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Un grande sobillatore di gusti

L'Opera finale di Franco Maria Ricci

Tra memorie gonzaghesche e manieristiche e paesaggi emiliani struggenti

Michele Masneri

Addio a FMR, inglese cosmopolita e dandy della bassa, anticipatore della mania successiva per borghi e province. Una visita al suo Labirinto

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E insomma è morto Franco Maria Ricci, anzi FMR, come il brand della sua creatura più fortunata e leggendaria, la rivista più chic del mondo, che riporta a tempi gloriosi in cui quei manufatti cartacei che un tempo si vendevano in edicola erano addirittura status symbol. Si andò a trovarlo, cinque anni fa, per IL: a Fontanellato, nella sua ultima creazione, un labirinto molto inglese e un po’ incongruo nel mezzo della grassa pianura padana. Tra memorie gonzaghesche e manieristiche e paesaggi emiliani struggenti (Ghirri, D’Arzo, Tondelli, Parmigianino), e stradone dritte nel nulla, concessionari d’auto usate, lunghi filari di pioppi che portano a casali come sospesi sulla loro ombra, grandi boschi di bambù, il Labirinto, maiuscolo, si offrì come un grande cottage inglese in mattoni a vista, con anche la sua grondaia tipo Downton Abbey: una specie di sogno neoclassico,  sogno o incubo concepito da un John Soames, dentro il consueto décor franco-maria-ricciano, colonne doriche ioniche e corinzie e finto bugnato e finto marmo (un Mongiardino alleggerito nelle cotture, un “ricordo di Mongiardino”, light).

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E insomma è morto Franco Maria Ricci, anzi FMR, come il brand della sua creatura più fortunata e leggendaria, la rivista più chic del mondo, che riporta a tempi gloriosi in cui quei manufatti cartacei che un tempo si vendevano in edicola erano addirittura status symbol. Si andò a trovarlo, cinque anni fa, per IL: a Fontanellato, nella sua ultima creazione, un labirinto molto inglese e un po’ incongruo nel mezzo della grassa pianura padana. Tra memorie gonzaghesche e manieristiche e paesaggi emiliani struggenti (Ghirri, D’Arzo, Tondelli, Parmigianino), e stradone dritte nel nulla, concessionari d’auto usate, lunghi filari di pioppi che portano a casali come sospesi sulla loro ombra, grandi boschi di bambù, il Labirinto, maiuscolo, si offrì come un grande cottage inglese in mattoni a vista, con anche la sua grondaia tipo Downton Abbey: una specie di sogno neoclassico,  sogno o incubo concepito da un John Soames, dentro il consueto décor franco-maria-ricciano, colonne doriche ioniche e corinzie e finto bugnato e finto marmo (un Mongiardino alleggerito nelle cotture, un “ricordo di Mongiardino”, light).

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Dentro questo show room palladiano-delirante c’era pure la sua Jaguar E, nera, monumento alla giovinezza (sua), con cui scorrazzava tra la via Emilia e il West. “Era impossibile da guidare, ci ho fatto 48 testacoda, li ho contati”, raccontò Ricci, che a trent’anni gareggiava con le macchine, in una delle sue tante vite (prima era geologo, ma “lavoravo per aziende americane che mi mandavano in posti di merda, tipo al confine col Kurdistan, a cercare il petrolio dove il petrolio non c’è”), poi è stato grafico, partecipando alla gloriosa stagione milanese, quella dei Noorda, e alcuni loghi tuttora utilizzati sono opera sua - le cucine Scic e Smeg, la fondazione Agnelli. “Anche adesso, chi mi chiede di fare un logo io glielo faccio, mi diverto”, confidò.

 

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Confidò anche una notizia: FMR, la mitologica rivista, lì nel museo accanto al Labirinto esposta insieme a tutta la wunderkammer ricciana- olii di De Chirico, ritratti di Corcos, monumenti funebri, ritratti di gentiluomini settecenteschi, busti del kaiser Guglielmo, tornerà presto in edicola, annunciò (ma poi non ci fu seguito, pare). “Forse ho sbagliato a venderla, ma avevo bisogno di soldi per finire qui”, e qui è il Labirinto, la sua Opera finale, tutta di bambù, perché gli era presa la mania del bambù, e parve che volesse tappezzare di questa specie l’intera pianura padana, sfregiata dalle fabbrichette. Si fece un giro in questo Labirinto: a ogni angolo c’erano dei numeri, si chiese a cosa mai servissero, a un nipote di Ricci che ci guidava tra le frasche di bambù, ed erano poi i numeri da digitare chiamando in soccorso l’apposito numero telefonico; “prima non avevamo messo niente ma ogni volta si perdeva qualcuno, nei giorni di grande affluenza, anche 100 persone al giorno, e non ce la facevamo a recuperarli tutti”, così adesso si digita un numero e via, ecco che arriva il ritrovatore di turisti,

 

Chi riusciva a districarsi arrivava a una porticina che immetteva in un’altra ala della costruzione ricciana, vicino a una grande piramide sempre di mattoncini, circondata da alte mura, e dentro questa piramide è tutta dorata, con un pavimento a mosaico sempre a labirinto, due pietà ai lati, e su su ai vertici della piramide grandi prese d’aria dei condizionatori. Ai lati dell’altare, invece, due finestrelle stondate tipo Schuco con camera d’aria, tipo trullo o seconda casa a Capri.  Fuori, alte torrette e porticati e un’aria che voleva essere alchemica tipo Scarzuola ma che sembrava più l’outlet di Valmontone. È stato un grande sobillatore di gusti, Franco Maria Ricci, inglese cosmopolita e dandy della bassa: e anticipatore della mania successiva per borghi e province. “La provincia italiana è tutta uguale, i parmigiani sono come i cremonesi, la provincia è unica, c’è più raccoglimento, c’è più spazio per la riflessione”, disse, congedando, e ritornando in quella strana costruzione, che sembrava un mausoleo grandioso già bell’e pronto.

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