lunga analisi.

  
Scelta non facilmente criticabile, dietro ci sono decenni da lavoro – Louise Glück è nata nel 1943 e oltre a scrivere poesie insegna all’Università di Yale. Con la raccolta “L’iris selvatico” ha vinto il premio Pulitzer nel 1993. Dieci anni dopo è stata “Poeta laureato” negli Stati Uniti, una carica ricoperta nel 91 da Joseph Brodsky – peraltro l’unico della lista che abbiamo sentito nominare, e pure letto. Ha ricevuto da Barack Obama la National Humanities Medal. Le credenziali sono ottime, dopo tanti Nobel di risarcimento verso le minoranze e le periferie dell’impero. E alcuni incomprensibili (vabbé, assurdi) ragionamenti che hanno condotto, per fare un nome, a Elfriede Jelinek. 
     

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Però, se non altro per ripagarci del tempo e dell’attenzione che al Premio Nobel dedichiamo ogni anno – e ormai dobbiamo scegliere un altro cavallo su cui puntare, per esempio la strepitosa Joyce Carol Oates – scegliere un nome più conosciuto e popolare non guasterebbe. Tanto per andare in parallelo con i libri che (ancora, e siamo sempre meno) leggiamo. Sennò il Nobel per la Letteratura finirà per fare l’effetto del premio per la Fisica o per la Medicina: leggiamo il nome, facciamo l’applauso, contiamo se ci sono o no donne (ancora qui i transgender non hanno fatto sentire le loro proteste) e ce ne dimentichiamo fino al Nobel dell’anno successivo.
     

Se pensiamo alle meraviglie che la letteratura americana ha offerto in questi decenni vengono in mente soprattutto romanzi. Quando hanno voluto premiare uno che scrive in versi, il premio è andato a Bob Dylan (e giù polemiche, soprattutto di categoria: già sono pochi i premi per la letteratura, se arrivano dal palcoscenico la gara non è alla pari). Può darsi che oggi le librerie saranno affollate di gente che distanziata e con la mascherina implorerà la grazia di una raccolta poetica firmata Louise Glück. E’ più probabile che l’anno prossimo, invece di chiedere “Louise chi?” (e poi correre a colmare le lacune) chiederemo: “Nobel, quale Nobel, ma ancora lo danno?”.

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