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Ritorno alla Scala. Chailly ci regala la Nona di Beethoven

Corrado Beldì

Nel primo concerto sinfonico dopo la pandemia, l’Inno alla gioia è l’emblema della liberazione dal dolore. Un omaggio al personale sanitario per il loro lavoro e per lo spirito di squadra 

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Un’immensa arca vuota nel cuore della città, l’abbiamo pensata e sognata per mesi e girata palmo a palmo in virtuale grazie a Google Arts & Culture e raccontata nei giorni del lockdown in ogni dettaglio, la storia, gli artisti, i mestieri, hanno fatto di tutto per non farcela mancare. Tornare alla Scala per il primo concerto sinfonico dopo la pandemia fa un certo effetto, è un po’ come la quarta inaugurazione, dopo le riaperture del 1946 con Arturo Toscanini sul podio e del 2004 con Riccardo Muti che diresse dopo l’esilio agli Arcimboldi L’Europa riconosciuta di Antonio Salieri, la stessa opera che aveva aperto il teatro del Piermarini nel 1778 alla presenza dell’arciduca Fernando d’Asburgo e della sua splendida Maria Ricciarda d’Este.

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Un’immensa arca vuota nel cuore della città, l’abbiamo pensata e sognata per mesi e girata palmo a palmo in virtuale grazie a Google Arts & Culture e raccontata nei giorni del lockdown in ogni dettaglio, la storia, gli artisti, i mestieri, hanno fatto di tutto per non farcela mancare. Tornare alla Scala per il primo concerto sinfonico dopo la pandemia fa un certo effetto, è un po’ come la quarta inaugurazione, dopo le riaperture del 1946 con Arturo Toscanini sul podio e del 2004 con Riccardo Muti che diresse dopo l’esilio agli Arcimboldi L’Europa riconosciuta di Antonio Salieri, la stessa opera che aveva aperto il teatro del Piermarini nel 1778 alla presenza dell’arciduca Fernando d’Asburgo e della sua splendida Maria Ricciarda d’Este.

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Stasera non mi sento da meno, vicino a me c’è un’altra Ricciarda, con una borsa verde speranza, ne serve molta in vista di un autunno che dovrà portarci fuori dal disastro, non a caso Riccardo Chailly ha scelto di regalarci la Nona di Beethoven, c’è la ricorrenza dei duecentocinquant’anni e l’Inno alla gioia è l’emblema della liberazione dal dolore. Un omaggio al personale sanitario invitato alla serata, col supporto di Diana Bracco, per ringraziarli del tanto lavoro al servizio degli ammalati e di uno spirito di squadra che in Italia si vede soltanto quando entriamo in guerra.

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Un motivo in più per presentarsi puntuali e ben attrezzati all’ingresso del teatro, vedo intorno i segni di un’epoca nuova, le maschere sono proprio mascherate, ai vecchi tempi erano i rampolli dell’aristocrazia cittadina, lo facevano per non farsi riconoscere, ora i motivi sono altri, ci accolgono in FFP2 e visiera in policarbonato, passiamo il termoscanner e ci dirigiamo come al solito verso la buvette. È chiusa, riapre martedì per Traviata con Zubin Mehta, ne approfittiamo per un rapido giro nel foyer, mai visto meno affollato, diamo un saluto a Verdi, Donizetti, Rossini e a Vincenzo Bellini, il cappotto ben stretto e i capelli arruffati, il mio preferito tra le sculture ai lati dell’ingresso. Entriamo in sala e sono travolto dalle emozioni, i palchi, gli stucchi, i velluti e il grande lampadario, m’incanto a guardarlo e penso a quella foto scattata dalla botola del sottotetto da Silvia Lelli e non so cosa darei per salire e ascoltare un concerto da lassù.

 

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La sala è piena per un terzo. La sensazione è strana ma finalmente si apre ed è questo che conta. Arriva puntuale Riccardo Chailly, ringrazia medici, infermieri, volontari, fa un bel discorso che allarga i cuori, sale sul podio e l’attacco è una vera meraviglia, anche se il suono delle prime battute è un po’ diverso, come se avesse meno corpo. Forse dipende dal distanziamento degli orchestrali, ciascuno col suo leggio, per sfruttare tutto il palcoscenico è stata creata una camera acustica profondissima, con pannelli bianchi di taglio modernista, il coro è schiacciato in fondo, a destra e a sinistra su piccole pedane, gli ultimi orchestrali sono così lontani da Chailly che andrebbero forniti di un cannocchiale. Una disposizione mai vista prima, una bella complicazione per questa sinfonia ma tutto funziona al meglio, nel secondo movimento il suono decolla e c’è quasi un effetto stereofonico.

 

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Ogni esecuzione è un po’ come la prima, quando i contrabbassi accennano il tema dei versi di Friedrich Schiller sentiamo un brivido lungo la schiena, presto si aggiungono i violoncelli e poi i violini e il resto lo sapete già, è stupendo sentire l’inno che si diffonde in sala e le voci di Tomasz Konieczny e di Michael König e il coro scaligero che libera la sua potenza. Chailly dirige la Nona come se fosse sempre sul punto di esplodere, accade nel finale quando l’orchestra è percossa dai ritmi della sinfonia, sono certo che a Ludwig Van Beethoven sarebbe bastato guardare Pino Ettore e il suo contrabbasso per capire il punto esatto dello spartito, agita la testa come e più del solito, da buon jazzista sente la musica come un flusso vitale e non fa proprio nulla per nasconderlo.

 

 

Riccardo Chailly prende tutti gli applausi possibili, certo non può esserci il fragore di quattromila mani, in teatro siamo solo in 670, il tutto esaurito nelle prossime settimane sarà sempre così e certo non sarà facile far tornare i conti con minori incassi e risorse pubbliche e private piuttosto incerte. Inizia un calendario di concerti, recital, balletti, alcune riprese e nessuna produzione in attesa di un Otello per la prima a Sant’Ambrogio, siamo molto curiosi di sapere come andrà, sicuri che il sovrintendente Dominique Meyer saprà condurre con successo il nostro grande teatro attraverso le tempeste del prossimo autunno.

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