PUBBLICITÁ

Editoriali

Contro Piperno: la critica non è un’attività “oziosa e insensata”

Alfonso Berardinelli

Perché c’è bisogno di parlare di libri ed è naturale che ci scappi pure la lite

PUBBLICITÁ

L’editoriale di Alessandro Piperno nell’ultimo numero della Lettura (“Caro classico ti stronco”) si apre con questa non trascurabile frase: “Scrivere di libri è un’attività oziosa e insensata”. Il discorso naturalmente continua offrendo qualche precisazione. A me che scrivo spesso di libri sarebbe tuttavia sufficiente quell’incipit così stranamente severo da sembrare non so se più distratto o snobistico o nichilista. Impressionare il lettore con affermazioni infondate è una piccola astuzia del lavoro giornalistico. Ma dato che Piperno, come me, scrive abitualmente di autori e dei loro libri, la provocazione appare incongrua, se non “oziosa e insensata”. Voglio prendere tuttavia sul serio quelle parole, sia per non fare torto all’autocoscienza di Piperno, sia per fedeltà al mio mestiere di commentatore di discorsi.

ABBONATI PER CONTINUARE A LEGGERE
Se hai già un abbonamento:

Altrimenti


L’editoriale di Alessandro Piperno nell’ultimo numero della Lettura (“Caro classico ti stronco”) si apre con questa non trascurabile frase: “Scrivere di libri è un’attività oziosa e insensata”. Il discorso naturalmente continua offrendo qualche precisazione. A me che scrivo spesso di libri sarebbe tuttavia sufficiente quell’incipit così stranamente severo da sembrare non so se più distratto o snobistico o nichilista. Impressionare il lettore con affermazioni infondate è una piccola astuzia del lavoro giornalistico. Ma dato che Piperno, come me, scrive abitualmente di autori e dei loro libri, la provocazione appare incongrua, se non “oziosa e insensata”. Voglio prendere tuttavia sul serio quelle parole, sia per non fare torto all’autocoscienza di Piperno, sia per fedeltà al mio mestiere di commentatore di discorsi.

PUBBLICITÁ

 

C’è poi una ragione più precisa. Da diversi anni, forse più di venti, noto che l’attività critica, cioè lo scrivere di libri con serietà e impegno, è sempre meno prevista e ben vista, soprattutto se è in gioco la letteratura con le sue qualità e i suoi valori. Sentire un narratore e un critico come Piperno, che si applica non senza ambizioni a scrivere ampi articoli letterari, denigrare quello che fa e altri fanno per apparire brillante, non può lasciare indifferenti. Forse l’avversione alla critica, che oggi è di moda, ha conquistato anche lui. Fa chic esibirla. Oggi gli innumerevoli autori di libri innumerevoli vogliono pubblicità, non valutazioni. Vogliono essere lasciati in pace e considerano solo un penoso incidente incontrare qualcuno che si permetta di giudicare pubblicamente quello che scrivono. L’illuministico esercizio pubblico della ragione critica è superato dai tempi, in particolare quando si tratta di prodotti culturali. La cultura viene considerata un valore anche quando vale poco o niente

 

PUBBLICITÁ

Subito dopo la frase citata Piperno illustra così la sua avversione per lo scrivere di libri: “C’è chi nel farlo si sente investito da una specie di dovere patriottico: per questo sogna comitati di salute pubblica chiamati a vigilare sull’igiene spirituale dell’Oligarchia delle Lettere”. Accidenti: qui lo scenario si fa grandioso, storico-politico, libertario, democratico, antitotalitario. Il critico che scrive pensando che valutare, interpretare e discutere libri abbia un senso culturale e civile è visto da Piperno come una specie di nipotino di Goebbels o Zdanov, come qualcuno che minacci di rinchiudere gli autori che non gli piacciono in istituti di igiene e rieducazione mentale.

 

Chissà perché Piperno esagera e drammatizza gli effetti del giudizio critico qui e ora in Italia, dove nessun intellettuale è punito e nessuno giudica nessuno scrittore: anzi si diventa “grandi scrittori” solo perché lo dichiarano la pubblicità e le classifiche settimanali dei libri più venduti. L’enorme quantità di letteratura che si pubblica sembrerebbe richiedere piuttosto una crescente attività critica. La massa di produzione culturale e “creativa” è tale che si sarebbe tentati di definirla post-culturale e simil-creativa. Ma prima di ricorrere a categorie così generali e di giustificarne l’uso, è bene comunque parlare di libri, i singoli libri del più vario genere, letteratura, filosofia, critica d’arte, sociologia, politologia… Non si capisce a chi abbia pensato Piperno descrivendo il suo temibile critico animato da “dovere patriottico”: a Francesco De Sanctis e Sainte-Beuve, a Lukàcs o Leavis, Benjamin o Wilson, Debenedetti o Barthes, Bloom o Steiner?

 

La seconda precisazione suona così: “C’è chi, animato da più modesto spirito di servizio, ritiene il proprio gusto abbastanza solido da autorizzarlo a consigliare romanzi, o a sconsigliarli”. Dunque secondo Piperno anche questo è proibito, nocivo, intollerabile. La cosa migliore e più virtuosa è sempre stare zitti, qualunque sia il libro che si è letto, ottimo o pessimo. Mai scegliere. Meglio tacere. Sono stati così inutili e dannosi Renato Serra, Emilio Cecchi, Sergio Solmi, Geno Pampaloni, Luigi Baldacci? Certo il lettore deve restare sovrano e quindi legga e ami quello che vuole, magari Camilleri e Carofiglio. Ma non sarebbe male se negli ambienti letterari circolassero più giudizi controversi. Quando i libri non suscitano reazioni, la cultura dorme anestetizzata. Per concludere, Piperno gioca quella che crede la carta vincente e la più efficace autodifesa di giornalista letterario: “Infine, c’è chi scrive di libri perché non può farne a meno. Chi intende questa antica, inutile arte come prosecuzione ideale dell’esercizio solipsista della lettura”.

PUBBLICITÁ

 

PUBBLICITÁ

Ecco: Piperno si concede il privilegio di rientrare in quella “Oligarchia delle Lettere” che poco prima ha stigmatizzato. Sembra alludere alla critica degli scrittori, che anche secondo me è spesso la migliore (ma dipende dagli scrittori!) anche quando non convince o sbaglia: per esempio la critica di Eliot e Montale, Nabokov e Auden, Pasolini e Calvino, Butor, Enzensberger, Vargas Llosa. Aggiungerei che a volte i critici sono scrittori in quel genere letterario che è il saggio critico. Quanti narratori e poeti italiani sono stati letterariamente all’altezza di Debenedetti e Garboli? Parlare di libri, litigare sui libri per farli esistere sia in se stessi che al di qua e al di là di se stessi. E’ del tutto naturale e ce n’è bisogno.

Di più su questi argomenti:
PUBBLICITÁ