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l'intervista

Walter Siti: "A Colleferro più che razzismo vedo il machismo di provincia"

Michele Masneri

Palestrati, tatuati, alla moda, violenti. Lo scrittore che ha raccontato meglio la periferia romana di questi anni fa un ritratto dei killer di Willy: “Non chiamateli mostri”

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Intanto non chiamiamoli mostri”. Walter Siti, lo scrittore che con più cognizione (del dolore, anche, ovvio) ha raccontato la periferia romana di questi anni, mischiata alla società dello spettacolo tra grandi fratelli e borgate, non abita più qui, cioè a Roma. Lo scrittore di “Il contagio”, “Troppi paradisi”, “Resistere non serve a niente”, abita da otto anni a Milano. Ha dato. I fatti di Colleferro, l’ammazzamento del ventunenne Willy da parte dei palestrati fascistoidi, li ha seguiti dai giornali e dalle tv. “Intanto escludo che siano mostri. Non mi piace la parola ma neanche il concetto”, dice Siti al telefono. “In ognuno c’è il bene e c’è il male. C’è un’indagine in corso. Quindi vediamo come andranno le indagini. Io poi non ne so molto”, dice Siti, ma intanto arriva una lettura informata, più delle tante che si sentono in questi giorni, quelle della “alienazione delle periferie” contro “la Roma-bene”.

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Intanto non chiamiamoli mostri”. Walter Siti, lo scrittore che con più cognizione (del dolore, anche, ovvio) ha raccontato la periferia romana di questi anni, mischiata alla società dello spettacolo tra grandi fratelli e borgate, non abita più qui, cioè a Roma. Lo scrittore di “Il contagio”, “Troppi paradisi”, “Resistere non serve a niente”, abita da otto anni a Milano. Ha dato. I fatti di Colleferro, l’ammazzamento del ventunenne Willy da parte dei palestrati fascistoidi, li ha seguiti dai giornali e dalle tv. “Intanto escludo che siano mostri. Non mi piace la parola ma neanche il concetto”, dice Siti al telefono. “In ognuno c’è il bene e c’è il male. C’è un’indagine in corso. Quindi vediamo come andranno le indagini. Io poi non ne so molto”, dice Siti, ma intanto arriva una lettura informata, più delle tante che si sentono in questi giorni, quelle della “alienazione delle periferie” contro “la Roma-bene”.

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Siti è esperto di mostri. E di palestre. “Ero, adesso da molti anni non ci vado più”, dice, forse con civetteria ginnica. “So solo che facevano questa Mma”. La disciplina vituperata, che li mostrificherebbe ancora di più. “Sono poi molto tatuati, il che li fa essere ancora più in linea con un certo immaginario attuale. Ma nessuno di questi elementi preso di per se stesso presuppone una malvagità. Non i tatuaggi, non lo sport. Mi viene in mente Alessio Sakara, uno dei giudici di ‘Tu si que vales’ il programma di Maria De Filippi. E’ un campione di questa disciplina: una persona estremamente mite, lo conosco bene, non farebbe male a una mosca. E spesso in palestra c’erano dei ragazzi con tatuata la scritta ‘Gott mit uns’, quella che stava sui cinturoni dei nazisti: ma loro non sapevano neanche cosa vuol dire. Roland Barthes diceva che i miti nascono quando interi segni – per esempio la bandiera – diventano significanti di un significante sottostante, che non viene detto, quindi la bandiera diventa simbolo di nazionalismo. Mi sembra che in questo caso tutti questi segni – l’arte marziale, il tatuaggio, l’appartenenza all’estrema destra – creino piuttosto un mito in cui poi questi sono immersi.  Un mito a cui poi loro attaccano un tocco local, il risentimento, la frustrazione, il bisogno di essere qualcuno. E la povertà culturale, quella che ti impedisce di distinguere questi vari livelli, di fare discorsi articolati, separare l’arte marziale che fai dalla violenza che sei in grado di esercitare”.

Certo colpisce l’estetica, oltre che l’etica, di questi presunti mostri: la sovrapposizione tra il look del palestrato, mescolato con una dose di metrosessualismo, il sopracciglio ad ali di gabbiano. Sono molto diversi dai culturisti grossolani de “Il contagio”, gli omaccioni gonfi di steroidi, che poi si riempiono di Viagra. Sembrano più personaggi borghesi, altri tipi sitiani, gli autori televisivi di “Troppi paradisi”, patinati, levigati, con le camicie a fiori all’ultima moda, forse di Zara o forse di Prada. “Effettivamente c’è un elemento estetico che una volta non c’era”, dice Siti. “Di sicuro questi non hanno nulla a che fare con le borgate. Il loro è un modello estetico universale, che trovi anche in centro, gli accessori sono costosi, gli occhiali da sole firmati”.

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Invece le lenti di chi fa il pianto greco sulle periferie, sull’alienazione, sono rimaste anni 70. C’è già chi ha molto deprecato che a Colleferro stia per aprire un nuovo centro Amazon, con 500 addetti. Porterà altra alienazione. “Io non avrei tanto paura di Amazon, avrei paura più di certi marchi glamour”. E poi i nuovi tamarri sono “apolidi, fanno parte del mondo di Instagram, quella è la loro patria, non c’è centro e non c’è periferia. Il loro mondo sono i profili di Instagram che seguono. Se clicchi su un palestrato ti appariranno solo palestrati, e quello sarà il tuo mondo, e quello è il loro”. E’ interessante che il delitto compiuto da questi picchiatori-influencer, picchiatori con foto in posa a Positano, sia stato condannato soprattutto dalla più grande influencer d’Italia, Chiara Ferragni. “Be’, certo, quelli che lo fanno seriamente, quelli che ne hanno fatto una professione, hanno ben chiara la distinzione tra fotografarsi a Positano, sperando in tanti like, e tornare al natio paesello e dare la lezione al tale”.

Mi viene in mente che a Colleferro Cesare Romiti aveva mosso i primi passi. Morto anche lui qualche giorno fa. “Eh, ma lui aveva fatto un altro percorso. E’ la provincia: se sei sano di mente scappi. Una delle influencer più note, Taylor Mega, è di un piccolo paesino del Friuli. Sono ragazzi a cui la provincia sta stretta e scappano. Se uno è intelligente va all’università, si prende una laurea in Economia. Altrimenti fai qualcos’altro. Oppure indossi una maschera, magari quella del picchiatore. Anche se poi magari sei un bravo figlio di famiglia, ha sentito come ne hanno parlato bene le mamme e le fidanzate dei fratelli Bianchi?”. Ah, la bella provincia italiana, i bei borghi, le mamme. Pare che quando hanno ricevuto la chiamata alle armi i palestrati stessero scopando, in tre, con tre fanciulle. Al cimitero. Siti non è certo scandalizzato. “Sarà un posto tranquillo”. “La cosa che mi ha colpito è piuttosto che quando ricevono la chiamata si precipitano, come se si sentissero investiti da un ruolo, un compito. Un compito che gli fa lasciare lì una cosa anche piacevole”.

Quasi da bravi manzoniani, una roba feudale-medievale. Però poi quando tornano a casa dopo la bravata, appunto, postano un video sui social. Dunque tribali-postmoderni: come la ragazza congolese che ha aggredito, diciamo così, Salvini a Pontassieve. “Anche lì, una roba pre-moderna. Io ti maledico, una frase che non si sentiva da decenni. Chissà cosa c’è sotto”. A proposito di Salvini, non le sembra che in Italia stia sobbollendo un problema enorme di razzismo? Siti è perplesso. “Nel caso di Colleferro direi che prevale il machismo. Le cose inequivocabilmente razziste sono quelle che sono finite nei commenti online, e non sono responsabilità degli imputati, bensì dei deficienti che scrivono su internet. Da quello che si capisce dall’ordinanza, la rissa è partita prima contro un ragazzo che non era di colore, poi certo, magari quando hanno visto un ragazzo di colore che interveniva questo magari ha rinfocolato la violenza. Per quanto riguarda Salvini, mi ricordo che qualche tempo fa aveva detto che gli immigrati sono palestrati. Ma io che me ne intendo di palestrati posso dire che sono solo uomini che mangiano poco e camminano molto. I palestrati, le assicuro, sono tutta un’altra cosa”.

 

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