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Cento artisti protestano contro i musei che censurano Philip Guston, che irrise il suprematismo bianco

“È peggio di quando i politici repubblicani riuscirono ad annullare la retrospettiva di Mapplethorpe"

Giulio Meotti

"Oggi anche Degas verrebbe accusato di favorire la prostituzione infantile"

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Roma. Nel 1989 una delle più celebri gallerie d’arte americane, la Corcoran di Washington, cancellò la retrospettiva di Robert Mapplethorpe, il maestro della Nouvelle Vogue fotografica morto di Aids, perché “lesiva della pubblica morale”. Lo fece su pressione di cento senatori e deputati della destra repubblicana, che avevano minacciato di tagliare il bilancio delle Belle Arti. L’incidente aveva evidenziato un fenomeno che da mesi allarmava il mondo artistico: la nascita al Congresso di una reazione culturale per bloccare le opere “degenerate”, come le chiamò il senatore Alfonse D’Amato, e favorire un’arte “moralmente accettabile” (si sentiva l’eco del pubblico disprezzo nazista per Grosz, Kokoschka, Kandinskij, Klee, Chagall, Picasso e altre avanguardie figurative). Livingston Biddle, mecenate e direttore della Fondazione nazionale delle Arti, al New York Times disse che “per la prima volta nei venticinque anni della sua storia, l’ente rischia di trasformarsi in un censore”. 

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Roma. Nel 1989 una delle più celebri gallerie d’arte americane, la Corcoran di Washington, cancellò la retrospettiva di Robert Mapplethorpe, il maestro della Nouvelle Vogue fotografica morto di Aids, perché “lesiva della pubblica morale”. Lo fece su pressione di cento senatori e deputati della destra repubblicana, che avevano minacciato di tagliare il bilancio delle Belle Arti. L’incidente aveva evidenziato un fenomeno che da mesi allarmava il mondo artistico: la nascita al Congresso di una reazione culturale per bloccare le opere “degenerate”, come le chiamò il senatore Alfonse D’Amato, e favorire un’arte “moralmente accettabile” (si sentiva l’eco del pubblico disprezzo nazista per Grosz, Kokoschka, Kandinskij, Klee, Chagall, Picasso e altre avanguardie figurative). Livingston Biddle, mecenate e direttore della Fondazione nazionale delle Arti, al New York Times disse che “per la prima volta nei venticinque anni della sua storia, l’ente rischia di trasformarsi in un censore”. 

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“Ora è in corso un misfatto ancora peggiore della cancellazione di Robert Mapplethorpe alla Corcoran: peggiore perché la censura non è arrivata dai filistei  fuori dal museo, ma dall’interno delle sue mura”, scriveva ieri il New York Times rendendo conto della polemica su Philip Guston, dopo che la Tate Modern e altri tre grandi musei hanno deciso di rinviare al 2024 l’attesa retrospettiva dedicata all’artista americano per paura di una ricezione sbagliata dei suoi temi razziali  (Guston nei suoi quadri irrideva il suprematismo bianco e il Ku Klux Klan). 


In una lettera aperta ai musei, cento artisti, scrittori e curatori americani condannano la censura. Si dicono “scioccati” e accusano le istituzioni – la National Gallery, la Tate di Londra, il Museum of Fine Arts di Boston e il Museum of Fine Arts di Houston – di “tradire l’arte”. L’elenco dei firmatari comprende alcuni degli artisti americani più affermati al mondo. 
 La lettera contro la censura di Guston è firmata da Nicole Eisenman, Charles Gaines, Ellen Gallagher, Wade Guyton, Rachel Harrison, Joan Jonas, Ralph Lemon, Julie Mehretu, Adrian Piper, Pope.L, Martin Puryear, Amy Sillman, Lorna Simpson, Henry Taylor, Stanley Whitney e Christopher Williams. “Le persone che gestiscono le nostre grandi istituzioni non vogliono guai”, scrivono i cento artisti. “Temono le polemiche. Mancano di fiducia nell’intelligenza del pubblico”. Ormai è persino impossibile esporre l’arte che condanna il razzismo. Al Whitney Museum ha fatto scandalo il dipinto  “Open Casket” di Dana Schutz su Emmett Till, il ragazzo afroamericano linciato nel Mississippi del 1955. Il quadro aveva suscitato proteste per “appropriazione culturale”, perché Schutz è bianca. 


Scriveva ieri il critico d’arte del Times, Jason Farago: “Credo  che neanche l’eccellente mostra della National Gallery su Degas – con rappresentazioni di quella che ora chiameremmo ‘prostituzione infantile’ dell’impressionista ‘tossico’ per eccellenza – potrebbe sopravvivere a un tale esame. Un museo che non espone Guston è a malapena un museo, oppure è un museo nel senso più dispregiativo: un polveroso magazzino di cose morte”. E non importa che Degas volesse denunciarla, la prostituzione minorile. Oggi sarebbe tacciato di “pedofilia”. 
E’ accaduto  al Met di New York, dove sono state raccolte migliaia di firme contro “Thérèse dreaming”, il dipinto di Balthus. L’ex direttore del Victoria and Albert Museum e della National Portrait Gallery, Sir Roy Strong, ha accusato gallerie e musei d’arte di essere prevedibili per non scontentare nessuno: “Sono ossessionati dal politicamente corretto”. 
Si legge ancora nella lettera dei cento artisti che a proposito del caso  Guston “non c’è stata alcuna protesta pubblica. E’ una precancellazione, istituzioni che scappano spaventate, indietreggiando, supponendo che il loro pubblico sia  incapace di guardare e pensare”. Durissimo anche Robert Storr, che  ha appena pubblicato una biografia dell’artista, “Philip Guston: A Life Spent Painting”, e che ha definito la decisione dei quattro musei “un abietto ed epico fallimento”. Si finirà per ricavare un apposito spazio nei sotterranei dei musei per accogliere le opere d’arte censurate?

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