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Addio a Dèbat, il foglio della sinistra dissidente francese

Giulio Meotti

Chiude dopo 40 anni la rivista fondata da Pierre Nora e Marcel Gauchet nel 1980 per porre fine all'"inutile sottomissione politica dell'"intellettuale impegnato". Diverse firme illustri, da Claude Lévi-Strauss a Milan Kundera. Molte le polemiche con la gauche 

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Roma. Pubblicata da Gallimard, la rivista dello storico Pierre Nora e Marcel Gauchet, il Débat chiude dopo quarant’anni. Nacque per porre fine all’“inutile sottomissione politica” dell’“intellettuale impegnato”, secondo Nora compromesso con i totalitarismi. Comprendere il mondo, piuttosto che trasformarlo. Operare il passaggio da Marx a Tocqueville. Reinventare il pensiero contro il “sonno dogmatico”. Fra i fondatori c’era anche il filosofo Krzysztof Pomian, privato dell’insegnamento dal regime polacco e per questo costretto a riparare a Parigi.

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Roma. Pubblicata da Gallimard, la rivista dello storico Pierre Nora e Marcel Gauchet, il Débat chiude dopo quarant’anni. Nacque per porre fine all’“inutile sottomissione politica” dell’“intellettuale impegnato”, secondo Nora compromesso con i totalitarismi. Comprendere il mondo, piuttosto che trasformarlo. Operare il passaggio da Marx a Tocqueville. Reinventare il pensiero contro il “sonno dogmatico”. Fra i fondatori c’era anche il filosofo Krzysztof Pomian, privato dell’insegnamento dal regime polacco e per questo costretto a riparare a Parigi.

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Così, il Débat è diventato l’incessante laboratorio di idee, punto di riferimento della vita culturale francese, sempre in chiave originale e anticonformista. E’ lo stesso Nora a spiegare le motivazioni della chiusura: “Le ragioni intellettuali si combinano a quelle economiche e si possono riassumere in una frase: l’offerta che rappresentiamo non corrisponde più alla domanda, anche se il nostro pubblico ci è rimasto fedele”. 

 

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Era il maggio 1980 quando uscì il primo numero e il lettore vi trovò un progetto di statuto per i dissidenti sovietici proposto da uno dei più illustri scampati al Gulag, Eduard Kuznetsov; un saggio del capofila dei “nuovi filosofi” André Glucksmann su “Come il mondo è diventato occidentale”; un’analisi degli “Errori delle scienze esatte”, a firma di Pierre-Gilles de Gennes, uno di Gauchet sull’“inesistenzialismo” e una prefazione-manifesto di Nora in cui si poneva l’interrogativo: “Che cosa possono fare gli intellettuali?”.

Negli anni, il Débat avrebbe ospitato tante firme illustri, da Claude Lévi-Strauss a Milan Kundera. Molte le polemiche con la gauche. Come quella che nel 1993 vide il Débat attaccato per avere pubblicato il sociologo Paul Yonnet e il suo “Voyage au centre du malaise français”. Yonnet fu uno dei primissimi a parlare di identità nazionale, a denunciare come fosse sbagliata la politica di integrazione degli immigrati in Francia e a proporre come alternativa quella dell’assimilazione. E poi ancora “L’Etat culturel”, il saggio del compianto Marc Fumaroli contro l’industria culturale, fino a un monografico contro “Il Secolo Breve” di Eric Hobsbawm. Nora scelse di non pubblicare il volume dello storico inglese: “La Francia, il paese più a lungo ‘stalinizzato’ culturalmente, ha avuto negli ultimi anni un rigetto totale per tutto quello che è comunista, stalinista, marxista. E nel libro di Hobsbawm si difende a spada tratta la politica di Mosca durante la Guerra fredda”.

  

La chiusura del Débat segue quella di Temps modernes dopo la morte del suo direttore, il regista Claude Lanzmann, che l’aveva ereditata da Jean-Paul Sartre. Che sia finito il tempo delle grandi riviste intellettuali che hanno segnato la vita culturale francese e che hanno costituito un antidoto a quelli che Nora, in quel primo numero di quarant’anni fa, chiamò i “maestri del sospetto”?

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