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“I social sono tribunali che decretano la morte sociale”

Il libro di David Doucet, giornalista francese licenziato per uno scherzo

Giulio Meotti

Michel Houellebecq si domanda: "Come abbiamo potuto passare, in così poco tempo, dall’amore per la libertà a quello per la servitù?" 

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Roma. “Una condanna senza appello. Un marchio indelebile. Le scuse imprescrittibili. La morte sociale. Il tribunale del popolo che si sostituisce alla giustizia accomodante. Nel 2020 non si combatte Google a mani nude e Davide non sconfigge Golia”. 

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Roma. “Una condanna senza appello. Un marchio indelebile. Le scuse imprescrittibili. La morte sociale. Il tribunale del popolo che si sostituisce alla giustizia accomodante. Nel 2020 non si combatte Google a mani nude e Davide non sconfigge Golia”. 


Sono le prime righe del libro (“Straordinario e terrificante”, secondo l’Express) con cui David Doucet svela i meccanismi che lo hanno portato al  licenziamento da redattore capo di Inrocks e alla scomparsa di tante personalità. “La Haine en ligne”, il titolo del libro per Albin Michel, è una denuncia dei “tribunali di internet”. Doucet faceva parte della Lol League, gruppo informale di trenta giornalisti  accusati di cyber bullismo ai danni di colleghe femministe. “Nello spazio di un fine settimana, la mia vita è andata in pezzi. Ho visto le persone allontanarsi, sono diventato radioattivo”. Dice di non avere partecipato a “nessuna molestia”, ma a uno “scherzo telefonico” di cui “si rammarica perché ha ferito qualcuno. Ma perdere il lavoro per uno scherzo è per me  la cristallizzazione degli eccessi del nostro tempo”. Doucet racconta di “licenziamenti, depressioni e tentativi di suicidio” di altri colleghi. Denuncia una sorta di “magistratura totale senza rispetto per la presunzione di innocenza”. “Boicottaggio di personalità, annullamenti di conferenze, linciaggi sui social… La cancel culture minaccia il liberalismo e la libertà di espressione”, scrive l’Express. “In Urss come sotto il maccartismo, le epurazioni erano frequenti. La natura umana non si è evoluta, la tecnologia sì. Con i social, la gogna è su scala globale”. 


Da J. K. Rowling a Woody Allen, da una conferenza di Sylviane Agacinski al licenziamento del capo delle opinioni del New York Times, James Bennet, non si contano le eliminazioni dalla vita pubblica. Ieri la notizia che la Historical Society del Trinity College di Dublino, l’organizzazione studentesca di dibattiti più antica al mondo, ha ritirato l’invito al  biologo Richard Dawkins. Il motivo? “Non ero a conoscenza delle posizioni di Dawkins sull’islam”, ha detto su Instagram la presidente, Bríd O’Donnell. Secondo Thomas Chatterton Williams, una delle menti della lettera su Harper’s contro la cancel culture, siamo al bivio: vogliamo che tutti, qualunque sia la propria identità, si sentano al sicuro nell’esprimere le opinioni entro i limiti della libertà di parola, o preferiamo una “democratizzazione della punizione” in cui tutti si sentano vulnerabili? “Nell’Impero Romano, la damnatio memoriae avveniva post mortem”, scrive Doucet. “Oggi la morte sociale è molto più crudele”. E non c’è diritto all’oblio. “Le piattaforme incoraggiano il conflitto e l’indignazione, è il loro modello di business”. Tristan Harris, un ex ingegnere di Google,  spiega che a ogni parola indignata aggiunta a un tweet, la percentuale di retweet aumenta del 17 per cento. “Siamo diventati tutti piccoli agenti mediatici di noi stessi”. Internet è un terreno fertile per i vigilantes ideologici. “Puoi distruggere le persone senza conoscerle”. Nel libro, Bret Easton Ellis si dice scioccato che le aziende diano credito ai social e licenzino i dipendenti in 24 ore, mentre Michel Houellebecq dice a Doucet: “Come abbiamo potuto passare, in così poco tempo, dall’amore per la libertà a quello per la servitù?”. In una società disincantata, conclude Doucet, “l’annullamento è il rituale di pulizia sociale per chi non si conforma”. Anziché con il cappello da Pinocchio come nella gogna maoista, ora si è aggrediti e “segnalati” sui social. Ma stesse sessioni pubbliche di accuse e scuse, stessa testa bassa, stesso sguardo vuoto.

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